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Pierfrancesco Favino, protagonista di “Nostalgia”, nelle sale cinematografiche

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Nove minuti di applausi. Nostalgia il nuovo film di Mario Martone ha letteralmente stregato il pubblico della prestigiosa cornice del Festival di Cannes, dove era in concorso (è in sala distribuito da Medusa dallo scorso giovedì). Il regista emozionato riesce appena a ringraziare per il calore della sala: “Speaking french is in that moment impossible to me. Only neapolitan, maybe, …only neapolitan”.

Un anno memorabile per il regista che, appena nove mesi fa, si trovava a Venezia per presentare un altro successo, Qui rido io. La nostalgia del titolo è quella che prova Felice Lasco, protagonista interpretato da un inossidabile Pierfrancesco Favino, che dopo quarant’anni torna a Napoli e nel suo quartiere, La Sanità, perdendosi tra i ricordi e le novità, incrociando una criminalità che ha inghiottito l’amico Oreste Spasiano, “Malommo”, interpretato da Tommaso Ragno (già presente in Tre Piani di Moretti e Il cattivo poeta di Jodice).

Nei vicoli però c’è anche spazio per la speranza, portata dall’instancabile parroco anti-camorra Don Luigi Rega, affidato all’energico e carismatico Francesco Di Leva. Il film Prodotto da Picomedia, Mad Entertainment e Medusa, che ne cura la distribuzione, si basa liberamente sull’omonimo libro di Ermanno Rea, suo ultimo romanzo, pubblicato postumo.

“Essere in gara è una sorpresa” dice con sorriso genuino, il talentuoso regista napoletano, Leone d’Argento a Venezia nel 92 con il suo fantastico esordio Morte di un matematico napoletano (prima apparizione al cinema per Toni Servillo), è riuscito ad essere apprezzato e riconosciuto non soltanto dal pubblico di nicchia, ma grazie al successo de Il giovane favoloso del 2014 ha conquistato anche platee più generaliste. Il recentissimo Qui rido io, infatti, è stato un grande successo di critica e pubblico.

L’autore torna in concorso al festival di Cannes 27 anni dopo L’amore molesto, il film ispirato dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, ha molto in comune con l’attuale Nostalgia: la delicatezza, lo spaesamento, il ricordo che si mescola alla fantasia, Martone stesso li definisce “film fratelli”.

«Il Rione Sanità assorbe e non restituisce» spiega Favino, che offre una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Ribalta la frase della serie cult Boris: “prima c’erano i ruoli, ora li fa tutti Favino” e presenta un personaggio che è una folla, straniero e spaesato, in continua trasformazione: gli dona mille volti, si smarrisce, ma ricettivo si ritrova, assorbe sempre qualcosa di nuovo, che poi nuovo non è. Parla poche lingue (dall’arabo, che Favino ha studiato per la parte, emergono e si confondono italiano e napoletano) ma ha un’infinità di voci.

La performance riesce a restituire al personaggio anche una nota di grande senso di multiculturalità, apprezzabilissima. «L’ho scelto non solo perché è così mediterraneo, ma anche per la grande sensibilità» dice il regista sulla Croisette, e infatti Favino dona corpo a tutti gli atomi che popolano il corpo di Felice Lasco, che ritrova se stesso lentamente, in gesti e luoghi, che gli diventano sempre più familiari. Mentre mette a fuoco il suo passato e decide per il suo futuro, anche il mondo intorno a lui è sempre meno sfocato. Bellissime le scene in cui cammina per vicoli con il focus soltanto su di lui, tanto da sembrare si muova per mosaici.

La fotografia curata da Paolo Carrano gioca con la confusione e la rende suggestiva, consegnando una Napoli intensa senza sciuparla in cartoline o retorici panni stesi. Anzi, il Rione Sanità “lontano dal mare e poco conosciuto anche da alcuni napoletani” spiega il regista, fugge da stereotipi “potrebbe essere ovunque” aggiunge l’autore di questa pellicola, che restituisce dei panorami urbani molto caratteristici e particolari, ma senza una spiccata identità. Offre dei non-luoghi, suggestivi ma per certi versi anche anonimi, se non fosse per i suoni, per le musiche. D’altronde la voce di Favino in continua mutazione è il vero filo di Arianna che permette al protagonista di muoversi in questo labirinto. Questo è ciò che diventano più di ogni altra cosa le mura di queste strade, il labirinto, in cui inizialmente Favino/Felice si perde, ma che dopo poco si decide ad abitare, come il Minotauro del racconto di Borges ne “L’Aleph”.

Questa è una storia che punta all’universalità. Il film, l’intimità, lo rende possibile. Il passato sembra sempre in agguato, quando arriva, lo schermo cambia: un maggiore calore nelle luci ma soprattutto, viene confinato ad un quadrato più stretto. I margini cambiano quasi a suggerire quanto sia difficile vederci chiaro nei ricordi, quanto siano ingarbugliati i sentimenti umani. Dall’altro lato del cuore di Favino, infatti, c’è l’amico fraterno e abbandonato, diventato oramai il sanguinario boss chiamato ‘O Malommo. Tommaso Ragno interpreta un criminale fascinoso che sembra avvolto in una coltre di tragedia, muscoloso e quasi glamour, sembra una vecchia divinità greca a cui è toccato il compito di vegliare su un ade camorristico.

Crime e “cinema verità” danzano un valzer che riesce a rendere il film coinvolgente, non stanca mai, “è già finito?” viene da dire quando scorrono i titoli di coda. La pellicola chiude una nuova trilogia napoletana, nata quasi per caso. Tutto comincia con l’energia de Il sindaco del Rione Sanità (disponibile su RaiPlay), portato, prima ancora che sullo schermo, sulle tavole del teatro Nest, nel segno di Francesco Di Leva (eccellente nella versione di un Barracano moderno), uno dei principali promotori di un’impresa da fenice che trasforma le ceneri di una scuola abbandonata, nella sede di un teatro importante.

Di Leva nel film indossa la tonaca e nelle vesti del parroco anticamorra è esplosivo: dona al personaggio grandissima forza ed energia, rappresenta la speranza che si traduce in azione. Sembra sempre in movimento, anche quando è fermo. Dosa humor e severità, stasi e slancio, diventa quasi il mare che manca alla pellicola. Il personaggio di Don Rega è ispirato, anche nel romanzo di Rea, a Padre Antonio Loffredo, parroco della Sanità che con il suo lavoro nel, e per, il sociale ha saputo restituire un futuro migliore a molti giovani, lasciando godere di un presente più sereno il suo quartiere.


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