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Il cantante Nino D'Angelo

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È uscito in libreria “Il poeta che non sa parlare” di Nino D’Angelo, pubblicato da Baldini + Castoldi, un volume autobiografico ma diverso rispetto a un’autobiografia tradizionale.

È una memoria che non impone alcun ordine alle proprie tappe della vita: affronta la miseria divorata dalla periferia, fino alla ribalta, al successo musicale che ha scavato con profondità ogni anima partenopea (e non). Un capitolo importante dell’artista riguarda la sua vita attoriale, dagli inizi con le pellicole a basso costo, fino al momento autoriale, sostenuto da un insospettabile intellettuale come Goffredo Fofi.

L’ironia e la leggerezza sono movimenti caratteriali che premono sul testo, senza che D’Angelo si privi di quell’ossatura drammatica, bagnata di lirismo: «Il primo che mi ha dato la possibilità di fare cinema è stato Ninì Grassia. Mi trovavo al Teatro La Perla di Agnano e subito dopo lo spettacolo mi venne a trovare in camerino. Era il periodo del terremoto a Napoli e diverse compagnie teatrali si stavano sciogliendo perché la gente non andava nei posti chiusi per paura di nuove scosse. Era molto meravigliato che quella sera ci fosse invece tanta gente e mi disse in modo simpatico: «Come mai la gente con te riesce a superare la paura del terremoto?», «Forse crede che sono un artista antisismico», gli risposi io scherzando, ed entrambi scoppiammo a ridere».

D’Angelo ha il suo “riscatto” dai jeans, una maglietta e il caschetto biondo neomelodico nel mondo cinematografico di serie A, grazie a Pupi Avati. Nel suo film Il cuore altrove interpreta il ruolo di un barbiere napoletano, emigrato a Bologna, che divide la sua stanza in una pensione con il protagonista, interpretato da Neri Marcorè. Attraverso questa pellicola vive la sua più bella esperienza sul grande schermo, trova una dimensione speciale che finalmente gli riconosce una certa qualità attoriale, adombrata sempre dalla critica, vincendo il Premio Flaiano come miglior attore non protagonista: «Lavorare con Avati è come andare a scuola. Man mano che giri, capisci che ci sono ancora tante cose che devi imparare prima di dire “io faccio l’attore”. Mi colpì quel suo modo così garbato quando mi spiegava la scena e il suo entusiasmo alla fine di ogni ciak. Mi abbracciava con un affetto straordinario e la sua contentezza mi spronava a dare sempre più il meglio di me. Questo incontro è stato un momento importante per la mia carriera di attore, e il film era così bello che fu scelto per il Festival di Cannes. Io, proprio io, quello con il caschetto biondo e i film di serie B, che aveva sbancato i cinema di mezza Italia, facendo arrabbiare critici e addetti ai lavori di quel tempo, ero lì sulla scala rossa con centinaia di fotografi da fare invidia a cento Sanremo tutti insieme».


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