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Luisa Ranieri

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UN VICE QUESTORE con tacco 12. È la protagonista della serie tv dal titolo Le indagini di Lolita Lobosco diretta da Luca Miniero, in onda in questi giorni su Rai Uno e tratta dai racconti di Gabriella Genisi. Ad interpretarla, una convincente e sempre bellissima Luisa Ranieri che sta vivendo un momento d’oro per la sua carriera: da poco ha finito di girare l’ultimo film del premio Oscar Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio. «Di certo è stato un incontro importante – racconta Luisa Ranieri – lui è meraviglioso e sono davvero felice di aver fatto parte di questo film, per di più ambientato nella mia Napoli».

Per l’attrice un momento di grande realizzazione anche come donna. «Oggi – confessa – sento di stare bene con me stessa e di non essere più alla ricerca di qualcosa». Una maturità e una sicurezza che la accomuna a Lolita, il personaggio che interpreta in questa serie: una donna, bella e determinata, che si fa strada in un ambiente prevalentemente maschile – quello della caserma – grazie alle sue capacità e al suo intuito. Qualcuno l’ha già definita “un Montalbano al femminile”. Se si pensa poi che ad interpretare il leggendario commissario amatissimo dal pubblico – neanche a farlo apposta – è il marito, Luca Zingaretti, la domanda nasce spontanea.

Possiamo già definirla una sfida in famiglia?

«Magari! Io ovviamente ne sarei onorata, anche solo per quanto riguarda gli ascolti da record che hanno sempre contraddistinto il commissario Montalbano. Non lo dico perché ad interpretarlo è mio marito ma i numeri parlano chiaro. Ovviamente mi auguro che questa serie possa avere lo stesso successo anche se, in realtà, i due personaggi sono molto diversi tra loro. Sebbene siano entrambi del Sud e facciano più o meno lo stesso lavoro, Lolita è una donna moderna, si muove qui ed oggi, mentre Montalbano è un personaggio quasi metafisico, da sempre amatissimo e difficile da riprodurre. È legato ad un mondo ”arcaico” molto diverso da quello attuale».

Lolita Lobosco è in effetti una donna all’avanguardia anche perché il suo punto di riferimento non è la famiglia ma il lavoro.

«Sì, questa è una cosa insolita, soprattutto al Sud dove la gente, prima ancora di salutarti, ti chiede: “quando ti sposi? Quando fai un figlio?”. È una specie di mantra. Io l’ho vissuto in prima persona visto che, fino a 38 anni, non ho avuto figli. Quando andavo a Napoli, prima ancora di salutarmi, mi chiedevano: ‘‘allora, quando metti su famiglia?”».

Per interpretare Lolita si è ispirata a qualche detective in particolare, magari ai personaggi di qualche film o serie americana?

«No, perché credo che lei appartenga molto alla radice italiana e non può essere interpretata scimmiottando qualcosa che non fa parte della nostra cultura. Insomma, non puoi fare un vicequestore barese guardando serie come CSI perché appartengono a due mondi opposti, parlano linguaggi troppo diversi. Io piuttosto mi faccio guidare dal primo istinto che ho appena leggo la sceneggiatura. In genere l’emozione che provo è quella che contraddistingue il personaggio. Di solito, infatti, ci impiego molto a leggere perché devo aspettare lo stato d’animo in cui sono più ricettiva per capire davvero cosa posso tirare fuori per dare il meglio in quel ruolo».

La serie è interamente ambientata a Bari, tra profumi, colori e modi di dire del suo Sud.

«Mi sono molto divertita perché il dialetto pugliese ha delle affinità con quello napoletano e quindi per me è stato come ritrovare qualcosa che, in qualche modo, mi apparteneva già. Durante le prove, per sciogliermi, esageravo imitando Lino Banfi ma poi tornavo indietro e ripulivo l’accento cercando la giusta via di mezzo. Poi, quando arrivavamo a fine giornata ed ero stanchissima perché magari avevo girato una decina di scene in piedi, sul tacco 12, con un regista che non mi faceva sedere mai, Lunetta Savino spesso mi diceva: “stai attenta che stai virando sul molfettese”».


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