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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte

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UNA “TEMPESTA perfetta” è all’orizzonte: ad annunciarla sono le 270 imprese che rischiano la chiusura, trascinando con sé un milione di posti di lavoro. E la flessione dei consumi che a fine anno si stima possa essere tra i 91 e i 110 miliardi, ben superiore ai 75 miliardi di euro stimati dal Def. Sono i numeri che raccontano il dramma delle imprese del commercio e dell’artigianato che le associazioni di categoria hanno portato al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nell’incontro a villa Pamphili nella terza giornata degli Stati generali dell’economia animata anche dalla protesta del sindacalista Aboubakar Soumahoro che, ammanettatosi davanti ai cancelli della residenza, ha chiesto risposte sulla situazione dei braccianti stranieri. L’emergenza economica post Covid 19 è solo all’inizio, e l’autunno si annuncia ancora più duro.

LA CRISI DI LIQUIDITÀ

La liquidità ancora negata a tante aziende è il tema su cui l’appello al premier da parte delle associazioni di categoria è stato corale. Il leader della Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sollecitato risposte urgenti, sulla stessa linea il presidente della Confesercenti, Patrizia De Luise, che ha sottolineato come il sistema creditizio italiano continui «a essere inefficace, in particolare per le piccole e medie imprese, considerate più rischiose per le banche». Un ostacolo questo, ha rilevato, che rischia di impedire «alle attività minori l’accesso ai prestiti che il piano Next Generation Eu potrebbe sbloccare».

LE CRITICITÀ SU GARANZIA SACE

«Criticità» di cui il premier si è detto consapevole, con particolare riguardo alle garanzie Sace. «Una misura – ha riconosciuto – che ha presentato delle criticità che io stesso non ho nascosto». Conte ha sottolineato che in questa fase di emergenza il governo si sta misurando con le «difficoltà oggettive del Paese: apparati burocratici, mentalità radicate, strategie dei vari uffici pubblici e dei partner privati di questi progetti». «Negli ultimi giorni, se guardo ai dati e ai flussi che seguo costantemente, stiamo però assistendo a un miglioramento in questo meccanismo e la sensazione è che anche le imprese bancarie, dopo l’iniziale assestamento, inizino a creare flussi di erogazione più consistenti e più apprezzabili», ha poi affermato, non escludendo la possibilità di far ricorso a nuovi strumenti di sostegno.

Intanto, ha rassicurato i rappresentanti delle imprese sul processo di transizione, il cashless. «Sarà dolce, fair e gentile», ha affermato, aggiungendo che si potranno utilizzare le risorse del Recovery Fund: «Nel Recovery plan italiano che presenteremo a settembre dovremo selezionare investimenti specifici, c’è possibilità di evitare aggravi per i commercianti per i pagamenti digitali e per le attrezzature necessarie, possiamo chiedere investimenti per favorire una transizione dolce e gentile verso questo piano, non ci saranno penalizzazioni e ci piacerebbe che voi foste pienamente partecipi di questo Patto».

L’ALLARME DELLE AZIENDE

Da Confcommercio è arrivato l’appello a stringere i tempi, e non solo sui finanziamenti. Ma anche su «estensione delle moratorie fiscali, eccesso di burocrazia, riduzione della pressione fiscale e del costo del lavoro». Se si tarda a tradurre il confronto in risultati concreti, ha sottolineato Sangalli, «c’è il rischio di una ‘tempesta perfetta’ che, tra aumento dei costi e crollo dei consumi, potrebbe far chiudere 270mila imprese con la perdita di oltre 1 milione di posti lavoro». «Le misure di lockdown hanno avuto un impatto pesantissimo sulle imprese, in particolare nel commercio, nel turismo e nei servizi – gli ha fatto eco De Luise – Stimiamo che a fine anno la flessione dei consumi possa essere tra i 91 e i 110 miliardi, ben superiore ai 75 miliardi di euro stimati dal Def».

In questa situazione, i fondi comunitari sono un’occasione imperdibile, ma sulla strada del rilancio, che passa «attraverso un grande piano di investimenti», incombe un male cronico, la burocrazia, ha avvertito il presidente della Cna, Daniele Vaccarino, invocandone la riforma che «deve ispirarsi al modello delle autorizzazioni ex ante rafforzando i controlli ex post. Per accelerare le opere pubbliche, bisogna avviare quelle piccole già cantierabili e adottare il modello Genova per le grandi infrastrutture».


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