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SONO stato uno dei pochi nel criticare la scelta di non inserire gli interventi relativi alle autostrade nel Pnrr; in proposito ho criticato tale scelta perché la Verifica di Impatto Ambientale (VIA) per le opere viarie, quella effettuata nel nostro Paese, tiene conto anche delle incidenze climatiche e, quindi, non aver inserito opere stradali e solo reti ferroviarie è stata una miopia, è stata solo una ignoranza imperdonabile delle squadre di ministri dei due governi Conte 1 e Conte 2.

Sono stato, nella redazione del Piano Generale dei Trasporti, tra quelli che non condivise la cosiddetta “predeterminazione modale”, cioè l’obbligo, per alcune filiere merceologiche, di utilizzare solo la modalità di trasporto ferroviaria e ad insistere nel trasferimento di una quota rilevante di merci dalla strada alla ferrovia solo attraverso un intelligente rilancio della offerta ferroviaria Sono stato sempre convinto che la capillarità delle reti stradali e la capacità delle reti autostradali nel servire le aree della produzione, costituisce sicuramente una delle condizioni fondamentali di crescita del Prodotto Interno Lordo. Sono, infine, da sempre pieno assertore della validità di quella strategia che ha praticamente reso in passato il nostro Paese industrialmente avanzato e mi riferisco alla azione congiunta di Eni, Iri e Fiat che, come ho detto pochi giorni fa in un’altra mia nota, hanno realizzato la rete portante del nostro sistema autostradale, hanno garantito un approvvigionamento di carburante capillare su tutto il territorio nazionale ed hanno prodotto un mezzo di trasporto accessibile in termini economici.

Questa premessa, questi miei convincimenti sulla essenzialità della offerta di trasporto su gomma, impone una distinzione, o meglio, una precisazione su una serie di dichiarazioni prodotte ultimamente dall’amministratore delegato della Società Autostrade per l’Italia (ASPI) ingegner Roberto Tomasi. Riporto di seguito alcune sue ultime dichiarazioni: “In Europa l’Italia è al quarto posto per sviluppo delle autostrade dopo Germania, Francia e Spagna ed abbiamo però un volume di traffico molto più alto, circa il 65% in più rispetto alla media europea e siamo i primi per complessità in termini di ponti, viadotti e gallerie, cinque sei volte in più rispetto al resto d’Europa. Negli anni ’70 era già sviluppato l’85% della nostra rete, eravamo il primo Paese ad avere un vero sistema autostradale e rispetto al 1995 l’Italia ha investito il 50% in meno della Germania e il 48% in meno della Francia”. Ebbene, alla domanda c’è un pregiudizio contro il trasporto su gomma? L’amministratore delegato Tomasi ha risposto: “Sì, se guardiamo anche al Pnrr come è stato concepito; non ho nulla contro i treni tuttavia è un principio strutturalmente sbagliato perché occorre guardare a che cosa genera il benessere del Paese, come le autostrade. Primo obiettivo è ammodernare l’infrastruttura esistente, poi occorre potenziarla, ci sono alcuni nodi da sciogliere, alcuni tratti da potenziare e da ammodernare. Se no le stesse aziende delocalizzano, come sta già accadendo lungo la dorsale adriatica. Oggi sono saturi 2.000 Km su 7 mila e su questi si concentrano ponti e gallerie. Sono numeri che indicano quel che andava fatto con i fondi del Pnrr sulle nostre autostrade. Potremmo discutere a lungo sul perché si è arrivati a questo punto ma se vogliamo valorizzare il patrimonio esistente è meglio potenziare quel che già c’è piuttosto che progettare nuove autostrade. La vera eccezione, col Pnrr, è la Gronda di Genova, fondamentale per evitare che le merci e le autostrade attraversino la città e per dotare il primo porto d’Italia della rete necessaria. È una delle opere ingegneristiche più importanti e complesse mai realizzate in Europa. Sempre in questi prossimi mesi si avvieranno grandi opere come il passante di Bologna, gli snodi fiorentini, la Milano – Lodi e, sempre nei prossimi mesi apriremo i cantieri e, sempre prossimamente, apriremo i cantieri avendo acquisito tutte le autorizzazioni. Con il governo Meloni e con il ministro Salvini c’è un cambio di velocità, lo si vede dalla progressione degli investimenti, la sensibilità all’ascolto è aumentata e lo stimolo per aprire i cantieri viene anche dalle Regioni, dalle Amministrazioni e dalle comunità locali”.

In queste dichiarazioni in piena difesa della rete autostradale, dichiarazioni tutte ampiamente motivate ed a mio avviso giuste, noto solo un fatto: un evidente annullamento di un passato, quello legato agli interessi della famiglia Benetton, ed in questo non metto in evidenza il tragico caso del ponte Morandi ma la scarsa volontà a realizzare, davvero, in passato la gronda di Genova addossando la responsabilità alle richieste locali di cambiamento del tracciato e alle lungaggini burocratiche sia dell’organo locale (soprattutto la Regione Liguria) che del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del ministero dell’Ambiente; e realizzare davvero il nodo autostradale di Bologna anche in questo caso dando la colpa alla Provincia di Bologna ed alle lentezze burocratiche dell’organo locale e dell’organo centrale.

Potrei continuare ad elencare tanti altri casi in cui la vecchia proprietà ha preferito non investire ottimizzando al massimo i margini prodotti dai pedaggi. Lo so e ne sono convinto con Tomasi l’aria è cambiata ma purtroppo i “miasmi” del passato non è facile disperderli.


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