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Renato Schifani, presidente della Regione Sicilia

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Schifani, presidente della Regione Sicilia: «La decisione di una nostra compartecipazione al Ponte sullo Stretto non è mai stata condivisa»

SUL Ponte sullo Stretto traballa l’unità della coalizione di governo, già scossa dal braccio di ferro sul Superbonus nella maggioranza. E il cantiere della manovra, che già accumula ritardi su ritardi, diventa il campo di uno scontro tutt’altro che sotterraneo tra i partiti che puntellano l’esecutivo. Se le opposizioni accolgono il dirottamento sul Ponte di una parte della dote del Fondo di sviluppo e coesione destinata alla Sicilia e alla Calabria gridando allo scippo al Sud, le reazioni dei parlamentari siciliani di Forza Italia non hanno un tenore diverso. Dal canto loro i “colleghi” leghisti negano il “golpe” e invitano il vicepremier azzurro Antonio Tajani a dissociarsi dai «forzisti critici».

La nota della Regione Sicilia racconta invece l’effetto sorpresa sortito sull’isola della rimodulazione del finanziamento degli 11,6 miliardi necessari per portare a compimento il Ponte sullo Stretto, messa nero su bianco in un emendamento del governo alla manovra, riducendo a 9,3 miliardi l’impegno dello Stato e recuperando 1,6 miliardi dalla quota Fsc destinata a Calabria e Sicilia e i restanti 718 milioni da quella riservata alle amministrazioni centrali. “La decisione governativa per cui la quota di nostra compartecipazione debba essere di 1,3 miliardi non è mai stata condivisa dall’esecutivo regionale”, recita il comunicato della Regione Sicilia guidata dal forzista Renato Schifani.

Si ricorda che la Regione si era impegnata a contribuire con circa un miliardo (di Fondi Fes 2021-2027) alla realizzazione dell’opera “considerata strategica” (disponibilità poi ridimensionata di fronte alla ‘scoperta’ di dover far fronte alla realizzazione di opere programmate dal precedente esecutivo regionale e nuovi interventi “di forte impatto economico e strategico”, ndr).

E si chiude con “l’auspicio della Presidenza della Regione che il ministro Salvini si possa attivare per restituire le maggiori risorse sottratte alla Sicilia, necessarie per sostenere importanti investimenti per lo sviluppo dell’Isola”.

La risposta di Salvini arriva a stretto giro. Per il viceministro leghista «è assolutamente ragionevole che ci sia una compartecipazione, seppur minima» delle Regioni Sicilia e Calabria, compartecipazione, sostiene ai microfoni di Radio 24 «condivisa con i due presidenti». Il Ponte sullo Stretto, aggiunge, «non è un’opera pubblica che unirà solo Sicilia e Calabria, ma tutta l’Italia» ed è «un anello che congiunge altre decine di miliardi che stiamo investendo in infrastrutture in Sicilia e Calabria».

Una nota del Mit prova a chiudere le polemiche: “Il dossier Ponte sullo Stretto prosegue come da programma: c’è la totale copertura economica e la giusta partecipazione finanziaria delle Regioni Sicilia e Calabria. L’obiettivo è rispettare i tempi, iniziando i lavori nel 2024, per offrire a tutti gli italiani un’opera attesa da decenni».

Ad agitare le acque anche la richiesta di un referendum consultivo sull’opera che arriva dalla sponda calabrese. A farla è il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita: «Salvini agisce come se il Ponte sia sostenuto e apprezzato dalla popolazione calabrese, è forse venuto il momento di fare chiarezza su questo punto. Si faccia, come prevede lo Statuto della Regione Calabria, un referendum consultivo su questa opera e sulla sua obiettiva utilità. Si pronunci il corpo elettorale calabrese se effettivamente vale la pena sacrificare tutto per una sola opera». «Me proprio questo governo vuole realizzare il Ponte – aggiunge – non lo faccia con i soldi della Calabria. Salvini si costruisca il suo giocattolo con i soldi della Padania». Dal Ponte al Superbonus, la manovra è fonte di fibrillazioni continue per la maggioranza.

Nella replica al Senato dopo il dibattito in vista del Consiglio Ue al via oggi, la premier Giorgia Meloni torna a tuonare contro il bonus edilizio e i suoi promotori: «Qualcuno dovrà fare i conti con la coscienza in merito al Superbonus, il più grande regalo fatto a truffatori e organizzazioni criminali, lasciando aziende e famiglie per bene in un mare di guai». Parole arrivate all’indomani del niet del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che non aveva comunque spento del tutto la speranza degli esponenti di Forza Italia – che trova qualche sponda nel partito della presidente del Consiglio -, determinati a spuntare una proroga di tre mesi per consentire di portare a termine i lavori ha completato almeno il 70% i lavori. La possibilità di un intervento ad hoc nella manovra appare tramontata, ma la partita potrebbe riaprirsi con il Milleproroghe. Una finestra cui guarda anche Tajani. C’è «un’interlocuzione aperta» tra governo e maggioranza su una «proposta che non abbia proroghe nè oneri per uscire in maniera ordinata» dal Superbonus, racconta uno dei relatori al Ddl di bilancio in Senato, Guido Quintino Liris (FdI), “fautore” della proposta. Liris spiega che la misura sarebbe senza oneri sul 2024 perché «massimalizza l’imputazione della spesa sul 2023».

Se dovesse arrivare disco verde, appare comunque più probabile che la misura entri nel Dl Milleproroghe che nella manovra. Tempestoso anche il procedere dei lavori in Commissione, con le opposizioni che puntano il dito contro le proposte di modifiche presentate dai relatori che, sostengono, impegnano più dei 100 milioni del tesoretto parlamentare. Nel pacchetto di modifiche depositate a Palazzo Madama compare una lunga serie di micro-misure: dalla proroga fino a dicembre 2024 dello stato di emergenza per l’accoglienza degli ucraini in Italia, fino all’accesso prioritario per il fondo di garanzia per i mutui a favore delle famiglie con almeno tre figli. Spunta un fondo per le spese veterinarie, la conferma dell’Iva al 10% sul pellet per il primo trimestre del prossimo anno, e più tempo ai comuni per cambiare le aliquote dell’Imu: i cittadini chiamati al secondo versamento il 18 dicembre potrebbero quindi dover pagare la differenza tra un paio di mesi.

In attesa di trovare una sintesi si allungano i tempi per l’approvazione della Finanziaria. Le votazioni degli emendamenti in commissione Bilancio al Senato dovrebbero iniziare nella migliore delle ipotesi venerdì o addirittura la prossima settimana facendo ulteriormente slittare tutta la tabella di marcia. L’esame infatti delle proposte di modifica partirà dopo la deposizione dei subemendamenti ai testi di governo e relatori e il termine viene spostato a oggi alle 15 ma è probabile che venga posticipato ancora. Di conseguenza l’iter parlamentare si chiuderebbe a ridosso di Capodanno, in zona Cesarini.


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