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IL SUD si spopola, soprattutto di giovani, e in parallelo “scompaiono” gli imprenditori under 35: il tutto si trasforma in perdita di Pil e ricchezza. A lanciare l’allarme è l’analisi dell’Ufficio studi Confcommercio “L’importanza dell’imprenditoria giovanile per il benessere economico”, presentata ieri a Bari in occasione del Forum nazionale dei Giovani imprenditori di Confcommercio. Dal 2011 a oggi sono scomparse in Italia 165mila imprese condotte da under 35, mentre il tasso di imprenditoria giovanile si è ridotto del 2,9%, ma le performance peggiori si registrano al Sud.

I NUMERI DELLA CRISI

«La crisi demografica – si legge nel report – è un tema pericolosissimo soprattutto per il Sud: negli ultimi 10 anni tutta la perdita dei residenti in Italia, circa un milione, è perdita del Sud. E tutta la perdita è perdita di giovani, con gli anziani che crescono. Il Mezzogiorno, in particolare, perde 1,6 milioni di giovani in 10 anni, quanto tutto il resto del Paese e anche di più. Ma, oltre alla demografia endogena, il Sud soffre l’emigrazione e non è attrattivo per gli immigrati». In Italia, negli ultimi 40 anni, sono “scomparsi” 10 milioni di giovani ed è quasi raddoppiata la quota di ultrasessantacinquenni. In undici anni, dal 2011 a oggi, come detto, l’Italia ha perso 165mila imprese giovani, condotte cioè da imprenditori sotto i 35 anni. In parte questo è il risultato della transizione demografica eppure, facendo gli opportuni confronti, da una parte è vero che la popolazione scende dell’1,8% e quella della fascia 25-39 anni scende del 17,9%, dall’altra il totale imprese scende del 2,8%, ma quelle giovani del 26,3%. «Con la conseguenza aritmetica – dice lo studio – che è proprio il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale delle imprese, a ridursi, di ben 2,9 punti percentuali assoluti tra il 2011 e il 2022. Sono numeri drammatici che testimoniano la crisi della società imprenditoriale nel nostro Paese. Quando si deprimono i valori del fare impresa, che oggettivamente sono incarnati specialmente dai giovani imprenditori, la crescita langue o scompare del tutto». Senza questa perdita di imprese giovani, oggi l’Italia avrebbe 42 miliardi di Pil in più e, se nei prossimi dieci anni questa quota di imprese crescesse del 5%, nel 2033 la quota di Pil aggiuntiva sarebbe pari a oltre 74 miliardi. Secondo quanto si legge nel documento, «i risultati indicano che la quota di imprenditori giovani sul totale ha un impatto positivo e statisticamente significativo sulla crescita economica, a parità di altre condizioni: se in un anno e in una provincia “x” la quota di imprenditori aumenta dell’1%, il Pil cresce dello 0,7% in più rispetto a uno scenario base in assenza di variazione della propensione giovanile all’imprenditoria».

IL COSTO DELLA FUGA DAL SUD DEGLI IMPRENDITORI

L’analisi, in sostanza, dimostra che la crescita dipende in modo cruciale anche dal tasso di imprenditoria giovanile, veicolo di innovazione, scommessa sul futuro, piena e responsabile assunzione del rischio di esplorare vecchi e nuovi problemi e sperimentare nuove soluzioni. Senza imprenditori, che entrano nel mercato quasi sempre giovani, la crescita economica si dissolve. «Solo i giovani – si legge – e soprattutto i giovani imprenditori, possono imprimere una svolta alle tendenze in atto, rialzare il Pil, soprattutto al Sud. Serve un ritorno alla società imprenditoriale. E i giovani devono esserne i costruttori e i protagonisti». La riduzione del tasso di imprenditoria giovanile è, in definitiva, costosa in termini di crescita della produttività dei fattori e di quella sistemica, quella che una volta si chiamava progresso tecnologico. Se da domani, e per i prossimi dieci anni, la frazione di imprese giovani crescesse del 5%, con distribuzione uniforme nei prossimi 10 anni, a parità di altre condizioni, nel 2033 il Pil sarebbe maggiore del 3,5% rispetto allo scenario base (crescita dell’1%), pari a oltre 74 miliardi di euro aggiuntivi a prezzi costanti. «Quello che è mancato – conclude lo studio – è l’attenzione ai giovani e alla giovane imprenditoria, la parte più vitale della società imprenditoriale, specialmente nel terziario di mercato e che, sola, può salvare il nostro Mezzogiorno».


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