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Lavoro: meglio parlare di salario degno piuttosto che di salario minimo, in Italia un lavoratore su cinque è un lavoratore povero

CERTAMENTE dobbiamo tutti lamentarci di come funziona male la macchina pubblica del nostro paese ma in questi momenti di profonda crisi economica e sociale dobbiamo soprattutto preoccuparci che nessuno sia lasciato indietro. Tutti devono essere aiutati a rimettersi in piedi quando sono in difficoltà e soffrono di ristrettezze economiche. Questo non significa assistenzialismo. La dignità viene dal lavoro e se c’è un diritto è quello che ciascuno possa vivere felicemente del proprio lavoro, provvedendo a figli e famiglia. Non si rende felice una persona dandogli un sussidio o promettendogli aumenti in busta paga, ma garantendogli un lavoro adeguato alle sue capacità, prospettando un percorso di realizzazione professionale e personale. Il lavoro è parte della realizzazione di sé, è il nostro modo di prenderci cura del mondo: in Italia c’è la grave questione dei lavoratori poveri. Sono delle persone che pur lavorando, hanno un reddito inferiore a 1000 euro al mese, un ammontare che a malapena copre le spese al supermercato per gli alimenti di un nucleo familiare di tre persone.

Ebbene, in Italia, paese membro del G7, un lavoratore su cinque è un lavoratore povero. Quindi, più che di un salario minimo di 9 euro all’ora sarebbe meglio e piu opportuno parlare di salario degno. Poi, oltre ai vari milioni di lavoratori poveri, c’è poi in Italia chi non può lavorare, non riesce a trovare un lavoro dignitoso o non riesce più a inserirsi nel mondo del lavoro. E anche queste persone fanno a tutto diritto parte della nostra società. La loro attività, senza essere lavoratori stipendiati, è spesso preziosa per alcuni servizi sociali, come l’assistenza domiciliare e il volontariato, sempre più necessari di fronte alla crescita demografica negativa e al progressivo invecchiamento della società italiana.

La politica, quindi, deve pensare anche a coloro che, non per cattiva volontà, ma per mancanza di offerta o inadeguatezza o carenze relazionali, non riescono proprio a svolgere o mantenere un lavoro: in Italia le attuali politiche economiche del governo Meloni non sono per il bene di tutti e stanno creando inevitabilmente ingiustizie e disuguaglianze, come ha fatto la brutale cancellazione del reddito di cittadinanza. Infatti, se lo Stato democratico non è garante di benessere sociale e di uguaglianza di possibilità, come garantisce la Costituzione Italiana, non è più a servizio dei suoi cittadini.

Oggi, a livello internazionale, ci troviamo di fronte a una finanza globale che è un mostro omnivoro con la testa tesa a proteggere le aziende multinazionali e i grandi capitali, capace di logorare risparmi dei cittadini e divorare i loro beni personali (vedi i mutui sulla casa) che – attraverso i mercati finanziari che manipola per i suoi interessi – è capace di mettere in ginocchio interi Stati (come le recenti crisi di Argentina, Ghana, Pakistan, Sri Lanka, eccetera dimostrano) e economie nazionali come quella fragile Italina. Insomma, la finanza deve riscoprire la sua originaria destinazione che è il servizio all’economia reale, un principio che forse può apparire obsoleto e fuori moda. Infatti, creare valore, facendo circolare i capitali, può generare una circolarità virtuosa di ricchezza da investire. Non deve invece ridursi ad attività di ricerca di rendite immateriali e spesso anche speculative che vanno a rimpinguare la cassa di fondi dei quali spesso non sappiamo nemmeno chi siano i detentori, frequentemente domiciliati in comodi paradisi fiscali. Occorre uscire dal teorema del profitto a breve termine e puntare su delle strategie di crescita e sostenibilità a lungo termine a favore di tutti, dove anche le fluttuazioni del mercato possono essere assorbite.

Uno dei rischi maggiori per le imprese è di dover rispondere esclusivamente a chi investe, agli azionisti, al mercato, alla quotazione dei mercati mobiliari perdendo così di vista il valore sociale che esse rappresentano per il paese e il territorio che le ospitano. Per fine, il buon funzionamento della finanza dipende dalle persone che dovrebbero lasciarsi guidare dalla virtù della magnificenza, che non vuol dire beneficienza, ma la capacità di investire grandi somme in grandi opere a favore del bene comune. Destinare fondi da chi ne ha in eccedenza a chi è nel bisogno non è un cattivo affare, è costruire un tessuto sociale più coeso e stabile. Non si fa buona finanza con cattiva etica. In Italia, l’inflazione negli ultimi mesi è continuata a crescere dello 0,1. L’Unione Nazionale Consumatori calcola che un nucleo familiare di tre persone vedrà aumentare le sue spese di 1.725 euro in più in un anno, quasi due mesi del salario di un lavoratore povero.

Io sono convinto che la politica delle banche centrali (BCIE e Federal Reserve, in primi) di regolarmente innalzare i tassi di interesse, come hanno fatto negli anni recenti e minacciano di continuare a farlo, non ferma l’inflazione dei prezzi ma promuove la recessione economica e contribuisce ad aumentare le differenze sociali con i tagli della spesa pubblica (come diceva John Maynard Keynes quasi cento anni fa). Invece i prezzi di tutto non scendono o scendono molto lentamente, come ad esempio il carburante che si vende nelle stazioni di servizio. Negli anni ’70, in Italia ci era stato detto che l’inflazione era dovuta al costo del lavoro e alle rivendicazioni salariali e oggi – ci dicono gli stessi – dipende dal costo dei semiconduttori, dalla crisi energetica, dalla guerra che non finisce. Non è giusto che siano i lavoratori, i pensionati, le famiglie a doversi sobbarcare il peso dell’inflazione. A salire di più con l’inflazione sono i prezzi dei beni di prima necessità, quelli su cui si concentrano le spese delle fasce più vulnerabili, mentre i più ricchi accrescono il patrimonio grazie a investimenti mirati. Quest’estate il 40% degli italiani non ha fatto nemmeno una settimana di vacanza.

Cosa succederà nei prossimi mesi? Per la grande maggioranza degli Italiani sarà un Natale austero. L’inflazione e l’aumento dei prezzi hanno sempre avuto un significativo impatto sociale, con proteste di piazza, come è già recentemente accaduto in altri paesi europei (Francia, Inghilterra). L’unica soluzione è quindi una ripartizione equa dei costi dell’inflazione, ma serve subito un’azione politica coordinata frutto del dialogo tra le parti, Governo Meloni e partiti di opposizione (Movimento 5 Stelle, PD). Ero un convinto sostenitore del Progetto Europa dei popoli. Oggi cosa rimane? Ho l’impressione che l’Europa progredisca più grazie alle crisi che alle idee, come è successo con la pandemia. La BCE ha cambiato rotta rispetto a quanto fatto nel 2011 con la questione dei debiti pubblici e il fallimento della Grecia. Dei programmi comunitari come il Next Generation e il PNRR, se bene amministrati, tenendo lontano il male endemico della società italiana, la corruzione, possono creare opportunità, sviluppo, rilancio e ripresa. Si tratta di politiche economiche solidali, frutto di una forte reazione della politica.

Il cambiamento climatico è la grande sfida che ci attende e durerà per molti decenni, ma bisogna agire adesso e con urgenza livello internazionale e in Italia tutti assieme. Dobbiamo salvare il pianeta terra e proteggere l’umanità, perché l’estinzione come la salvezza non può che essere collettiva, di tutti noi, la ristretta minoranza e la grande maggioranza della gente.


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