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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il premier cinese Li Qiang

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Maxi intesa per una linea ferroviaria-marittima che collega l’India all’Europa con la sua sponda sul Mediterraneo. Che è strategico anche nel rapporto con l’Africa. Firmano Ue, Usa e metà Brics con India e arabi. Giorgia Meloni al suo rientro in Italia annulli la bozza del Piano Pichetto che taglia il Sud, tassello strategico del mosaico del Piano Mattei, e dica al capo della Snam che gli interessi di una società non possono ledere il bene comune. Si occupi personalmente della nomina di Franco alla Bei, è in gioco il braccio finanziario per gli investimenti in Africa.

IL RISULTATO più importante di questo G 20 in India, tutto da verificare alla prova dei fatti, è l’accordo da 600 miliardi per un nuovo corridoio ferroviario e marittimo che, passando dal Golfo Persico, collega direttamente l’India all’Europa ovviamente attraverso la sponda Sud del Mediterraneo di cui si ribadisce la posizione di centro del mondo capovolto esattamente come lo è nel rapporto con l’Africa. I soggetti coinvolti sono India, Unione Europea, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti. Il progetto concordato ai margini del G 20 esalta il punto massimo della nuova intermodalità come canale integrato dei traffici globali post pandemia e si candida a fare da contrappeso all’invadenza infrastrutturale della Via della Seta ovviamente tutta sotto l’egida della Cina di Xi Jinping. Una condanna unanime della guerra di invasione di Putin in Ucraina che si tiene lontana dagli estremi opposti di nuove sanzioni alla Russia o di apertura di dialogo con Putin tramite le Nazioni Unite, e che quindi dice di fatto poco o nulla, permette però di fare sottoscrivere da tutti i venti Paesi una dichiarazione finale che salva l’istituzione da un fallimento paventato da molti e che si sarebbe addirittura tradotto nella impossibilità per la prima volta di firmare congiuntamente un documento conclusivo.

Per capire bene di che cosa stiamo parlando dell’accordo economico che potenzialmente vale moltissimo, vogliamo essere un po’ più dettagliati. Si parte dall’India e si procede via nave container fino alla penisola arabica. All’altezza della strozzatura del Golfo Persico (stretto di Hormuz) le merci sono caricate sul treno di una nuova ferrovia, che attraversa Arabia Saudita ed Emirati, e scarica le merci in Israele. Per imbarcarsi da lì verso le rotte europee del Mediterraneo prevedendo anche la posa di cavi sottomarini. Siamo davanti a un altro tassello pesante del mosaico strategico della sfida italiana del Piano Mattei che colloca il Mezzogiorno italiano nel ruolo strategico di nuovo Nord europeo. Questo dato di fatto che è il contenuto primario della nuova Europa nel nuovo ordine mondiale, se vuole sopravvivere, mette sotto processo in modo impietoso le debolezze della politica europea come player unico nella sfida globale energetica e dell’Italia prigioniera dell’inadeguatezza di un ministro, Pichetto Fratin, e di interessi industriali miopi della Snam, che danno la precedenza a tutti i Sud del mondo carichi di grovigli autocratici e dittatoriali da dipanare rispetto al Sud italiano che ha in Gioia Tauro e in Porto Empedocle le capitali geograficamente vocate per la messa in sicurezza energetica strutturale dell’Italia e, in prospettiva, dell’intera Europa.

Se è vero, e non abbiamo ragione di dubitarne, ciò che dichiara al nostro giornale il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, la prima cosa che deve fare la premier Meloni al suo rientro in Italia è ridurre a carta straccia la bozza del piano energetico-climatico firmata dal ministro e inviata a Bruxelles revisionandolo in profondità. Deve chiederne conto con forza ai consulenti tecnici del ministro per le enormità in esso contenute semplicemente inammissibili, e chiamare a rapporto diretto il capo della Snam, Stefano Venier, perché quando i presunti interessi economici di una società ledono pesantemente gli interessi industriali del Paese e il bene comune della nazione il governo ha addirittura l’obbligo di fermare con urgenza assoluta tali scelleratezze. Nel nuovo mondo multipolare dove sono saltate le catene tradizionali della logistica globale e permangono gli effetti della guerra mondiale delle materie prime con il suo carico inflazionistico allargato scatenato dai carri armati russi in Ucraina, il rapporto con l’India e una parte dei Paesi Brics così come quello con l’Africa sono di rilevanza strategica.

L’Africa è fondamentale per l’Europa, in modo particolare per l’Italia. Perché è sotto di noi. Perché ha una demografia gigantesca e noi come Italia e come Europa abbiamo bisogno di un’Africa amica politicamente e economicamente. È un banco di prova decisivo per capire come l’Europa si afferma nel mondo e, prima ancora, se esiste o è del tutto sparita come soggetto unico. La cosa davvero strana, oltre che amara, è che seppure frazionata e divisa, l’Europa ha dato molto al continente africano ricevendone molto poco in cambio. Proprio il modo di agire frazionato e a volte addirittura concorrenziale se non proprio divisivo, ha sempre fatto in modo di trarre pochissimi benefici dalla azione svolta. Uno degli strumenti con cui l’Europa può fare sentire il suo peso è proprio la Bei Global che segue gli investimenti fuori dalla Europa e ha l’Africa al suo primo posto. Dato che di per sé dovrebbe consigliare alla Meloni di spendere tutto il suo peso politico per ottenerne la guida con l’ex ministro dell’economia del governo Draghi, Daniele Franco, una candidatura tecnica che se sostenuta politicamente ai massimi livelli dal governo può prevalere sulla candidata spagnola sostenuta dai socialisti e quella danese sostenuta dai liberali, entrambe di valore, ma non di peso superiore a Franco. Il governo Meloni potrebbe anche spendersi il vantaggio derivante dal dato oggettivo che senza questa nomina sarebbe l’unico dei grandi Paesi a non avere nemmeno una posizione di vertice in Europa scavalcata perfino dalla Spagna. Sul punto specifico dell’Africa è evidente che l’Europa tutta deve perseguire una strategia continuativa di intervento sul piano finanziario, politico, militare. Deve esprimere una strategia che sia realmente alternativa sul campo a quella russa-cinese già molto più avanti di noi. I cinesi hanno comprato tutto il comprabile in Africa e hanno mandato gli operai. I russi hanno mandato le milizie della Wagner. Noi con i paracadutisti francesi sempre più perdenti e le loro roccaforti espropriate, siamo al momento fuori dalla partita o almeno abbiamo problemi seri a rientrarci avendo peso e consenso.

Sull’altro fronte, quello dei Paesi Brics, bisogna prendere atto che India, Brasile, Sud Africa e, soprattutto Cina, a sua volta in competizione con l’India, vogliono emanciparsi con posizioni più autonome rispetto a Stati Uniti e Europa avendo assunto la consapevolezza di rappresentare Paesi sempre più popolosi e economie sempre più pesanti. Diciamo che è anche abbastanza logico che, in questo mondo capovolto, non vogliano continuare a prendere ordini come prima da Washington e da Bruxelles. Siamo arrivati al dunque. Bisogna ancora rispondere alla domanda di Kissinger: se voglio sapere qual è la posizione dell’Europa mi dite il numero di telefono che devo chiamare? Il concerto europeo degli Stati sovrani degli anni cinquanta ha prodotto una sola posizione europea nelle politiche commerciali e oggi i risultati si vedono perché quando si agisce da soli si conta nulla e invece qui, rimanendo insieme, siamo decisivi nel commercio globale visto che le nostre posizioni su dazi, tariffe, tutto, pesano e determinano decisioni a noi favorevoli.

Se vuole contare davvero in Africa e in India e, soprattutto, se vuole continuare a giocare un ruolo sullo scacchiere globale, l’Europa si deve dotare di una strategia federale che permetta di fare investimenti nelle dimensioni che i singoli Stati non possono più assicurare e possa finalmente esprimere una politica comune di regole fiscali, ancorché flessibili, di politica estera e militare. Questo è il punto di respiro strategico mondiale che l’Europa deve riuscire a realizzare in tempi stretti e che non potrà mai conseguire senza una leadership riconosciuta nel mondo. Ogni riferimento alle idee e alla figura di Mario Draghi è puramente voluto.


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