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Giorgia Meloni

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I no ostinati ungheresi e polacchi creano lo spazio per una Destra ragionevole che con le prese di posizione distinte e il ruolo di dialogo elimina il problema della Destra sovranista. Quei no giocano a favore della Meloni. Che verrà misurata dalla capacità della sua leadership di pilotare su sentieri moderati non sovranisti una stagione di stabilizzazione europea. Il cammino è complicato, ma ha una sua fondatezza perché a tutti conviene la stabilità. La Meloni farebbe in Europa, in modo diverso, quello che sta facendo in Italia. È colei che con la sua Destra ragionevole si offre per la stabilizzazione del sistema. Come ha già fatto in casa dove molti pensavano che avrebbe spaccato e ha invece preservato il miracolo economico di Draghi.

Paradossalmente le impuntature sovraniste di polacchi e ungheresi sul tema dei migranti con i loro veti indecenti possono svolgere una funzione positiva di chiarificazione nei futuri assetti politici europei. Perché mettono a nudo la possibilità concreta che non ci sia più in Europa un problema di contrapposizione tra Destra sovranista, da un lato, e Sinistra riformista e Popolari dall’altra. I no ostinati ungheresi e polacchi spianano la strada perché si appalesi sulla scena una forza politica che con le prese di posizione distinte e il ruolo costante di dialogo mette in campo una Destra ragionevole che agli occhi di tutti coloro che non sono prevenuti dimostra che il problema storico non c’è più. Quindi, senza neppure saperlo, i sovranisti polacchi e ungheresi giocano a favore della Meloni e dell’Italia.

Ovviamente bisogna mantenere la barra dritta e ancorare ogni valutazione a contenuti e alleanze che ne discendono su questo o quello dei singoli aspetti. Diciamocela tutta. Proprio quello che è accaduto all’ultimo vertice europeo dimostra che c’è uno spazio da occupare che è quello di una Destra moderata che Giorgia Meloni può occupare e, in parte, sta già occupando. Questa è davvero la sua sfida cruciale in Europa. Sono proprio i no sovranisti alle sue mediazioni che rendono plastiche le differenziazioni e aprono spazi di crescita per il suo collocamento strategico in Europa. I successori della Merkel sono palesemente inadeguati alle sfide che la complessità globale impongono. Macron è alle prese con problemi interni di dimensioni strutturali e, purtroppo, addirittura crescenti.

Il governo italiano guidato dalla prima donna premier può sfruttare il vantaggio competitivo ricevuto in eredità da Draghi e preservato con accortezza dell’unico miracolo economico che c’è oggi in Europa, ma si trova al bivio della storia su cui verrà misurata la capacità della sua leader di sapere pilotare su sentieri moderati non sovranisti una stagione di stabilizzazione italiana che può diventare addirittura europea. Sono ovviamente cose complicate da realizzare, ma non impossibili. Di sicuro perseguibili mescolando realismo e buona tattica.

La verità è che in tutti i Paesi europei c’è un calo di capacità decisionale di governo perché con le elezioni a giugno si rallentano le decisioni dato che ognuno liscia le proprie opinioni pubbliche. In questo contesto politico europeo frazionato e diviso la Meloni sta andando bene, è riuscita a imporsi e a guadagnare un suo spazio. Ha superato gran parte delle temperie e dei pregiudizi che c’erano nei suoi confronti. Sono risultati affatto scontati. La gente in casa ci mette un po’ a rendersi conto che vive in un Paese in cui c’è una maggioranza che gran parte di loro non amerebbe, ma se vedono che le cose soprattutto in economia vanno bene o vanno comunque meglio di prima alla fine se ne fregano che il governo è di Destra.

Anche sullo stesso Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che chi scrive ritiene giustissimo ratificare perché è un paracadute in più e genera immediato sollievo sui tassi dei nostri titoli sovrani, però va pure detto che il quadro decisionale di sospensione che avvolge i Paesi europei finisce con ridurre tutto a una questione di bandierine da contesa politica interna. Fuori dall’Italia, ai vertici dell’Europa, da un lato, nessuno dubita davvero che il nostro Parlamento non ratifichi il Mes e, dall’altro, non si avverte questa assoluta impellenza che la pratica si chiuda ad horas.

Per cui alla fine della giostra la Meloni potrebbe avere gioco relativamente facile a fare recuperare un po’ di ragionevolezza a Salvini e a imporre a una parte sempre più ristretta dei suoi pasdaran di smetterla di accendere focolai pericolosi avendo peraltro già Forza Italia dalla sua parte. Paradossalmente in autunno l’Europa ancora di più di oggi potrebbe trovarsi a scoprire che è proprio la Meloni a servire più degli altri nella speranza di tenere un minimo sotto controllo queste componenti di matti come sono polacchi e ungheresi che dovrebbero essere riportati alla ragione con argomenti molto più spicci a loro sicuramente più comprensibili. Non volete votare con gli altri, peraltro divisi tra di voi negli ancoraggi internazionali? Bene, allora non avrete più i soldi dell’Europa.

Tutto ciò si inserisce nel dibattito di fondo di come saranno gli equilibri europei dopo le elezioni? Sarà vero che si riuscirà a fare una maggioranza di tipo diverso? Francamente non crediamo che sia possibile ribaltare tutto con un’alleanza tra popolari e conservatori semplicisticamente accreditata in casa nostra, bisognerà vedere quanto soffia davvero forte il vento della Destra in Europa, l’ipotesi più probabile è una maggioranza con dentro socialisti, popolari e conservatori e dove la Meloni come leader dei conservatori avrebbe anche un rapporto privilegiato con una parte dei conservatori. Questa ipotesi ha una sua fondatezza perché a tutti conviene la stabilità.

In particolare, la Meloni farebbe in Europa, in modo diverso, quello che sta facendo in Italia. È colei che con la sua Destra ragionevole si offre per la stabilizzazione del sistema. Come ha già fatto nel nostro Paese dove molti pensavano che avrebbe spaccato su tutto e tutti e invece sta garantendo soprattutto in economia di andare avanti sulla linea di Draghi. Alla fine la gente queste cose le vede. La scelta di Figliuolo, certo, che un po’ centralizza, a nostro avviso in modo sacrosanto, ma se hai tre regioni – non una anche se due sono più piccole – è ovvio che hai bisogno di uno che garantisca che tutto non diventi una lotta per spartirsi qualcosa.

Anzi, hai anche l’obbligo di dare alle regioni tutte le autonomie e le efficienze che possono avere che non sono però quelle di un piccolo governo di un piccolo Paese perché già quello nazionale è tutto sommato piccolo e con sempre meno abitanti. Piuttosto la Meloni si preoccupi di non lasciare mai solo Fitto nella partita chiave del Pnrr e dell’utilizzo di tutti i fondi europei perché sta facendo un lavoro prezioso che produce frutti nel lungo termine. Nel breve, però, va sostenuto con intelligenza sia nelle interlocuzioni con i funzionari europei che hanno paura della Corte dei conti europea e sono resi inquieti dai venti incerti della politica sia dentro l’amministrazione pubblica italiana che deve capire una volta per tutte che bisogna cambiare passo. Perché non potremo continuare a crescere se non avremo una macchina degli investimenti che recuperi visione, organizzazione e dinamismo. Qui non esistono scorciatoie e non si può sbagliare.


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