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Un momento delle consultazioni di Mario Draghi

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Vedere e ascoltare a ogni ora il confronto televisivo con pari dignità del pensiero economico di Di Battista e di Paragone, e del pensiero economico di Mario Draghi che ha salvato l’euro e l’eurozona, certifica che ci sono schiere di orchestrali del talk permanente italiano che con la testa e con il corpo sono ancora lì a ballare e saltare sulla tolda del Titanic Italia. Come si può accettare da spettatori di sentire il primo (Di Battista) e il secondo (Paragone) spararle grosse, anzi grossissime, senza dimostrare mai niente e senza ricordare mai nulla?

Vedere e ascoltare a ogni ora il confronto televisivo con pari dignità del pensiero economico di un uomo senza mestiere e senza mandato parlamentare, Alessandro Di Battista, e del pensiero economico di Mario Draghi che ha salvato l’euro e l’eurozona, che uno stimato ministro americano dell’economia, Larry Summers, ha definito il più grande banchiere centrale del mondo degli ultimi trentacinque anni, certifica che ci sono schiere di orchestrali del talk permanente italiano che con la testa e con il corpo sono ancora lì a ballare e saltare sulla tolda del Titanic Italia.

Mi ha fatto piacere sentire in diretta le parole di condanna sul metodo del direttore del Quotidiano Nazionale, Michele Brambilla, perché perdere i fondamentali nel racconto di un Paese è un qualcosa che ci rende molto simili alle repubbliche sudamericane.

Purtroppo questo vizio strutturale del nostro modo di fare informazione contagia, con le dovute eccezioni, la televisione italiana che è l’ambito di discussione che più influenza la formazione della pubblica opinione. Tutto ciò continua sistematicamente a dominare nonostante un sussulto di buon senso della più screditata classe politica italiana. Che prova a riunirsi sotto le bandiere di un governo di unità nazionale che chiami a raccolta chi è capace di fare le cose e restituisca credibilità all’Italia nel mondo. Che si propone di disincagliare il Titanic nazionale dalla banchina del pre-default sovrano e della più grave crisi sociale dove lo hanno sbattuto la pandemia globale ma ancora prima un Paese bloccato nella trappola populista e sovranista dell’irrealtà.

Non c’è spazio per segnalare i passi europeisti di contenuto della Lega, che dovranno ovviamente superare le prove della lunga distanza, ma guai a farsi mancare la lezione quotidiana di economia del più trasformista dei politici italiani come quel Gianluigi Paragone, ex direttore de la Padania e vice direttore in quota Lega di Rai 1 e Rai2, passato armi e bagagli ai Cinque stelle fino a farsi deferire ai probiviri e poi espellere dal movimento pentastellato che lo ha accolto dopo le sue performance televisive a La7 da share infinitesimali. Oggi Paragone guida il “suo” partito “personale” No Europa per l’Italia – Italexit.

Come possa accadere di sentirlo disquisire su euro e gabbie europee ovunque accostando la sua opinione economica (formatasi dove? come?) a quella di Draghi riferita da altri spesso in modo dilettantesco, fa semplicemente drizzare i capelli in testa. Come si può accettare da spettatori di sentire il primo (Di Battista) e il secondo (Paragone) spararle grosse, anzi grossissime, senza dimostrare mai niente e senza ricordare mai nulla?

Senza nemmeno mai dire che l’Europa compra i nostri prodotti e la Bce compra i nostri titoli pubblici perché vuole bene all’Europa e siccome noi siamo una componente importante dell’Europa ne compra tanti, ma ancora di più ne compra di quelli tedeschi e di quelli francesi.

Senza mai dire che se noi ci indebitiamo con l’estero e poi svalutiamo il costo per le nostre imprese è altissimo. Che, quindi, la gran parte delle nostre aziende di media e di grande dimensione senza euro entrerebbero in crisi all’istante e dovrebbero licenziare un numero impressionante di dipendenti cumulandosi nelle macerie sociali con un sistema infinito di piccole imprese sull’orlo del baratro da pandemia. Che se abbiamo la scuola che abbiamo e le infrastrutture che abbiamo l’euro non c’entra niente e che la colpa è solo nostra. Che se non siamo in grado di importare tecnologia e esportare prodotti di alta capacità dipende da noi non dall’euro.

Considerando che né il primo né il secondo dei cantori anti-euro hanno i requisiti per scrivere ciò che leggono e dicono, resta la curiosità di conoscere chi sono i veri autori di tutte queste balle. Nel frattempo, però, basta balle in tv!


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