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Mario Draghi durante l'incontro coi giornalisti dei giorni scorsi

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Nonostante stiamo continuando a beneficiare dei tassi molto favorevoli garantiti dagli acquisti della Bce, quando andiamo a collocare il nostro debito pubblico per pagare stipendi e pensioni siamo ancora cento punti sopra la Germania. Siamo valutati di pochissimo peggio della Grecia sui dieci anni. La ragione di un differenziale più alto è presto detta: abbiamo un debito pubblico che non teme confronti con nessuno per il suo carico gigantesco che è la sintesi algebrica di tutti i nostri vizi e di un ventennio di crescita zero nel segno del federalismo regionale della irresponsabilità. Non siamo oggi un problema per il mondo perché abbiamo Draghi e il suo governo che con un formidabile gioco di squadra stanno cambiando in profondità il sistema Paese e il mondo crede a questa scommessa. Per fortuna che c’è questo progetto di sistema per Mps che aiuta la banca senese e fortifica UniCredit con lo Stato presente dentro qualcosa che esiste e cresce in Italia e nel mondo secondo le regole del mercato. Tutto però dipende moltissimo da noi. Dal tasso di partecipazione e di condivisione che sapremo esprimere per uscire dal mondo dell’irrealtà e della propaganda e entrare nel cantiere di lavori e di intelligenze della Nuova Ricostruzione

PER farvi capire il baratro da cui il governo di unità nazionale, guidato da Mario Draghi, deve tirare fuori il Paese, bastano due numeri. Il tasso decennale italiano è allo 0,57, quello greco allo 0,55. Parliamo dei titoli pubblici sovrani di lunga scadenza di cui nessuno parla. Certo, noi ne abbiamo tanti di titoli da collocare, loro pochi perché noi siamo l’Italia e loro la Grecia. Certo, noi abbiamo fatto un ottimo Recovery Plan, come riforme e come posizionamento strategico, anche loro per la verità nel loro piccolo.

Dirò di più. Noi abbiamo fatto meglio di tutti i grandi del mondo nella campagna di vaccinazione ovviamente in rapporto alla popolazione. Noi abbiamo la migliore ripartenza dell’economia che corre al 6%, ma può accelerare di molto ancora. Noi abbiamo rispettato il cronoprogramma delle riforme come mai fatto in passato, dalla pubblica amministrazione alla giustizia, e capitalizziamo la reputazione  internazionale di un presidente del consiglio italiano che ha salvato l’euro e gode della considerazione di tutti.

Capiamoci bene: più di quello che ha fatto in questi pochi mesi davvero il governo Draghi non poteva fare e, come ripetiamo spesso, anche i partiti che fanno rumore hanno il merito di riconoscere l’ultima parola a Draghi e, quindi, non decidono più di rinviare ma di decidere. Il mondo comincia a rendersi conto che l’Italia sta provando a cambiare.

Noi, i greci, tutti, stiamo continuando a beneficiare dei tassi molto favorevoli garantiti dagli acquisti della Banca centrale europea, ma quando andiamo a collocare il nostro debito pubblico per pagare stipendi e pensioni siamo ancora cento punti sopra la Germania, siamo valutati di pochissimo peggio della Grecia sui dieci anni. La ragione di un differenziale più alto è presto detta: abbiamo un debito pubblico che non teme confronti con nessuno per il suo carico gigantesco che è la sintesi algebrica di tutti i nostri vizi e di un ventennio di crescita zero nel segno del federalismo regionale della irresponsabilità.

Non siamo oggi un problema per il mondo perché abbiamo Draghi e perché Draghi e il suo governo con un formidabile gioco di squadra stanno cambiando in profondità il sistema Paese e il mondo crede a questa scommessa in quanto non la valuta come azzardo ma come disegno ragionato di lungo termine. Ciò nonostante il nostro differenziale è più alto perché abbiamo un debito pubblico molto alto che continua a preoccupare.

Diciamocela tutta: anche se stiamo facendo miracoli, sì miracoli con la sanità e con l’economia, anche se si spera di ridurre questo debito monstre facendo tassi di crescita molto alti, deve essere chiaro a noi prima che agli altri che non possiamo tenere troppo a lungo un deficit così alto magari perché  vogliamo tagliare le tasse (come è giusto) mantenendo invariata la spesa. Perché tutto ciò fa crescere ancora il debito monstre. È quello che abbiamo giustamente fatto con l’emergenza, ma ora bisogna razionalizzare il più possibile.

Questa è la sfida più difficile che abbiamo davanti perché in questa fase di transizione molti sono i lavori che si perdono tra cui quelli delle banche tradizionali. Difenderne la densità positiva può essere anche roba da campagna elettorale, ma non toglie il problema che emerge confrontando costi e ricavi. Così come Carige non sta in piedi perché qui, come a Siena, con il Monte dei Paschi, un passato segnato da troppe clientele politiche nella gestione dei fidi ha compromesso la situazione. Cercare di capitalizzare oggi come ieri sul settore delle banche può essere una scelta avventata perché le banche non sono il settore del futuro dell’economia.

Se il costo del capitale è più alto con rischi più alti e se non si interviene per invertire la tendenza, l’ultima soluzione è quella di chiudere. Questa, non altre, è l’ultima soluzione.  Questo insegna la storia delle società nel tempo come è accaduto con le società aeree. Molte di esse hanno chiuso come hanno chiuso le banche. Come molte altre banche chiuderanno e molte altre società aeree nel mondo chiuderanno. Il problema antico è proprio quello dei costi. Possiamo anche prendercela con la finanza, va di moda, ma se non ci fosse la finanza non ci sarebbe neppure l’economia.

Abbiamo problemi di occupazione diffusi di livello territoriale nel Mezzogiorno per un contesto  ambientale lasciato colpevolmente degradare e per una debolezza di sicuro più strutturale dell’economia, ma oltre che nelle banche ci sono molti altri settori come il tessile che soffrono in modo strutturale. Il lavoro remoto oggi è una realtà e ci sarà sempre meno bisogno della cravatta nel mondo del lavoro. Cambia il turismo, cambia tutto. Potremmo raddoppiare i flussi di entrata se fossimo ben  organizzati, ma non lo siamo ancora, dobbiamo diventarlo. Abbiamo ricercatori molto capaci, ma troppo pochi e spesso vanno fuori perché non siamo ancora capaci di esprimere per loro un’idea giusta di reddito nel loro Paese.

Per fortuna, diciamocelo, che c’è questo progetto di sistema per Mps che aiuta la banca senese e fortifica UniCredit con lo Stato come azionista di transito ma presente dentro qualcosa che esiste e cresce in Italia e nel mondo secondo le regole del mercato. Non ci scandalizziamo, per favore, se Carige dovesse sopravvivere dentro una organizzazione molto più vasta con una rete fortemente internazionalizzata. Sottrarre Carige come Mps alla più clientelare delle classi politiche locali non risponde solo a un dovere etico ma a un principio insuperabile di buona economia in generale e, a maggior ragione, per un Paese così indebitato come il nostro.

Per fortuna, diciamocelo, che c’è il governo di unità nazionale, guidato da Draghi, che ha la rotta ben salda sulle riforme di contesto per cambiare la pubblica amministrazione e la giustizia e per tornare a fare investimenti pubblici partendo dal Mezzogiorno. Per fare, insomma, l’esatto opposto di quello che si è fatto negli ultimi vent’anni facendo scendere dal podio del comando quelle maledette Regioni che hanno spinto il Mezzogiorno verso l’Africa e condannato l’intero Paese alla dissoluzione.

Il destino dell’Italia di oggi dipende dal successo della campagna del green pass. Il destino dell’Italia di domani dipende dal successo dell’attuazione del progetto di riforme del Recovery Plan e dei suoi grandi progetti strategici con priorità al Mezzogiorno. Tutto dipende moltissimo da noi. Dipende dal tasso di partecipazione e di condivisione che sapremo esprimere per uscire dal mondo dell’irrealtà e della propaganda e entrare nel cantiere di lavori e di intelligenze della Nuova Ricostruzione.


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