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Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri

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Il nuovo Genio Civile moderno dell’Italia con dentro personale altamente specializzato, reclutato con criteri meritocratici in casa e fuori. Che gestisce ogni tipo di rapporti con l’Unione Europea. Che fa i progetti e ne guida l’esecuzione. Forse quella struttura proposta dal Tesoro ma collocata sotto e non sopra i ministeri può essere la base politica di un accordo che pensi all’Italia prima che agli interessi dei partiti. Serve quella cultura del fare ricordandosi sempre che tali capacità si esercitavano in osmosi con l’amministrazione dello Stato e all’interno della Programmazione nazionale

Una società nuova di zecca con azionista il Tesoro che fa tutto da sola. Che gestisce ogni tipo di rapporti con l’Unione Europea. Che fa i progetti e ne guida l’esecuzione. Il nuovo Genio Civile moderno dell’Italia con dentro personale altamente specializzato, reclutato con criteri meritocratici in casa e fuori, senza tetti della pubblica amministrazione per le retribuzioni. Lo scopo strategico è prendere quelli bravi – l’ingegnere, l’architetto, ma anche il semplificatore, l’informatico e l’uomo di finanza – e mettere nelle loro mani la gestione dei processi attraverso una società costruita ad hoc e collocata in mezzo tra cabina di regia a palazzo Chigi e i singoli ministeri. Quindi, avete capito bene, sotto la presidenza del Consiglio e sopra i ministeri.

A questo tipo di proposta del Tesoro per mettere in sicurezza l’attuazione del Next Generation Eu italiano il Presidente Conte ha detto no. Perché la riteneva politicamente troppo invasiva, meglio la cabina di regia e i super-commissari di supporto a Palazzo Chigi e ai ministeri. Vista la burrasca che si è scatenata con l’arrembaggio parlamentare di Renzi e i dissensi sempre meno coperti del Pd, avrà forse pensato che tanto valeva osare qualcosa di più.

L’assunto di fondo che c’è dietro il progetto riservatissimo del Tesoro abortito, che questo giornale è in grado di rivelare, è che i soldi del Recovery Fund arrivano in base all’avanzamento dei lavori, e che, pertanto, la sfida cruciale è quella di fare i lavori nei tempi previsti. Quindi, questo il ragionamento, stiamo parlando del nulla perché nella situazione organizzativa oggi imperante è tecnicamente impossibile che ciò accada, anche con ogni tipo di benevolenza europea e di abbuono su tempi e modalità di esecuzione. L’altro assunto di fondo è che devi per forza concentrare le risorse in mano di pochi perché se mettono bocca tutti non ce la farai mai.

Il realismo del Tesoro parte da un giudizio di inadeguatezza amministrativa su alcuni ministeri e il presidente del Consiglio ne è pienamente consapevole, anche se ovviamente né l’uno né l’altro lo diranno mai in pubblico. Il vero problema con cui chi governa l’Italia da venti anni in qua si misura senza successo, è che manca diffusamente la progettualità. Così come manca chi segue tutte le pratiche operative del progetto e chi è in grado di sbloccarne giorno per giorno l’esecutività.

Chi guida questo giornale sono mesi che insiste perché si recuperi in fretta l’esperienza di una struttura tecnica come fu quella della prima Cassa di Pescatore che unì le due Italie con le strade, le dighe e gli acquedotti. Serve quella cultura del fare ricordandosi sempre che tali capacità si esercitavano in osmosi con l’amministrazione dello Stato e all’interno della programmazione nazionale.

La Cassa del fare realizzava la missione politica e stava dunque sotto il governo e le sue articolazioni ministeriali. Questa collocazione esaltò il suo ruolo evitando commistioni e dimostrando di sapere fare le cose. Siamo contenti che una donna di valore come Teresa Bellanova, ministra dell’Agricoltura e capo della delegazione al governo di Italia Viva, che viene dalle terre dei Di Vittorio e dei Menichella protagonisti prima e dopo di quella stagione, dica esplicitamente che bisogna fare del Recovery un modello come lo fu la Cassa per il Mezzogiorno di Pescatore. Riproduciamo qui le sue parole: “Serve quel coraggio e quella visione. Dobbiamo essere noi il Gabriele Pescatore di questo tempo. Chiamiamola come volete, purché sia il contenitore che serve al Paese”.

Forse, quella proposta temeraria del Tesoro collocata sotto non sopra i ministeri e ben calibrata, come suggerivano fin dal principio le menti più avvedute di via Venti settembre, può essere anche la base politica di un accordo che pensi all’Italia prima che all’interesse dei partiti vecchi e nuovi o degli amici degli amici. Perché il problema numero uno del Paese è quello di una macchina pubblica che funzioni e dimostri di sapere fare le cose.

Bisogna potere scegliere finalmente i migliori dopo che quota cento ha contribuito a svuotare i ranghi della pubblica amministrazione di quelle competenze sopravvissute alla concorrenza delle Regioni e del mondo privato. Alla politica, nelle sue espressioni più alte di governo e parlamentari, tocca di dare a quella macchina la missione da realizzare. Altrimenti anche gli uomini migliori della macchina pubblica italiana dovranno continuare a trovare i soldi in debito per coprire le marchette di questo o quel Capo delle Regioni. Non è questo che l’Europa si attende da noi. Non è questo quello di cui abbiamo bisogno.


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