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Siamo davanti a un Progetto Paese che si propone di attuare nel Mezzogiorno l’intervento più rilevante da quarant’anni in qua e, soprattutto, lo fa in una logica integrata che è quella che animò la prima Ricostruzione e segnò la strada di un Paese che credeva in sé stesso e visse la stagione del miracolo economico italiano segnato dalla convergenza tra le due Italie e dall’oscar mondiale della lira. Per questo ci rivolgiamo alle donne e agli uomini del Mezzogiorno perché escano dal grumo peloso di interessi dei capipopolo vecchi e nuovi che hanno la responsabilità gravissima di non fare cogliere il cambiamento in atto e l’urgenza di essere soggetti attivi in questo cambiamento

Di Mario Draghi noi ci fidiamo. Abbiamo avvisato tutti. Con questo governo di unità nazionale e con la sua guida ritorna la coerenza meridionalista degasperiana. Non abbiamo bisogno di ripetere l’elenco puntualissimo degli interventi da lui esposti in Senato perché lo abbiamo già fatto ogni giorno da domenica.

Lo abbiamo detto allora, lo ripetiamo oggi: siamo davanti a un Progetto Paese che si propone di attuare nel Mezzogiorno l’intervento più rilevante da quarant’anni in qua e, soprattutto, lo fa in una logica integrata che è quella che animò la prima Ricostruzione e segnò la strada di un Paese che credeva in sé stesso e visse la stagione del miracolo economico italiano segnato dalla convergenza tra le due Italie e dall’oscar mondiale della lira.

C’è una consapevolezza fatta di scelte che mobilitano capitali produttivi per il Mezzogiorno in una dimensione che è senza precedenti ma soprattutto in una dimensione che è strategica per la riunificazione delle due Italie e il ritorno del Paese intero su un cammino di sviluppo che tiene insieme finalmente tutto.

Dentro questo processo di crescita nella capacità progettuale e nella capacità di fare le cose non c’è il 40% netto ma il 60% e forse di più, prima ancora però c’è la sfida dei progetti e della capacità di realizzarli che porterà fino al Ponte sullo Stretto come bandiera nel mondo del cambiamento italiano. Dall’alta velocità ferroviaria a porti e retroporti. Dalla scuola, dagli asili nido e dalla ricerca alla sanità territoriale. Fino alla banda digitale ultra veloce e alla transizione ecologica.

C’è in tutti i punti strategici tanto e bene per il Mezzogiorno perché il tanto da solo, che nemmeno mai abbiamo avuto così, non servirebbe a niente. Per questo ci rivolgiamo alle donne e agli uomini del Mezzogiorno perché escano dal grumo peloso di interessi dei capipopolo vecchi e nuovi che hanno la responsabilità gravissima di non fare cogliere il cambiamento in atto e l’urgenza di essere soggetti attivi in questo cambiamento.

Le risorse sono tantissime, ma saranno sempre poche, come ha detto Draghi, se uno non le usa. Nella battaglia di oggi del Mezzogiorno c’è la vittoria o la sconfitta dell’Italia e, ancora di più, la vittoria e la sconfitta dell’Europa di Draghi della politica fiscale espansiva e di una vera repubblica federale.

Questo giornale ha condotto l’operazione verità sulle abnormi distorsioni della spesa pubblica tra Nord e Sud. Ora vuole compiere la seconda operazione verità e avvisare tutti che c’è uno scoglio molto grosso sul quale rischia di infrangersi anche la nave messa in mare da Draghi per salvare la seconda volta l’Italia e l’Europa. Questo scoglio sono le Regioni e i loro capi. Abbiamo il dovere di dirlo e di avvisare anche lui.

Draghi insiste di fare le cose insieme perché ciascuno si deve assumere le sue responsabilità e se il progetto fallisce si deve sapere di chi è la responsabilità senza l’alibi retorico “dell’abbiamo dovuto fare quel che comandava Roma”. Il punto è che noi conosciamo bene la situazione e ci chiediamo come fa a fidarsi di queste Regioni e dei loro Capi.

Quale storia possono raccontare quelle che noi chiamiamo Regioni o, peggio ancora, chi ne era e in molti casi ne è alla guida? Chi glielo spiega a questi signori che non sono i governatori dei Länder della repubblica federale tedesca a cui realmente compete l’autonomia gestionale perché loro spendono ma prima tassano e, quindi, ne rispondono? Chi glielo fa capire una volta per tutte che hanno solo l’onore e l’onere di compartecipare nella gestione del territorio ma non di essere soggetti autonomi? Perché dobbiamo continuare questa sceneggiata all’italiana facendo finta che questi poteri loro li abbiano e invece non fanno altro che offrire un teatro schizofrenico del nulla demagogico quotidiano? 

Vogliamo capirlo o no che siamo tornati al localismo geografico deteriore dove esistono il Settentrione, il Centro e il Sud ma è sparita l’Italia? Riuscendo nel primato assoluto di essere l’unico Paese europeo che è tornato al localismo geografico con l’aggravante che il Nord nel 2004 approfittò della circostanza che tutti i presidenti di regione erano del centrodestra e approvò un patto di reciproca solidarietà finanziaria tra di loro ricchi, rimarcando politicamente la distanza del Settentrione dal Sud.

Che oggi siamo più o meno allo stesso interesse delle regioni del Centro patrocinato da Zingaretti, ex segretario del Pd, che qualcosina cominciano a strapparlo? Ci siamo resi conto o no che quelli più restii a tutto che non sia il loro orticello, che vuol dire sempre no a qualsiasi azione coordinata, sono proprio i capi delle regioni del Sud?

Dove sono i De Luca, i Musumeci e tutti gli altri? Sono o non sono gli stessi che non hanno mai voluto rivolgersi alla Corte costituzionale per il ripristino dei diritti di cittadinanza negati delle popolazioni meridionali sulla spesa sociale? Sono o non sono gli stessi che restano insensibili all’appello di fare un Mezzogiorno federato lanciato in tempi non sospetti da Claudio Signorile per presentarsi all’appuntamento con il Recovery con un minimo di ruolo e di impostazione strategica delle scelte?

Abbiate pazienza: sono o non sono gli stessi   che non hanno impegnato un euro dei trenta miliardi del fondo di coesione e sviluppo 2014/2020 e che al posto di stare zitti e vergognarsi (in questo caso penso a De Luca) schiamazzano davanti all’investimento più rilevante per il Sud dal dopoguerra a oggi messo in campo con intelligenza dal governo Draghi? Sono gli stessi che non hanno detto niente neppure quando certificando la realtà la Ragioneria generale dello Stato giustamente ha messo a disposizione una cassa di sei miliardi a fronte dei trenta di competenza di cui è certa a ragione che loro non saranno mai capace di spenderli.

Discorso analogo vale per i capipopolo che di fronte a un Presidente del consiglio che scandisce in aula che si farà la Salerno-Reggio Calabria con i treni a 300 km all’ora invece di plaudire e chiedere progetti seri arrivano addirittura a negare la realtà e a chiedere sempre un di più di risorse aggiuntive sperando che il futuro risolva le loro emergenze e nel frattempo sistemi le loro posizioni personali con qualche prebenduccia. Che cosa dire, poi, dei sindaci e del rampollo De Luca che al primo vagito di concorso pubblico meritocratico nelle assunzioni per i Comuni vogliono smontare ogni tipo di filtro serio perché hanno sempre molti amici degli amici da sistemare?

Fermiamoci qui. Vogliamo essere molto chiari. Abbiamo piena fiducia nell’operato del Presidente Draghi, ma lo mettiamo in guardia dal non cadere in questo brodo concertativo regionale. Sarebbe la fine. Perché rischia di diventare vero ciò che è falso e, cioè, che non arriva niente e di risultare vero anche quello che ha detto Ursula von der Leyen. Lo schema di governo di questo grande Progetto Paese esige di cambiare tutto. Le leve di comando devono essere fortemente centralizzate e avere dentro tutti i soggetti storicamente coinvolti e storicamente frenatori. In questo caso sarà una formidabile leva per tornare a crescere dopo venti anni di stasi. Altrimenti sarà la discesa senza freni del Paese verso il default sovrano e la dissoluzione dell’Europa.


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