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Mario Draghi e Ursula von der Leyen

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Nel rapporto (RePowerEu) è scritto che gli extraprofitti di chi approfitta del caro bolletta in Europa ammontano a 200 miliardi. Questo vuol dire che in Italia che vale il 10% i miliardi recuperabili sono 20. Questo è il bottino vero che l’Italia può spendere subito per sostenere gli extra costi delle piccole, medie, grandi imprese italiane ed è il terreno sul quale combatte per il via libera europeo. Il tema vero è che la quota dell’energia prodotta con fonti rinnovabili non richiede un solo euro in più perché l’Ucraina non ha cambiato i costi da vento, caldo, sole, ma ha prezzi stellari perché i prezzi energetici sono guidati dal criterio del prezzo marginale in virtù del quale il costo dell’energia è dato dalla quota più alta. Il resto del Piano italiano da deroga agli aiuti di stato con cassa europea e via lacci e lacciuoli in casa nostra

Notiamo con piacere che il commissario europeo dell’economia, Paolo Gentiloni, ha finalmente detto che tutti i numeri delle previsioni macroeconomiche europee vanno rivisti. Che siamo di fronte a un “effetto pesante”. Chi legge questo giornale sa perfettamente che sono settimane che definiamo semplicemente umoristiche le proiezioni dei maggiori previsori internazionali e nazionali che continuano a togliere tra lo 0,7 e l’1% alla crescita europea e dei singoli paesi da loro stimata prima della guerra di Putin in Ucraina.

Abbiamo detto sin dal primo momento che una guerra lunga avrebbe avuto effetti economici pari a quelli di una nuova pandemia che vale 8/9 punti di Pil in Italia e 5 punti di Pil in Europa. Il punto è che queste previsioni terribili erano legate all’utilizzo da parte dell’Europa della cosiddetta “arma nucleare” della finanza che significava buttare anche su Gazprombank la croce della sanzione bloccando così il canale gas-finanza che vale per noi il 40% dell’ approvvigionamento e, quindi, una prospettiva da crisi energetica tipo anni Settanta in dimensioni più accentuate.

Per fortuna l’arma non è stata usata e il cancelliere tedesco, Scholz, è arrivato a dichiarare pubblicamente che l’economia tedesca non se la potrebbe permettere. Ancora di meno se lo può permettere l’Italia. Purtroppo, però, il sistema certo delle aspettative, il carico certo di derivati che fanno pagare l’incertezza su tutta la vasta gamma di materie prime, il tasso elevatissimo di dipendenza italiana energetico-alimentare dallo Stato aggressore, la Russia, e dallo Stato aggredito, l’Ucraina, hanno anticipato una parte degli effetti ipotizzati a causa dell’impiego della ormai famosa “arma nucleare” della finanza. La sanzione atomica alla Russia non è arrivata, l’effetto atomico in buona parte all’Italia è già arrivato.

Siamo in presenza di un nuovo shock esogeno che colpisce tutti. Come al solito quando arriva il temporale chi ha l’ombrello riduce i danni, chi ne è sprovvisto si prende tutta l’acqua in testa. È già successo con la crisi globale legata alla pandemia per cui il Nord Europa ha pagato un costo meno elevato sul Sud Europa e, in Italia, il Nord esportatore è ripartito meglio del Sud non esportatore perché c’è un Sud che vive di mercato dinamico che si muove in perfetta sintonia con il Nord. Un fattore esogeno, un nuovo cigno nero, un nuovo shock, chiamatelo come volete, quando agisce su un terreno economico più slabbrato produce danni di livello ancora superiore. Le aziende del Made in Italy si scoprono a lavorare in perdita e possono farlo per qualche settimana, non per sei mesi, il Sud che non riesce neppure a presentare progetti buoni per utilizzare bene la leva degli investimenti pubblici offerta dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza va ovviamente ancora peggio.

Diciamocelo chiaro chiaro: il rischio del crack Italia ancorché differenziato c’è tutto se ci si affida all’improvvisazione.

La situazione dell’economia reale, come era prevedibile, è scappata di mano e l’ordine di grandezza dei danni per le imprese italiane è quello di decine e decine di miliardi. La semplificazione politica riunita, di maggioranza e di opposizione, è quella di un nuovo scostamento di 20/30, magari 50 miliardi di euro, e così cacciamo 50 miliardi, tra cinque mesi siamo ovviamente punto e accapo e ci ritroviamo con 100 miliardi di debito pubblico in più proprio mentre gli acquisti della Banca centrale europea passano di mese in mese a 40, 30, 20 miliardi dai 60 originari.

Gli stessi partiti che avevano fatto volare il debito pubblico italiano a botte di ristori in parte assolutamente necessari in parte no, tornano a rialzare la voce approfittando dell’anno d’oro del 2021 del governo Draghi con una super crescita (+6,6%) fatta di consumi cementati da una fiducia ritrovata, legata alla ripartenza in sicurezza dell’economia. Gli stessi partiti non si rendono conto che se non si maneggia con cura l’arma dell’indebitamento il default sovrano certo della Russia con il suo carico di povertà diffuse irradia in Italia una serie di onde telluriche di effetti collaterali da fare piazza pulita di tutta la crescita acquisita (+2,4%) dell’Italia per effetto di trascinamento della miracolosa crescita (6,6%) del 2021 e, cosa ancora più grave, si rischia di chiudere nel dedalo della peggiore burocrazia europea quel che resta della competitività delle imprese italiane.

Sono scenari tanto terribili quanto realistici che impongono di capire il molto che si può e si deve fare in Europa e in casa senza ballon d’essai come la “colossale truffa” della speculazione che sono parole che in bocca a un ministro in carica della Transizione energetica, Roberto Cingolani, fanno aprire un fascicolo della Procura della Repubblica, sono fiato puro nelle trombe del panico distributivo italiano, e non risolvono in nulla il problema. Se si vogliono fare cose serie, e non si può non farlo, il Piano italiano si deve articolare in tre mosse: 1) prelevare gli extraprofitti per fare spesa pubblica senza scostamento; 2) deroga agli aiuti di stato europei e eurobond per compensare finanziariamente le imprese danneggiate; 3) liberare da oggi l’Italia dai lacci e lacciuoli della cattiva politica e della cattiva burocrazia che in uno stato di emergenza diventa un obiettivo realistico.

1) C’è un rapporto della Commissione europea di giovedì scorso (REPowerEu) che contiene una notizia bomba di cui quasi nessuno si è accorto. Nel rapporto è scritto che gli extraprofitti di chi approfitta del caro bolletta in Europa ammontano a 200 miliardi. Questo vuol dire che in Italia che vale il 10% i miliardi recuperabili sono 20. Questo è il bottino vero che l’Italia può spendere subito per sostenere gli extracosti delle piccole, medie, grandi imprese italiane ed è il terreno sul quale ha combattuto ieri in sede di Eurogruppo e lo farà anche oggi in sede di Ecofin. Perché sulla tassazione degli extraprofitti di energia vanno definite le linee operative della guida comunitaria che si tradurranno nell’impianto tecnico delle proposte che verranno a loro volta presentate al Consiglio europeo della prossima settimana perché in quella sede si decide.

Il tema vero è la quota dell’energia prodotta con fonti rinnovabili che per produrla oggi non richiede un solo euro in più perché l’Ucraina non ha cambiato i costi delle produzioni di energia da vento, caldo, sole, ma che invece si presenta sul mercato con prezzi stellari perché i prezzi energetici tutti sono guidati dal criterio del prezzo marginale in virtù del quale il costo dell’energia è dato dalla quota più alta. Mi spiego meglio con numeri inventati che descrivono però il processo: produrre un megawatt da gas russo costa cento, un megawatt da pannello fotovoltaico costa otto e invece sul mercato costa cento uguale anche l’energia prodotta dal fotovoltaico, idroelettrico, dalle biomasse, dalle pale eoliche e così via. Questo fa sì che chi produce energia con fonti rinnovabili ha un margine elevatissimo che nel pieno della guerra finanziaria delle materie prime diventa intollerabile. Allora, vi chiederete: perché il governo italiano non interviene all’istante? Perché teme che, agendo da solo, vada incontro allo stop della Corte costituzionale come fu per la Robin tax, proposta dall’allora ministro dell’economia Tremonti, e bocciata dalla Corte costituzionale. Bisogna aspettare metà della prossima settimana e il via libera del Consiglio europeo. Questa è la prima vera grande partita italiana. Perché si tratta di un intervento importante senza scostamento di bilancio protetto da un nuovo regolamento comunitario.

2) Aiuti di stato. Senza scostamento si può fare nulla o quasi, qualche nocciolina di centinaia di milioni di euro davanti a una voragine di decine di miliardi. Al ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) stanno studiando anche forme di sostegni per chi è colpito di più. Aiuti a fondo perduto riveduti e corretti in base alla distribuzione del danno prodotto dal caro bolletta. Qui c’è già un pezzo di regolamento antitrust che disegna un nuovo quadro temporaneo sugli aiuti di stato e, cioè, deroghe al divieto ordinario, e che è già stato posto in consultazione e diventa definitivo anch’esso in sede di approvazione al prossimo Consiglio europeo. Senza questo nuovo quadro finanziario l’Italia ha già esaurito tutto il plafond con gli aiuti erogati a imprese e famiglie per il covid. Risolto a giorni il problema numero uno dei vincoli giuridici a fare ricorso agli aiuti di stato, hai il problema numero due di come finanziarli. Per questo servono la cassa europea del Recovery e gli eurobond. La linea di Draghi e Macron è questa: non si può rispondere a un problema europeo generato peraltro dalla scelta giusta dell’Europa di mettere sanzioni monstre alla Russia con l’indebitamento dei singoli Paesi. Questa scelta, oltre che ingiusta, sarebbe miope. Perché insufficiente a rispondere alla portata dei problemi posti.

3) I partiti al posto di bussare sempre a soldi, si impegnino piuttosto con i loro uomini nelle amministrazioni comunali, regionali e ministeriali a trasferire un senso urgente di consapevolezza operativa. Perché non può più accadere che ogni tipo di intervento per produrre energia o per allargare la superficie coltivabile, siano eroicamente contrastati dagli stessi partiti che suggeriscono la soluzione di un bilancio pubblico venezuelano. I lacci e lacciuoli italiani contro trivellazioni, estrazioni, riaperture di centrali a carbone e, ancora prima, contro l’apertura dei cantieri delle rinnovabili, sono tutti insieme la stringa di una politica del no che ha stretto un cappio intorno al collo del Paese quasi fino a farlo soffocare.

Tra quello che vuole/può fare il governo e che dovrà fare l’Europa, il prossimo Consiglio dei ministri italiano, in mezzo ci sono le aziende italiane che chiedono non da oggi, ma da ieri, di essere aiutate. Questo può portare a fare subito un piccolo scostamento oltre che, come è giusto, a sterilizzare gli effetti sul caro bollette dell’aliquota marginale dell’IVA che sale ingiustificatamente con i rincari della bolletta energetica. C’è uno spread temporale tra il calendario previsto dalla via ordinaria dei due nuovi regolamenti europei e l’urgenza della realtà che dovrebbe spingere a prendere decisioni che anticipino la scelta obbligata di un mercato unico europeo che parta finalmente dall’economia reale e metta insieme questa con la finanza. Sulla base peraltro di un dato di fatto indiscutibile: l’Italia da sola, ma neanche la Francia o la Germania da sole, non possono superare questa prova. Nessun paese nazionale europeo da solo si può salvare. Prima lo capiamo, meglio è.

Eviteremmo di aumentare le marginalità negative di ogni economia nazionale e dimostreremmo, per una volta, di avere capito tutto quello che c’era da capire. Che poi essenzialmente è una cosa: l’entità dello shock è talmente grande che non si può affrontare invitando i Paesi a fare da soli che è un po’ come invitarli a fare default esattamente come lo sta già facendo la Russia. O perché si indebitano al punto da non poterlo ripagare il nuovo debito o perché le loro economie subiscono una botta tale da non potersi riprendere più. Servono un Recovery e un nuovo patto di stabilità e di crescita. Dove la seconda vince finalmente sulla prima.


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