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Parola del Sottosegretario Garofoli: temiamo che la Germania stia internalizzando il suo processo produttivo nell’automotive. Se succede anche in parte la botta per pezzi tra i più vitali della nostra economia lombarda, veneta e emiliano-romagnola, ma anche in Basilicata e in Abruzzo, è di quelle che non ti rialzi più. A fronte di tutto ciò, non sono più nemmeno tollerabili i distinguo propagandistici grillini e leghisti. Tutte le riforme – concorrenza, fisco, giustizia – sono bloccate in parlamento e ciò misura la distanza siderale tra chi è in prima fila, Draghi, Franco, Garofoli, a combattere sul fronte della sopravvivenza del Paese, e partiti che non rinunciano alla polemichetta su catasto e balneari, alla solita propaganda che tocca anche la pace e le armi per strappare qualche applauso nel talk del nulla. È evidente che se l’Europa fa dei passi avanti sui temi energetici grazie alla spinta anche del nostro premier ma non con la velocità che le nostre emergenze richiedono, la Spagna che ha più rigassificatori di noi potrà sfruttare meglio le nuove forniture americane. Ma a fare polemica oggi in Italia sono gli stessi che non hanno voluto ieri i rigassificatori. Ora basta!

Sono passate quasi sotto silenzio. Sono parole del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, che le parole le pesa. Pronunciate in occasione di una lectio magistralis alla Spisa, la scuola di specializzazione in studi sulla pubblica amministrazione dell’Università di Bologna. Ha detto Garofoli: “Serve una struttura di sicurezza imprenditoriale”. Ha aggiunto con altrettanta chiarezza: “Temiamo che la Germania stia internalizzando il suo processo produttivo nell’automotive”.

Non so se avete capito bene: se succede anche in parte quello che teme che accada Garofoli, la botta per pezzi tra i più vitali della nostra economia produttiva lombarda, veneta e emiliano-romagnola, ma anche in Basilicata e in Abruzzo, già alle prese con la crisi dei semiconduttori, è di quelle che non ti fanno rialzare più. Per questo Garofoli ha annunciato di avere rafforzato la struttura del golden power, ma ha subito puntualizzato che è solo un primo passo. Perché bisogna passare dal golden power oppositivo, che è la possibilità di mettere un veto allo straniero che acquista un’azienda italiana ritenuta strategica, a un golden power attivo in cui lo Stato crea una struttura di sicurezza nazionale. Che procede alla mappatura delle filiere strategiche e le aiuta a fare fronte alla interdipendenza competitiva delle principali economie alla luce del doppio shock esogeno che le ha colpite, pandemia e guerra, e alla doppia transizione, energetica e digitale, che hanno davanti.

Vorremmo essere il più chiari possibile. Siamo arrivati allo shock della pandemia globale nudi. Ci siamo presentati davanti allo shock della guerra di Putin in Ucraina ancora più nudi. Siamo sempre i più fragili. Sempre un po’ più deboli degli altri. Siamo esposti a tutte le incertezze perché nell’energia siamo in assoluto il Paese più dipendente dallo Stato aggressore, la Russia, e nell’alimentare dallo Stato aggredito, l’Ucraina. Perché siamo il Paese che negli ultimi venti anni ha fatto meno investimenti pubblici di tutti perché abbiamo sempre detto solo no. No a trivellare, no al carbone, no al nucleare, no alle rinnovabili, no a tutto. Perché avevamo sempre qualche comizio da fare o qualche dibattito propagandistico da talk italiano su cui immolare il futuro del Paese. Siamo tra i più esposti a tutte le incertezze perché siamo il Paese con il maggiore debito pubblico e abbiamo per oltre vent’anni mostrato una cronica, cocciuta, ostinata incapacità di occuparci dei problemi reali delle imprese e delle persone perché divorati dal male strutturale della propaganda politica e della “corruzione del non fare” di pezzi troppo rilevanti delle burocrazie territoriale e centrale. Quelle che hanno impedito ogni tipo di investimenti.

Questo Paese al capezzale della sua storia è stato preso per mano dal governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi e partendo dalle condizioni peggiori è riuscito a realizzare nel 2021 la migliore crescita europea, la migliore discesa del debito, e tiene botta in un contesto internazionale e interno complicatissimi. È evidente che se l’Europa fa dei passi avanti sui temi energetici grazie alla spinta anche del nostro premier ma non con la velocità che le nostre emergenze richiedono, la Spagna che ha più rigassificatori di noi potrà sfruttare meglio le nuove forniture americane, è evidente che la Francia che ha il nucleare che noi ostinatamente non abbiamo voluto farà fronte meglio di noi alla nuova emergenza energetica.

Bene, allora di fronte a tutto ciò, non sono più nemmeno tollerabili i distinguo elettorali grillini sugli accordi sulla spesa per la difesa, peraltro sottoscritti dal 2006 in Italia e quindi avallati anche dai loro governi, o quelli sempre più tremebondi della Lega su un generico pacifismo che non è la pace, per tacere di beghe ancora minori. In questo Paese sono a rischio 100 mila imprese agricole, sono in bilico pezzi strategici della nostra economia produttiva, avremo due trimestri di sostanziale recessione tecnica, occorre mettere mano con serietà dopo lo tsunami dei prezzi delle materie prime e dell’inflazione al Piano nazionale di ripresa e di resilienza. I partiti la smettano di giocare con le loro polemicucce di quattro soldi e tronchino sul nascere ogni sorta di resistenza passiva su concorrenza, riforma fiscale, riforma della giustizia, codice degli appalti, attuazione delle riforme della pubblica amministrazione. Non averle fatte prima ci ha condotto dove siamo.

Tutte le riforme sono bloccate in parlamento e questo blocco misura la distanza siderale tra chi è in prima fila, Draghi, Garofoli, Franco, e una compagine di ministri che ancorché in modo diseguale sono con loro a combattere sul fronte della sopravvivenza del Paese, e partiti che non rinunciano alla polemichetta sul catasto o sui balneari, alla solita propaganda anche su pace e armi per strappare qualche applauso nel talk del nulla di turno, o a altre amenità. Ora basta!

La doppia lezione di pandemia e guerra ci insegnano che siamo più fragili di tutti e ci ritroviamo nelle condizioni in cui siamo proprio perché la politica fa così da vent’anni. Vende il mondo della irrealtà e sguazza nel torbido di queste storielle. Se vogliono ripetere il copione ed esporre se stessi e l’Italia al ludibrio mondiale si accomodino pure. Sappiano, però, che a votare non ci andrà più nessuno e che del Paese di cui fanno strame ogni giorno con la loro condotta propagandistica rimarranno solo ceneri colonizzate.


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