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Maria Draghi

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Sono due anni consecutivi che l’economia italiana continua a crescere a un ritmo superiore a quello delle maggiori economie avanzate ma questo dato non riesce a fare notizia. In una fase in cui le imprese italiane pagano gas e petrolio molto più di quelle americane e hanno più costi di quelle tedesche vanno meglio delle prime e molto meglio delle seconde. C’è una fiducia di fondo in un Paese che con la leadership di Draghi è rispettato nel mondo. Le imprese fatte di donne e uomini in carne e ossa ci credono, non rinunciano a investire perché pensano che il grande problema energetico-alimentare-monetario verrà gestito. Le esportazioni fanno faville e gli indici di fiducia a giugno di imprese, edilizia, turismo, servizi sono tutti in netta risalita, mentre si contrae quello delle famiglie. Dove esercitano un peso il mantra del doppio catastrofismo, guerra e inflazione, di una politica populista e di un dibattito televisivo che entra nelle case degli italiani che già sono alle prese con i rincari effettivi del carrello della spesa ma con la testa sono portati a temere come fatto certo ulteriori, violenti e clamorosi incrementi di ogni genere di prodotto.

Non accadeva da tempo. Almeno da un ventennio. Sono due anni consecutivi che l’economia italiana continua a crescere a un ritmo superiore a quello delle maggiori economie avanzate ma questo dato di pura realtà non riesce a fare notizia.

Anche in questo 2022 della guerra lunga con i suoi shock inflazionistici, monetari, materie prime energetiche e alimentari, e di un’Europa prigioniera degli interessi e delle paure miopi di Olanda e Germania viaggiamo a un tasso di crescita più che doppio di quello tedesco e nettamente migliore di quello americano e francese. Tutto è sovrastato da un rumoroso catastrofismo che non tocca le esportazioni delle imprese italiane che mettono a frutto una capacità di diversificazione unica al mondo e occupano gli spazi lasciati liberi dai cinesi sui mercati extra-Unione europea. Anche tralasciando l’indubbio moltiplicatore dell’inflazione nel mese di maggio di quest’anno, non dell’anno scorso, vi è stato un progresso quantitativo, di volumi dite un po’ come volete, del 4,7% rispetto al mese di aprile.

Con inflazione incorporata da gennaio a maggio le esportazioni italiane sono cresciute rispetto allo stesso periodo del 2021 del 20,1% mettendo a segno performance di tutto rilievo soprattutto negli Stati Uniti, nei Paesi Opec, in Turchia, Regno Unito e Svizzera. Nei dati reali, non nelle previsioni, rivelatesi tutte errate anche quelle dei centri studi delle stesse imprese, nel solo mese di aprile la produzione industriale è cresciuta dell’ 1,6% contro un consensus iniziale che pronosticava addirittura un -2,6%. Le cose stanno così. Nel primo trimestre il Pil del 2022 dato da tutti in negativo è cresciuto dello 0,1%, nel secondo trimestre si viaggia verso un altro +0,4/0,5% minimo, la crescita acquisita dal 2021 è del 2,6%. Per cui dopo l’anno boom del + 6,6% del 2021 il Pil italiano del 2022 viaggia verso un altro +3% trainato dalle faville delle esportazioni e da un’edilizia che cresce a ritmi post bellici, turismo e servizi a livelli record e una qualificata e più strutturata presenza di arrivi esteri.

Questa è la realtà, il resto è finzione mediatica. Questa è la realtà che non si vuole dire e non si vuole sentire e francamente non si capisce perché. Diciamo allora qui le cose come stanno. In Germania se si blocca l’auto rallenta tutto parecchio e i contraccolpi su produzione ed export si vedono a vista d’occhio. La manifattura tedesca va male, molto male. La manifattura italiana è fatta di così tante nicchie e di così tanti talenti e ha costi di produzione diventati molto competitivi per i forti investimenti compiuti nell’innovazione di processo e di prodotto, oltre un moderatismo salariale e un’inflazione cresciuta ma meno degli altri, che continua a fare il pieno di ordini nella nautica di diporto come nella meccanica di ogni tipo, come nel tessile-abbigliamento e nei settori di nicchia a più elevata tecnologia.

Addirittura anche nei dati qualitativi si coglie questa resilienza delle donne e degli uomini del fare italiano che tocca per la prima volta anche parti significative del Mezzogiorno con una Campania che incrementa l’occupazione più della media nazionale e Napoli che torna legittimamente ad ambire al suo ruolo storico di terza Capitale d’Italia con un’amministrazione guidata da un sindaco, Gaetano Manfredi, all’altezza della sfida e tassi di crescita nel turismo e nella ricerca che ne fanno uno dei centri italiani più attrattivi di capitali internazionali. A giugno, per capirci, l’indice di fiducia delle imprese è salito a 113,6 rispetto al livello precedente di 111, ma soprattutto delinea una traiettoria che punta ai massimi del 2021.

Questi numeri, cerchiamo di capirlo, sono di giugno quando è un fatto incontestabile il caro energia così come lo è che l’Europa esita ancora a usare l’unica arma seria che ha in suo possesso che è quella suggerita dal premier italiano di porre un tetto massimo al prezzo del gas russo, ma è evidente che i 30 e passa miliardi senza scostamento di bilancio messi in campo dal governo ancorché insufficienti hanno dato una mano, ma soprattutto c’è fiducia che arriverà altro e che la guida italiana dell’economia ci porterà in salvo anche in questa navigazione nei mari procellosi della guerra lunga segnata da un’Olanda che non rinuncia agli indebiti vantaggi finanziari dovuti alle manovre militari-economiche di Putin e da una Germania intrecciata sul piano finanziario in modo sempre più opaco con il sistema russo che forse vuole utilizzare la drammatizzazione del problema energetico per potere riaprire indisturbata tutte le centrali a carbone che a nostra differenza non ha mai smantellato.

Sono piccoli calcoli opportunistici che la storia si incaricherà di spazzare via perché purtroppo la guerra non si ferma, ma è a dir poco strabiliante che in una fase in cui le imprese italiane pagano gas e petrolio molto più di quelle americane e hanno più costi di quelle tedesche vanno meglio delle prime e molto meglio delle seconde. C’è una fiducia di fondo in un Paese che con la leadership di Draghi è finalmente rispettato nel mondo e si è collocato dalla parte giusta della storia. Le imprese fatte di donne e uomini in carne e ossa ci credono, non rinunciano a investire perché pensano che il grande problema energetico-alimentare-monetario verrà gestito.

L’indice di fiducia delle imprese di costruzioni è semplicemente esploso toccando i massimi storici di sempre. L’indice di fiducia delle imprese di servizi ha guadagnato dieci punti negli ultimi tre mesi e perfino quelle del commercio al dettaglio hanno un indice in risalita di sette punti. Il turismo attende ordini in crescita di undici punti ma francamente questo momento d’oro si percepisce anche fisicamente e si riscontra sulle difficoltà che si incontrano nelle prenotazioni alberghiere e nella difficoltà delle aziende turistiche di trovare tutta la mano d’opera che serve. C’è poco da dire e sottilizzare: il sistema produttivo italiano crede nel nuovo boom del Paese fatto di una politica che fa riforme di sistema e prova con pervicacia a cambiare la macchina pubblica amministrativa e giudiziaria italiana. L’unico indice di fiducia che scende è quello delle famiglie arrivato a 98,3 contro il 102,7 di maggio dove non può non esercitare un peso il mantra del doppio catastrofismo, guerra e inflazione, che egemonizza il dibattito della pubblica opinione televisiva e entra nelle case degli italiani che già sono alle prese con i rincari effettivi del carrello della spesa ma con la testa sono portati a temere come fatto certo ulteriori, violenti e clamorosi incrementi di ogni genere di prodotto.

Quanto pesa sui loro comportamenti, poi, una politica populista e demagogica che gioca con il futuro dei nostri figli facendo salire il rischio politico italiano che influenza lo spread e il costo dei mutui e che punta sul terrore per racimolare senza successo qualche voto in più nelle consultazioni amministrative oggi e in quelle politiche domani! Eppure quanto gioverebbe a questo Paese prendere coscienza che le cose sono cambiate e sono avviate a cambiare ancora di più. Che è finita la lunga stagione di un’economia che quando gli altri correvano andava piano e quando gli altri andavano male si fermava del tutto.

Quanto gioverebbe che anche la politica italiana cambiasse il suo mood, assumendosi qualche responsabilità in più, rivendicando le scelte compiute e attuate di diversificazione negli approvvigionamenti energetici e mostrando con i comportamenti di volere incidere sempre di più sui meccanismi decisionali burocratici e nell’attuazione degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza partendo dal Mezzogiorno. Nel 2023 tutti parleranno delle elezioni politiche, ma il futuro dell’Italia dipenderà da quanti cantieri saremo capaci di aprire per dare finalmente al Paese un investimento adeguato sul capitale umano e quelle infrastruttureimmateriali e materiali di cui ha vitale bisogno per continuare a correre non per due ma almeno dieci anni e assumere in Europa quella leadership politica fatta di risultati conseguiti in Italia che può aiutare molto a cambiare le cose. Per noi e per gli altri.


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