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Giorgia Meloni

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La Bce crea confusione sui mercati ma l’Italia non può perdere la linea di credito conquistata per Mes, mance fiscali e autonomia

Abbiamo avuto il successo di uno spread che sale meno di quanto salgono i tassi, ma non possiamo correre rischi perché rimaniamo il Paese europeo con più debiti sui mercati in rapporto al Pil. Per questo il Mes non può diventare l’inciampo grosso come fu la fantomatica bozza del contratto di governo per il varo del Conte 1 che ipotizzava di cancellare il debito detenuto dalla Bce. È un  dovere del ministro dell’Economia togliere la Presidente del Consiglio dall’imbarazzo chiarendo che questo Mes ratificato da tutti i Paesi europei non ha nulla a che vedere con quello che fu imposto dal superfalco Schäuble alla Grecia con il concorso della Bce di Trichet e del Fondo Monetario all’epoca guidato dalla Lagarde. Che quello di oggi ha uno stigma e una reputazione diversi in un contesto che non è più quello dell’austerità europea. Che è un salvavita di cui non avremo bisogno e che non ha nulla a che vedere neppure con il Mes sanitario che invece ci serve e dovremmo prendere. Né  possiamo sprecare la linea di credito conquistata per la mancetta ai lavoratori autonomi che pagano gli italiani con lo sconto abolito sulla benzina o con l’autonomia di Calderoli che spacca il Paese.

Alla Banca centrale europea sono troppi quelli che comunicano a briglie sciolte creando un po’ di confusione. La tedesca Isabel Schnabel, membro del board della Bce, ha una sua linea. Crede che sia la linea di tutti, per giunta è anche sbagliata, ma questo non le impedisce di ripeterla ogni volta che può. Molti altri parlano, chi la segue con sfumature diverse, chi la contesta, tutti insieme contribuiscono a confondere i mercati. Poi, arriva madame Lagarde, che dopo avere alzato i tassi di mezzo punto come previsto, dice che andrà avanti per mesi che, a pensarci bene, è l’unica cosa che non può dire. Perché l’incertezza massima dell’economia, legata alla durata della guerra di Putin in Ucraina e alla sua controfaccia che è quella mondiale delle materie prime oltre che agli andamenti variegati della finanza pubblica dei singoli Paesi, non consente a nessuno, e tanto meno a lei, di fare previsioni.

Sapremo, forse, tra tre mesi qualcosina in più e dobbiamo soprattutto vedere che cosa succede all’economia reale per cominciare a capire davvero che cosa può accadere fino a giugno. Quindi se è difficile, praticamente impossibile prevedere oggi che cosa avverrà davvero, è irresponsabile che la presidente della Bce formato Schnabel si azzardi a dare un’indicazione di politica monetaria di medio termine. Sarebbe stato molto più ragionevole dire che “dobbiamo stringere perché con un’inflazione così alta si stringe”, ma che “non possiamo nemmeno ammazzare l’economia reale solo con parole in libertà” perché rischiamo che anche quando l’inflazione scenderà l’economia sarà così debilitata da non ripartire più.

Con Paesi come il nostro che pagano, peraltro, un conto più elevato degli altri ingiustamente sul piano delle conseguenze immediate di una comunicazione confusa della Bce, ma che resta però il Paese che nove economisti su dieci, interpellati dal Financial Times, ritengono che sia quello dell’Eurozona che si ritroverà più esposto a una crisi del debito quando nei prossimi mesi la Banca Centrale Europea alzerà ancora i tassi d’interesse e acquisterà meno obbligazioni. Secondo un sondaggio pubblicato in prima pagina dal quotidiano economico-finanziario britannico, tanto per essere chiari, l’Italia è il Paese del gruppo euro «più a rischio di un sell-off non correlato nei suoi mercati dei titoli di Stato».

Perché è vero che il deficit italiano, secondo Ft, dovrebbe scendere dal 5,6% del Pil nel 2022 al 4,5% nel 2023 e al 3% l’anno successivo, ma è altrettanto vero che il debito pubblico italiano svetta in Europa per la sua stazza pari a poco più del 145% del prodotto interno lordo. Tanto è così che, anche se oggi non solo non c’è un caso Italia sui mercati ma un successo Italia, il rendimento del nostro bond decennale ha superato il 4,6%, ed è pari a quasi il quadruplo del livello di un anno fa e si colloca 2,1 punti percentuali sopra il rendimento equivalente dei titoli tedeschi. Credo, pero, che su questo punto dobbiamo dire di più.

Dobbiamo sottolineare che i tassi sono saliti, ma lo spread italiano ha tenuto e questo oggettivamente è un successo. Se uno vede come sono saliti i tassi e come è salito lo spread, si rende conto che il successo è enorme. Attenzione, però, questo è il punto vero sottovalutato da tutti, ricordiamoci sempre che rimaniamo il Paese europeo con più debiti sul mercato in rapporto al Pil, la Grecia ne ha più di noi con lo stesso rapporto ma sono tutti sostanzialmente fuori dal mercato. Questo dato di fatto per il governo Meloni vuol dire una cosa molto precisa. Che, come Italia, non possiamo permetterci il lusso di perdere questa linea di credito, perché il mercato cambia umore all’improvviso come successe con la fantomatica bozza del contratto di governo per il varo del Conte 1 che ipotizzava di cancellare il debito detenuto dalla Bce e che ci fece ritrovare con lo spread raddoppiato in due giorni.

Per questo è arrivato il momento per il governo Meloni di fare i conti con alcuni feticci elettorali che devono sparire subito dal tavolo. Il primo riguarda il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) che è un inciampo grosso pericolosamente sottovalutato. Non solo non possiamo non firmarlo con assoluta fretta perché non possiamo impedire agli altri di utilizzarlo, siamo rimasti gli unici in Europa, ma occorre il coraggio di un’operazione verità perché la mancata ratifica del Mes può essere un inciampo grosso per chi governa e per i risparmiatori italiani. Bisogna dire che a parte il Mes sanitario che non vi sarebbe alcuna ragione per non utilizzarlo se non ideologica, è un dovere del ministro dell’Economia e di questa maggioranza togliere la Presidente del Consiglio dall’imbarazzo dicendo chiaro e tondo che questo Mes ratificato da tutti i Paesi europei non ha nulla a che vedere con quello che fu imposto dal superfalco Schäuble alla Grecia con il concorso della Bce di Trichet e del Fondo Monetario all’epoca guidato dalla Lagarde.

Che quello di oggi ha uno stigma e una reputazione del tutto diversi in un contesto totalmente diverso da quello del totem dell’austerità europea. Sanità a parte si tratta di un meccanismo che quando entri in difficoltà seria, quella alla quale noi non dobbiamo arrivare, svolge funzioni di salvavita dandoti linee di credito a tassi di favore nel momento in cui sei costretto ad andare sul mercato con una condizionalità per te fortemente negativa se non addirittura inaccessibile. Tutto quello, insomma, che non deve accadere mai. Non possiamo sprecare il successo enorme conseguito sui mercati per questo feticcio o qualche altro simile. Come quello della mancetta ai lavoratori autonomi o del pelo lisciato a chi vuole evadere rallentando sulla digitalizzazione che vuol dire in soldoni fare perdere a tutti gli italiani che fanno benzina lo sconto che Draghi non ha mai voluto ritirare. Come quello infinitamente più pericoloso dell’autonomia differenziata alla Calderoli che spacca il Paese e vuole recitare in casa il copione nefasto che esercitano i super falchi del Nord Europa e della Bce. Quello che giustamente condanniamo ogni giorno. Fare sparire i feticci dal tavolo ora e subito. Altrimenti sono guai.


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