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Questo è il quadro politico reale di un’Europa chiamata a scegliere sui beni comuni e sugli investimenti pubblici. Che dimostri unità in politica estera dando peso alla sua azione militare se vuole avere voce in capitolo nel ridisegno del nuovo ordine mondiale. Che non si nasconda davanti alla scelta strategica obbligata euromediterranea vinta a Gioia Tauro e da vincere sulle due sponde del Mediterraneo costruendo una economia di pace che contrasti l’egemonia autocratica delle armi russe e dei soldi cinesi. Per imparare dagli errori l’Europa ha bisogno di chi dirige l’orchestra accettato da tutti. Draghi era l’uomo giusto. Le forze politiche che si sono macchiate della responsabilità di farlo cadere e sono ancora nella maggioranza di governo abbiano almeno il pudore di astenersi dal continuare a mettere bastoni nelle ruote della leadership della Meloni sui temi cruciali dell’interesse generale. Fare giochetti sulla pelle degli italiani non è più consentito a nessuno.

La sconnessione interna europea è molto forte. Purtroppo è ormai visibile. Ognuno ha i problemi suoi, è schiacciato dai problemi suoi. Alla fine manca una regia a questo Consiglio europeo perché ci sono troppi interessi contrastanti e non c’è chi è capace di fare una sintesi.

Il problema europeo di adesso è una situazione in cui non si vede una leadership visto che quella francese (Macron) e quella tedesca (Scholz) sono a pezzi e non se ne vede un’altra accettata dagli altri. Siamo messi così anche perché c’è una Commissione europea in scadenza e una presidenza del Consiglio europeo espressa da un politico belga di bassa levatura. La von der Leyen che guida la Commissione è invece una politica di un certo spessore, ma non sa su che cosa appoggiarsi. Non ha più un retroterra politico su cui fare crescere la sua leadership. Perché si trova a fare i conti con un Parlamento indebolito dagli scandali e impegnato solo a mettere bandierine ideologiche.

Perché deve costruire questa leadership dialogando con i Capi dei grandi Paesi che sono Capi azzoppati e con un Consiglio europeo oggettivamente debole. Giorgia Meloni è rafforzata nell’immagine di una leader che non ha paura dello scontro. Sull’Ucraina come sul resto resiste alle opposizioni più o meno demagogiche, ma anche alle resistenze interne dentro la sua maggioranza che non sono dettate da nobili ragioni di politica estera ma da vassallaggi putiniani pregressi e, soprattutto, dalla rivendicazione di poteri di negoziazione sulla spartizione dei posti di comando delle grandi aziende pubbliche quasi tutti in scadenza.

Per un Paese che ha avuto sempre difficoltà ad avere leadership politiche forti succede alla Meloni quello che è successo già a Craxi come a Renzi. La verità è che questo Paese non accetta leadership politiche forti non perché si oppongono i poteri forti come scrive chi ha evidentemente ancora poca esperienza per capire che quei poteri forti che furono una cosa seria per questo Paese sono morti da tempo. Il problema di oggi è la forza dei poteri corporativi che sono ostili in modo connaturale alle leadership politiche forti. Anno dopo anno abbiamo assistito all’accumularsi di poteri corporativi che vanno dalla magistratura inquirente a chi fa carriera nelle burocrazie centrali e territoriali e a tutti i media a loro collegati che vedono in una situazione di stabilità il loro peggiore nemico. Perché con una leadership politica forte e in una situazione di stabilità si riduce lo spazio di manovra per chi fa di professione l’agitatore e si riduce parallelamente lo spazio di manovra per gli interessi inconfessabili dei corporativismi malati.

Quindi anche la leadership politica italiana è in modo miope indebolita da queste doppie resistenze interne che provengono dalla sua maggioranza di governo e dai veri poteri forti che sono quelli corporativi. È difficile avere una grande Europa con i tre Paesi Fondatori in modo diverso indeboliti da forze e interessi interni alle loro comunità nazionali. Questo è il quadro politico europeo reale di un’Europa che deve fare scelte forti sui beni comuni e sugli investimenti pubblici. Che deve dimostrare unità e forza in politica estera dando peso alla sua azione militare se vuole avere voce in capitolo nel ridisegno del nuovo ordine mondiale. Che deve smetterla di nascondersi davanti alla epocale sfida della migrazione dai Paesi in guerra e schiavizzati con popoli che scappano dalla povertà e dalla paura.

Che deve smetterla di nascondersi davanti alla scelta strategica obbligata euromediterranea che è stata vinta a Gioia Tauro e deve essere vinta su entrambe le sponde del Mediterraneo costruendo una vera economia di pace per contrastare l’egemonia autocratica delle armi russe e dei soldi cinesi in tre dei quattro Mediterranei. Che deve capire una volta per tutte che la stagione dell’austerità è stata un errore di livello altissimo e quella che si deve aprire con il nuovo patto di stabilità e di crescita europea deve sanare per sempre questa zoppìa originaria come sosteneva Ciampi in tempi lontani con assoluta lungimiranza. Per fare tutto questo, ha detto bene la Meloni, l’Europa deve imparare dai suoi errori, ma per imparare dai suoi errori ci vuole un maestro che diriga l’orchestra e che tutti accettino. Tutto ciò ci ricorda inevitabilmente la gravità di avere sprecato la vera carta europea che era quella italiana e coincideva con il nome di Mario Draghi.

Le forze politiche italiane che si sono macchiate della responsabilità di farlo cadere e che fanno ancora parte della maggioranza di governo e chi, come Conte, fa finta di essere il grillo parlante dell’opposizione, abbiano almeno il pudore di astenersi dal continuare a mettere bastoni nelle ruote della leadership politica italiana sui temi cruciali dell’interesse generale. Si ricordino tutti loro che la tutela di quell’interesse generale del Paese coincide con la costruzione di un’Europa federale con l’Italia al centro. Sull’Ucraina come sui migranti e, ancora prima, sulle regole del nuovo patto europeo di stabilità e crescita. Fare giochetti sulla pelle degli italiani non è più consentito a nessuno.


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