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Il Bundestag, sede del parlamento tedesco

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Fanno oggi quello di cui accusavano l’Italia negli anni ’70 e ’80. I prezzi energetici scendono straordinariamente, ma i prezzi finali saliti vertiginosamente continuano a fare crescere in Olanda e Germania i salari già aumentati e i prezzi conseguenti da aumento del costo del lavoro. Le interconnessioni dell’area euro fanno sì che ciò porti a una politica monetaria restrittiva che fa danni a noi più che a loro. Se la politichetta italiana si occupasse di queste cose assolverebbe alla missione per cui esiste. Deve fare squadra sia in casa sul Pnrr sia in Europa con la Francia e la stessa Germania per cambiare insieme le regole europee. Solo così si preserva l’economia italiana, oggi più forte di tutte, iniettando fiducia al posto di masochista gufismo. Smettiamola di farci del male da soli.

L’Europa ha difficoltà a riconoscere che l’aumento dei prezzi dell’energia ha portato  su tutti i prezzi.  Ora i prezzi energetici scendono straordinariamente, ma la domanda da porsi è: quando quei prezzi finali che sono saliti vertiginosamente nel Nord Europa  e hanno portato su i salari cominceranno a fermarsi? Anzi, come sarebbe corretto e giusto, quando inizieranno a  diminuire? Perché la situazione reale di oggi è che continuano ad aumentare i saldi dei prodotti e i profitti di chi li vende. La situazione reale è che aumentano, soprattutto in Olanda e in Germania, i salari e crescono i prezzi finali da aumento del costo del lavoro. Sono questioni che più che noi riguardano il Nord Europa, ma portano a una politica monetaria restrittiva che fa danni a noi più che a loro.

Questo tipo di comportamenti richiede esami severi più analitici possibili perché determinano il rischio di essere molto rapidi nel riportare verso l’alto il costo del denaro. Possono causare un’onda rialzista oltre il dovuto che segna stabilmente incrementi rilevanti e produce rischi dal lato della stabilità finanziaria. Perché  gli intermediari devono adeguare attivo e passivo alla nuova situazione e, se questi attivi e passivi li hanno immobilizzati, possono avere crisi di liquidità

Si è visto in America. Si  è visto in Svizzera e un po’ in Germania, da noi per fortuna no. Il rischio diventato purtroppo realtà di aumenti troppo rapidi e di una irresponsabile previsione che si continuerà comunque a aumentare indipendentemente dai dati futuri, è quello di portare giù il credito dell’economia ed è proprio quello che è accaduto. Se è vero, come è vero, che il credito alle imprese sta complessivamente scendendo nell’area dell’euro.

Il tentativo di invitare alla prudenza sia nel leggere i dati che abbiamo a disposizione sia nel capire tutte le interconnessioni dell’area euro a partire da quelle tra tassi e salari che crescono davvero troppo in Olanda come in Germania, è assolutamente obbligatorio. Siamo di fronte a uno scenario assolutamente inedito. Olanda e Germania si autodefinivano formiche e chiamavano noi cicale perché tiravamo su salari e inflazione negli anni ’70 e ’80, ma oggi sono proprio loro a fare volare salari e inflazione. Sono loro le cicale e noi le formiche. Sono loro Olanda e Germania che fanno le cicale e fanno pagare a noi un pezzo del conto dei loro aumenti. Non solo rivogliono prendere i loro spazi fiscali aumentando il vantaggio nei confronti di chi, come noi, di spazi fiscali ne ha di meno, ma  attraverso la leva monetaria vogliono trasferire sui nostri bilanci pubblici anche la loro manica larga negli aumenti salariali. È un po’ troppo.

Fanno loro oggi quello di sbagliato di cui accusavano giustamente noi nei decenni del meccanismo perverso della scala mobile. Ora i salari in Germania sono molto alti per i dipendenti delle Poste come di tutta la pubblica amministrazione. Nella metallurgia pure sono cresciuti, ma non come nelle Poste.

Ciò nonostante ci sono gli scioperi. Soprattutto nei trasporti, Lufthansa compresa, perché dicono che i loro salari sono stati fermi troppo a lungo, ma sono comunque salari molto più alti che da noi. Non cambia nulla, a loro non gliene frega niente che l’area euro è comune, chiedono comunque di recuperare potere d’acquisto e lo avranno.

Noi abbiamo un panorama prevalente di piccole imprese dove è più importante conquistare nuovi mercati e premi ad personam, mentre in Germania il tema della questione salariale generale, pubblica e privata, è più sentito e non si è riusciti a mantenere un rapporto produttivo tra sindacato e politica fiscale. Nel Paese che vede nell’inflazione il male assoluto, questo è il segno più evidente della crisi di leadership politica di chi lo guida e dello stato confusionale della sua classe dirigente.

Anche per queste ragioni è opportuno sventare il rischio di una ulteriore sequenza di aumenti di tassi. Perché la stretta monetaria prolungata porta a stringere sul piano fiscale chi è già chiuso nei suoi margini di manovra, come l’Italia, e può portare alla recessione l’economia più vitale in Europa da tre anni in qua, che è sempre quella italiana. L’aumento dei tassi di oggi è già sufficiente a frenare la crescita  ai finanziamenti alle imprese e rappresenta di per sé un freno all’economia reale. Se la politichetta italiana si occupasse unitariamente di queste cose qui assolverebbe alla missione per cui esiste e salverebbe il Paese nei giorni della guerra nel cuore dell’Europa e del conflitto mondiale di civiltà.

Quando arriveranno i forconi perché  le cicale tedesche e olandesi avranno fatto evaporare il miracolo economico delle formiche italiane,  le opposizioni radical chic o populiste e le fazioni della maggioranza che non avranno favorito il necessario dialogo europeo saranno tutte travolte. Purtroppo, con loro viene travolto anche il Paese, ricchi e poveri senza distinzione. Per questo da settimane chiediamo a tutti compattezza da sistema Paese in Europa sulle questioni monetarie come su quella del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), del nuovo patto di stabilità e crescita e del fondo sovrano europeo. Bisogna fare squadra in casa sul Pnrr e poi con la Francia e la stessa Germania in Europa per cambiare insieme le regole europee e preservare l’economia italiana più forte tra le Grandi iniettando dosi di fiducia, non di masochista gufismo. Tutta l’Europa, non l’Italia, si salva solo con un progetto politico comune che va dalla difesa alla politica di bilancio fino all’industria del futuro e alla politica estera. Battiamoci in casa e fuori per le cose serie e smettiamola di farci del male da soli.


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