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Sono andate bene le entrate fiscali con una crescita di 4/5 miliardi rispetto alle aspettative. Le esportazioni extra Ue compensano la caduta tedesca. Il fabbisogno pubblico sale come previsto e obbligato. Tra fiducia internazionale da recuperare, nuovo metodo da costruire su salario minimo e salari poveri, e legge di bilancio da 30 miliardi ce ne sono già molti di problemi seri, fare allarmismo sulle entrate fiscali brucia in un colpo solo la fiducia delle imprese che corrono e delle famiglie che non hanno rinunciato a spendere quello che possono. Sono giochi pericolosi

Anche se al Tesoro non vogliono che i dati siano resi pubblici perché temono che Salvini si avventi con qualche altra idea fantasiosa per fare questa o quella spesa clientelare, la realtà è che le entrate fiscali di luglio sono andate bene con una crescita di 4/5 miliardi rispetto alle aspettative. Sono frutto di un boom di profitti delle imprese (Ires) e di tasse pagate dai lavoratori (Irpef) che assorbe e supera la contrazione delle imposte indirette, a partire dall’IVA, e del contributo, in genere, ridotto del lavoro autonomo.

Aumentano i prezzi spinti da profitti sussidiati e dalla speculazione dei furbetti dei listini della distribuzione e dei beni alimentari per cui la gente ha meno in tasca, deve pagare di più, e alla fine consuma e spende di meno. Senza considerare l’area di evasione protetta su cui la delega fiscale si sarebbe dovuta concentrare con maggiore attenzione rilanciando al massimo lo strumento digitale come forma di pagamento e di controllo.

Vanno anche molto bene le esportazioni sia in termini congiunturali che tendenziali dimostrando, mese dopo mese, che l’impresa globale italiana è riuscita a sostituire la caduta della domanda interna tedesca con una forte crescita sui mercati extra-europei. Al punto da tornare in attivo grazie anche alla contrazione dei prezzi energetici dal lato delle importazioni.

La situazione di maggiore fabbisogno pubblico è totalmente in linea con le previsioni della Ragioneria generale e del Tesoro della Repubblica italiana che lo fanno salire fino a 90/100 miliardi non solo per quest’anno ma anche per i prossimi 3/4. Perché bisogna anticipare i soldi del Pnrr, perché gli enti locali finalmente hanno cominciato a spendere e i soldi vanno tirati fuori, perché soprattutto il superbonus continua a pesare, perché come previsto la spesa per i tassi di interesse e per le pensioni è aumentata, ma per fortuna a settembre la terza rata del Pnrr di 18,6 miliardi entra e il resto dei 35 miliardi sono previsti per la fine dell’anno.

Quello che deve essere chiaro è che i numeri sono complicati per come era noto a tutti e per come lo sarà nei prossimi anni, ma deve anche essere chiaro a tutti che al momento non c’è nessun allarme perché la situazione era ampiamente prevista ed è sotto controllo.

Chi alimenta questo stato d’allarme, anche dai grandi giornali con il solito tono accigliato, non si rende effettivamente conto della delicatezza della situazione. Perché anche se si perseguisse il nobile obiettivo di tenere a freno pulsioni esistenti in questa maggioranza di spalmare i debiti fiscali di chi già paga meno di quello che dovrebbe o fare spesa previdenziale folle, il metodo di informare mettendo in evidenza in modo distorto solo una parte della realtà è profondamente sbagliato perché, di fatto, alimenta preoccupazioni ingiustificate e peggiora il quadro.

Perché non ferma gli spendaccioni della demagogia elettorale e incide invece sulla fiducia di consumatori e investitori facendo molto male al Pil italiano. Valuteremo bene, con i fatti, se anche su salario minimo e salari poveri prevarrà o meno la volontà in un senso o nell’altro di giocarselo come bonus elettorale per i propri clientes o se invece si usano due mesi per fare bene le cose mostrando di rendersi conto della realtà effettiva del Paese. Che ha i suoi indubbi punti di forza di dinamismo imprenditoriale e di resilienza delle famiglie e le sue palesi criticità salariali e di contesto. È evidente che questa consapevolezza comune serve per sporcarsi finalmente tutti insieme le mani e preservare il miracolo economico in atto lasciato in eredità da Draghi che nessuno prima ha voluto vedere e poi neppure raccontare.

Il momento di verità lo si avrà in due fasi. Prima con la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) e poi con la legge di stabilità. Si parte da una ricerca minima di 30 miliardi di cui 10 servono solo per rendere strutturale il doppio intervento Draghi-Meloni sul cuneo fiscale, altri 3/5 miliardi per attuare una micro parte della delega fiscale accorpando le due aliquote più basse, 7/8 miliardi sono spese indifferibili tra missioni internazionali e rinnovo dei contratti pubblici reso stringente dalla inflazione ancora elevata e dagli adeguamenti di contingenza già accordati per i pensionati. Tutte le proposte di opzione donna, garanzia giovani e, in genere, di uscita anticipata per le pensioni non sono accoglibili in partenza.

Anche perché il quadro negli anni a venire non può che peggiorare sotto la spinta delle regole della nuova governance europea con il debito che deve scendere minimo dello 0,5% annuo rispetto al Pil, e i vincoli dell’avanzo primario e del 3% di rapporto deficit/Pil di cui tenere conto.

In una situazione di contesto, questa sì effettivamente complicata, con un colpo di sole di mezza estate il vicepremier Salvini è riuscito a buttare sul tavolo una supertassa sulle banche, non concordata con nessuno, che obbligava metà delle banche italiane a una ricapitalizzazione precauzionale e che, anche nella forma drasticamente ridimensionata da Giorgetti, incide comunque sulla redditività del settore e, cosa ancora peggiore, sul giudizio delle agenzie internazionali sui titoli sovrani italiani che vedono ridimensionare un asset, a cui danno molta importanza nelle loro rilevazioni, che è quello della solidità bancaria italiana ritrovata.

Come si vede, di problemi seri di cui occuparsi ce ne sono già molti, non c’è proprio bisogno di fare allarmismo sulle entrate fiscali che vanno invece molto bene e bruciare in un colpo solo la fiducia delle imprese che continuano a correre nelle esportazioni e delle famiglie che, nonostante l’inflazione, non hanno ancora rinunciato a spendere quello che possono. Questi sono giochi pericolosi, più o meno intellettuali, che come Paese non possiamo proprio permetterci.


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