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Giorgia Meloni col cancelliere tedesco Olaf Scholz a Palazzo Chigi

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Tutta la logica del nuovo Patto voluto dalla Germania è sbagliata e riproduce i principi di zoppìa che denunciò in tempi lontanissimi Carlo Azeglio Ciampi sostenendo che si tagliava la gamba della crescita a favore della stabilità. Oggi sarebbe peggio perché si priverebbe l’Europa anche per il futuro di un’unica politica economica e, di conseguenza, di una prospettiva di crescita da player globale all’altezza di Stati Uniti e Cina. A marzo potremmo essere i primi in investimenti del Pnrr, ma dobbiamo fare subito le riforme per avere oggi un surplus di credibilità che ci aiuta a cambiare il quadro delle regole europee comuni.

QUESTO appena finito è stato un week end di lavoro molto importante a Bruxelles per sbloccare l’erogazione della quarta rata italiana del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e chiudere sugli obiettivi della quinta rata entro la fine dell’anno. Da questo negoziato dipende la partita decisiva per il prodotto interno lordo italiano che è quella di collocare il nostro Paese, da marzo del 2024 in poi, alla testa dell’Europa per capacità di fare investimenti pubblici legati all’utilizzo dei fondi europei. Sempre in questi mesi si misurerà sul campo la reale volontà del governo Meloni, al di là della tattica legata alla scadenza elettorale europea e a pulsioni di populismo che sopravvivono nella sua maggioranza, di non interrompere il ciclo riformista avviato dal governo Draghi sorprendendo un’altra volta tutti facendo su concorrenza, burocrazia e giustizia quello che si doveva già fare e non è stato fatto.

Aggredendo e sciogliendo i nodi che hanno frenato a lungo la crescita italiana e che ingabbiano tutt’ora una resilienza della nostra economia così forte da avere recuperato margini di produttività superiori alla media dell’eurozona in un contesto ambientale che resta ancora sfavorevole per i divari infrastrutturali e le lentezze della macchina amministrativa e giudiziaria. Questa partita europea è in realtà la vera partita interna italiana. C’è, poi, invece una vera e propria partita che l’Italia deve condurre e vincere in Europa che riguarda le regole fiscali del nuovo patto di stabilità e crescita.

Questa che noi, per intenderci, chiamiamo la battaglia dei decimali rischia di essere così assorbente da impedire di combattere la guerra degli investimenti pubblici europei comuni in industria e ricerca. Senza vincere questa guerra l’Europa finisce in recessione e, di fatto, sparisce diventando solo un grande mercato unico. Come ha indicato con la solita chiarezza prima degli altri Mario Draghi. Noi non dobbiamo consentire che prevalga il ricatto tedesco della gabbia dei decimali perché se ti vincolano a scendere nel debito di un punto l’anno per quattro anni e un po’ meno se ti allunghi a sette, sarai sempre legato a un conto di controllo che ti vincola a recuperare anno per anno quello che non sei riuscito a recuperare prima. È vero che noi ci siamo fermati allo 0,7% sotto l’1,3% prefissato di avanzo primario, ma dobbiamo anche ricordarci che il tiraggio del credito di imposta del superbonus va a incidere sul debito per 20/22 miliardi l’anno per un bel po’ e sull’attribuzione tra competenza e cassa di queste somme restano le incognite.

Tutta la logica del nuovo patto è profondamente sbagliata e riproduce in modo costitutivo quei principi fondanti di zoppìa che denunciò in tempi lontanissimi Carlo Azeglio Ciampi sostenendo che si tagliava la gamba della crescita a favore di quella della stabilità e privando l’Europa di fatto di un’unica politica economica e, di conseguenza, di una prospettiva di crescita da player globale all’altezza di Stati Uniti e Cina. Un esempio lampante del ritorno di questa pericolosissima miopia tedesca viene da un’ulteriore gabbia inserita nelle maglie della bozza del nuovo patto europeo. Per i Paesi a alto debito come l’Italia, non sarà più possibile usare le eventuali maggiori entrate tendenziali derivanti da crescita migliore rispetto alle previsioni per fare spesa pubblica anticiclica come fece Draghi con i supergettiti di Iva a favore di famiglie e imprese.

Sono tutte bardature fuori dalla realtà e dalla storia di questi giorni di crisi globale, segnata da due guerre e da un rischio reale di recessione solo europea e già solo tedesca. Si obietta che, in assenza del nuovo Patto, si torna al vecchio e scatta la regola del ventesimo per cui la differenza tra il 140% di debito/Pil e il 60% previsto nel Patto comporterebbe un aggiustamento annuo del 5 non dell’1%, ma obiettiamo noi che siccome si tratta di target del tutto irrealistici evidentemente non potrebbero nemmeno scattare. Anche se ovviamente il formalismo delle procedure comporterebbe il ritorno in vita di grandezze astruse come i saldi strutturali e cose simili che sarebbero altri vincoli alla crescita. Diciamo le cose come stanno. Sul nuovo Patto europeo bisogna davvero bloccare tutto e fare un’operazione verità. Nessuno vuole mettere in discussione gli obblighi di serietà di finanza pubblica che, peraltro, l’Italia sta rispettando, ma bisogna assolutamente impedire che la crisi dell’economia tedesca porti nel baratro l’intera economia europea.

Prima di definire le nuove regole europee di stabilità si vari un piano comune di centinaia di miliardi di investimenti pubblici dell’Europa in industria e in ricerca e poi si decidano nuove regole fiscali coerenti con questa scelta strategica. Che dovrà essere accompagnata dalla volontà politica di unire finalmente difesa e politica estera. Fuori da questi ambiti si persegue solo masochisticamente il suicidio dell’Europa. Fermarsi un attimo prima non è più facoltativo, ma obbligatorio.


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