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Draghi e gli altri leader mondiali

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Tutto questo è avvenuto perché, come questo giornale sostiene da tempo in assoluta solitudine, le sanzioni economiche di Europa e Stati Uniti hanno distrutto la Russia e il peso politico delle decisioni italiane sul quadrante europeo è stato decisivo. Se il nostro Paese è tra i pochi chiesti come garante per la pace dall’Ucraina lo si deve al merito politico di Draghi di aver saputo vendersi il portato della storia dei rapporti tra Italia e Russia e la dignità di difendere l’Ucraina a viso aperto

Ha fatto tutto da solo Vladimir Putin. Ha fatto l’errore della sua vita. Si è presentato agli occhi del mondo per quello che è e che nessuno voleva vedere e, tanto meno, osava dire: un dittatore. I crimini della sua guerra in Ucraina hanno annullato la storia occidentale di Putin in economia che pure esiste. Il ministro degli Esteri non era d’accordo con lui.

Il capo dell’intelligence non era d’accordo con lui. La governatrice della banca centrale se lo sarebbe mangiato vivo. Tutti parlavano a lui di economia, non di carri armati, di rubli, non di missili. Non ha voluto sentire ragioni. Si è macchiato di un genocidio che rimarrà nella storia e, soprattutto, ha raso al suolo l’economia del suo Paese.

Oggi è costretto a prenderne atto e paga il conto. È l’economia a dettare l’agenda della pace. È il default della economia russa che annulla un quarto di secolo di occidentalizzazione a spingere per la pace. È la povertà della popolazione determinata dal crollo del rublo e del potere d’acquisto delle famiglie a imporre di firmare una resa mascherata da vittoria. È l’isolamento produttivo e finanziario dal mondo moderno che pesa come non mai su chi non ha più nulla a spartire con il default sovrano del ’98 e la cultura del baratto. Sono i privilegi cancellati dei suoi oligarchi che hanno aperto di giorno in giorno un fossato sempre più incolmabile tra le ragioni della rendita capitalista russa e quelle cosiddette militari di un espansionismo fuori dalla storia umiliato sul campo dalla eroica resistenza del popolo ucraino che è diventata la resistenza del mondo libero riunito.

Vogliamo essere chiari. Tutto questo è avvenuto perché, come questo giornale sostiene da tempo in assoluta solitudine, le sanzioni economiche di Europa e Stati Uniti hanno distrutto la Russia e il peso politico delle decisioni italiane sul quadrante europeo è stato decisivo.

Nessun Paese al mondo aveva mai subito sanzioni di questo tipo con il blocco di tutte le riserve all’estero e in oro della banca centrale russa e con il blocco di tutte le transazioni di pagamento dall’estero nei confronti della Russia. Perché i soldi di qualsiasi transazione passano per i conti di transito che sono collocati presso la Banca centrale europea (Bce) o presso la banca centrale del Paese di emissione del pagamento e, quindi, sono bloccati ab origine.

Tutti i versamenti che affluiscono ogni giorno indirizzati ai russi non sono utilizzabili. Anche se paghiamo con i soldi loro, i rubli, i mandati di pagamento emessi da loro i soldi poi a loro neanche arrivano ad esclusione di quelli del canale gas-finanza limitatamente alle transazioni operate da Gazprombank e da Sberbank. Perché prima c’è il passaggio per quel conto di transito dove si ferma tutto.

La portata di questa sanzione non è stata minimamente colta dai media italiani, ma neppure da quelli americani e dai giornalisti italiani americanizzati. Perché l’enfasi geopolitica sugli alleati cinesi impedisce loro di cogliere che è assolutamente importante sul piano degli affari politici che il mondo non occidentale del G20 (Cina, ma anche India, Nord Africa, Pakistan, Arabia Saudita e altro ancora) non abbia condannato l’invasione russa dell’Ucraina, ma è solo molto limitatamente sufficiente a ridurre l’impatto dell’esclusione della Russia dal circuito finanziario occidentale. Non è vero che si può sostituire il canale delle transazioni occidentali, l’ormai famoso Swift, con quello cinese anche se volessero davvero dare una mano che è cosa comunque da vedere e capire bene. Perché anche se tutto ciò avvenisse, potrebbe accadere solo per una piccola frazione degli scambi globali in quanto non puoi sostituire una moneta di riserva con una moneta che non è nemmeno una moneta di riserva.

Questi sono i fatti, il resto sono chiacchiere. E sono questi fatti che stanno costruendo per la prima volta la pace con qualche concreta speranza di realizzazione. Come il brindisi di tutti i mercati del mondo dimostrano. Fa eccezione quello del gas perché permane sul tavolo della pace la pistola del ricatto putiniano già respinto al mittente di accettare solo pagamenti in rubli delle forniture di gas russo. Non si può neppure escludere che per qualche giorno chiuda il rubinetto Putin, ma oggi grazie alle scorte sui paesi occidentali non ci sarebbero effetti immediati devastanti, e quindi il rubinetto Putin dovrà riaprirlo. In mezzo, però, è suo interesse come lo è degli europei, e più di tutti degli italiani, che si arrivi alla pace con la neutralità dell’Ucraina e qualche piccolissimo più o meno finto riconoscimento alla Russia.

Tutto questo è possibile, si può almeno provare a costruire, perché l’Europa è stata compatta e l’Italia ha fatto con Draghi una scelta che non è nel solco di neutralismo che ha sempre contraddistinto i suoi predecessori. Se il nostro Paese è tra i pochi chiesti come garante per la pace dall’Ucraina lo si deve a questo lucido coraggio. Se Mario Draghi è al fianco del presidente di turno dell’Unione europea Macron e del presidente del G7 Scholz in call con il capo degli Stati Uniti Biden lo si deve anche al prestigio del nostro premier ma prima ancora al merito politico di avere saputo vendersi il portato della storia dei rapporti tra Italia e Russia e la dignità di difendere l’Ucraina a viso aperto guadagnandosi un nuovo tipo di rispetto da parte della Russia.

Abbiamo scritto appena qualche giorno fa che l’Europa ha bisogno della sua squadra per non perdere posizioni nel riordino mondiale dopo pandemia e guerra. Abbiamo detto e ripetiamo che abbiamo bisogno se non di un Federatore, almeno di un gruppo di quattro o cinque federatori che lavorino in simbiosi su energia, difesa, politica estera e politica di bilancio. Abbiamo anche la fortunata contingenza come italiani di averne uno degno per fare parte di questo collettivo di testa. Cerchiamo almeno di non fargli perdere la pazienza.


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