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Ha diritto a difendersi e va sostenuta con forza, ma non si dimentichi la lezione americana e si impedisca che la reazione sia o appaia sproporzionata. Dopo la lunga notte di Gaza è ora di dire a Israele: basta! Si incendiano i bacini del Medio Oriente. Nelle capitali del mondo occidentale si occupano le piazze. Si favoriscono Hamas, Putin e le frange estremiste. La democrazia israeliana va avvertita che è cambiata la percezione di loro come dimostra l’orrore di una risoluzione dell’Onu che non condanna Hamas. Il desiderio di difesa di Israele non può arrivare al punto di fare saltare il mondo. Anche perché ovviamente salterebbero prima loro.

La lunga notte di Gaza di sangue, morte e terrore segna l’estremo punto di confine prima del precipizio. Perché mette in discussione l’assoluto diritto di Israele a difendersi dall’orrore dell’attacco subìto da Hamas e la proporzionalità che questa reazione deve sempre avere. Sono stati colpiti 150 obiettivi di Hamas ed è stato fatto fuori il capo delle operazioni del 7 ottobre dell’organizzazione terroristica, questo rientra nella proporzionalità, ma sotto le macerie ci sono padri, madri e i loro bambini di un popolo inerme di civili, ci sono neonati che perdono la vita qualche ora dopo di chi li ha messi al mondo perché l’ospedale non ha più elettricità. A Gaza l’unica luce è quella delle esplosioni, i cellulari sono spenti e tutte le reti saltate. Siamo davanti alla più grande prigione a cielo aperto al mondo. L’avanzata su terra dei carri armati israeliani in coordinamento con un’azione cielo-mare pone interrogativi inquietanti.

Non dobbiamo mai dimenticarci di ripetere che Israele ha diritto a difendersi e dobbiamo sostenere con forza questa azione di difesa, ma dobbiamo essere altrettanto vigili sul fatto che la reazione non sia mai e nemmeno appaia sproporzionata. Anche perché, purtroppo, le pulsioni delle componenti militari più reazionarie della coalizione di governo guidata da Netanyahu spingono oggettivamente in questa direzione. Si scherza con il fuoco dell’incendio mondiale e, a questo punto, metaforicamente basta poca legna e qualche tanica di benzina per fare esplodere tutto.

Non è francamente tollerabile anche solo il racconto che da più parti si accredita di militari israeliani che ne stanno facendo di tutti i colori al grido della vendetta che vuol dire ucciderne dieci di loro per uno di noi con espressioni e atti che rievocano le peggiori stagioni della storia del mondo. Riteniamo che sia arrivato il momento di dire anche a Israele che si è già fatto abbastanza, che è arrivato il momento di dire basta. Perché d’ora in poi il torto passa a loro mentre fino adesso è stato degli altri e, attenzione, questo torto che diventa loro può mobilitare mezzo mondo. Si passa a una situazione in cui il mondo reagisce contro di te. La prima conseguenza è che si incendiano tutti i bacini del Medio Oriente. La seconda è che la guerra mondiale a pezzi di Francesco rischia di realizzarsi con pezzi che si incastrano in una guerra globale che distrugge vite umane e ferma l’economia del mondo.

La famosa dottrina della guerra giusta, sempre discutibile, contiene nei suoi capisaldi un discorso che la reazione deve essere sempre proporzionata e chi ha a cuore la democrazia israeliana ha il dovere di fare capire ai suoi governanti che la percezione del mondo nei loro confronti sta cambiando perché è prevalente la convinzione che si stia attuando e sempre più si voglia attuare una reazione sproporzionata. Lo stesso segnale che viene dalle Nazioni Unite che chiede una tregua umanitaria e che addirittura (cosa gravissima) arriva a bocciare la condanna dell’operato di Hamas non può essere però sottovalutato.

Sull’attacco a Israele di Hamas, a nostro avviso, siamo davanti all’orrore e bisogna essere durissimi in una condanna senza se e senza ma con comportamenti conseguenti coerenti, ma è altrettanto evidente che proprio la risoluzione delle Nazioni Unite ci deve indurre a fare riflessioni ulteriori. A suo modo questa risoluzione conferma che dietro Hamas c’erano tanti ragazzi palestinesi che convintamente volevano fare l’atto finale: andiamo ad uccidere gli ebrei. Vi rendete conto dell’abnormità di questa follia e, allo stesso tempo, altra cosa che non può essere sottovalutata, a quale punto è arrivato l’odio fin dalle giovani generazioni dopo settant’anni di oppressioni trasferite dai padri ai figli?

Parliamo di un odio profondo che si è allargato invece di restringersi nel tempo e questo ci deve spingere a non indietreggiare nemmeno di un millesimo nell’azione di condanna e di contrasto della criminalità dell’azione di Hamas, ma anche a renderci conto che siamo alla terza generazione di bambini che non possono uscire di casa e che a Gaza l’esercito israeliano è stato troppo spesso schierato per aiutare i coloni a occupare terreno giorno dopo giorno fino a togliere la superficie fisica minima su cui costruire il secondo Stato.

Biden non si stanca di avvertire Israele sul livello di guardia della situazione e sull’esigenza di non superarlo, molte grandi democrazie come l’Italia si sono giustamente astenute nel voto all’Onu perché è mancata la condanna di Hamas, le capitali del mondo occidentale sono diventate il luogo di una grande manifestazione collettiva di segno opposto dove si mescolano pericolosamente elementi di scontro religioso e di civiltà che fanno paura. Perché si muovono fuori casa sullo sfondo della grande questione palestinese irrisolta e di un mondo arabo globalizzato in ebollizione. Dare forza all’autorità palestinese è un dovere assoluto, ma la sua debolezza attuale è il prodotto della storia di prima con i silenzi dell’Occidente. L’inconsistenza dell’Europa come soggetto unitario pesa in modo altrettanto pericoloso sulle possibilità di ulteriore complicazione dello scenario con una guerra regionale che diventa globale.

Sul discorso della sacrosanta proporzionalità della reazione israeliana che si trasforma in “diritto di massacro”, monta la rabbia del mondo che giustamente genera tutti i crimini umanitari e, sul piano geopolitico, si rafforza il compimento del disegno destabilizzante di Hamas, Putin e di tutte le frange estremiste riunite.

Questo è l’errore più grande che può compiere Netanyahu e il pericolo più alto per un equilibrio mondiale già stravolto dai carri armati russi in Ucraina e dal conflitto sempre più evidente tra l’alleanza delle autocrazie contro l’Occidente e i suoi valori democratici che resta diviso e rischia di essere schiacciato dal peso di queste divisioni. Ecco perché chi oggi vuole bene davvero a Israele e vuole tutelare l’unico vero grande brandello di democrazia
possibile in quel territorio, deve chiedere a Israele di fermarsi e di non dimenticarsi mai che oggi gli occhi del mondo sono tutti su di loro.

C’è una storia alle spalle di settant’anni di massacri e per i palestinesi sui quali piovono bombe non c’è tempo di interrogarsi su chi porta la morte, avanza Hamas e avanzano i delinquenti che gli ruotano intorno in cerchi giorno dopo giorno sempre più larghi e territorialmente diffusi. D’altro canto, la stessa storia ci insegna che le guerre più feroci sono state fatte per espandere la democrazia come dimostra, ad esempio, la guerra irachena. Ora, fatto senza precedenti, c’è addirittura Biden che lo riconosce e, parallelamente, c’è un incendio globale che va spento e un processo di guerra militare, civile, religioso non più solo regionale che va orientato nella direzione giusta. Il desiderio di difesa di Israele non può arrivare al punto di fare saltare tutto il mondo. Anche perché ovviamente salterebbero prima loro.


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