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Il progetto del Ponte sullo Stretto

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Deve essere chiaro al mondo intero che è finito il gioco dell’oca dei progetti per il Ponte sullo Stretto che è il paravento dietro il quale si nascondono le riserve ideologiche di grillini e di mezzo Pd che non riescono ad aprire le teste e il cuore per rendersi almeno conto che i grandi piani di rinascita per avere successo hanno sempre bisogno di una bandiera. Che nel caso italiano è una sola possibile e riguarda i 3 chilometri e 300 metri di mare che chiedono di essere attraversati da un ponte a una sola campata che colleghi finalmente la Sicilia al continente, ma che ancora di più funzioni da volano della crescita economica dell’intero Mezzogiorno e regali all’Europa e all’Italia il simbolo della leadership ritrovata nel Mediterraneo

Rimettere a posto un Paese già fragile molto prima del Covid. Soprattutto rimetterlo a posto in presenza delle disparità tra Nord e Sud, di giovani e donne così marcate, è impresa che rasenta la impossibilità. Per questo ha fatto bene il premier Mario Draghi a chiedere venerdì al Social Summit di Porto di non ridurre troppo presto gli stimoli della politica di bilancio espansiva e di rendere strutturale il programma di sostegno all’occupazione che va sotto il nome di Sure. Così come non va sottovalutata la dichiarazione finale di Porto dei Capi di Stato e di governo che dota finalmente l’Europa di uno strumento per i diritti sociali e segna un passo in avanti sul quale ragioneremo domani. Quello che ci preme qui sottolineare è che nelle parole di Draghi e nell’esito positivo della sua azione c’è la piena consapevolezza del problema italiano. Che è quello di un Mezzogiorno che da oltre quarant’anni non solo non converge verso il Nord, ma addirittura se ne distacca, quasi se ne va per i fatti suoi in una spirale negativa che contagia il centro e, alla lunga, il Nord del Paese.

Da questo impianto concettuale discende la coerenza meridionalista degasperiana del Recovery Plan italiano. Tutto il disegno di sviluppo tra Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e piano “parallelo” con fondo complementare e ulteriori extra e medesime regole accelerate, riflette la scelta strategica di tornare a attuare politiche produttive non assistenziali di convergenza tra le due Italie. Dopo quarant’anni di distrazioni a volte interessate e di errori marchiani come il federalismo regionale della irresponsabilità che è stato il trionfo della miopia della spesa storica che ha ulteriormente spaccato il Paese e di una conclamata inefficienza a tutti i livelli.

Questo giornale non si stancherà mai di ripetere ai capipopolo vecchi e nuovi del Mezzogiorno che continuano a fare battaglie sulle percentuali fuori tempo massimo e fuori dalla storia che stanno tradendo per l’ennesima volta le donne e gli uomini del Mezzogiorno. Nulla è stato trascurato per mettere in pista sull’alta velocità ferroviaria, porti, logistica e digitale, solo per fare qualche esempio, ma altrettanto è avvenuto per asili nido, scuola e ricerca, un progetto Italia finalmente trasversale dove il disegno di crescita delle due aree del Paese torna a integrarsi per convergere alzando i target e puntando, come giusto, su un contributo maggiore alla crescita del Pil del Sud rispetto a quello del Nord in misura nettamente significativa.

Un progetto così ambizioso che parte finalmente dal capitale umano richiede una linea chiara di comando che dia a Draghi quello che non si voleva dare a Conte perché è ciò che serve al Paese e perché la credibilità internazionale del nostro premier e la qualità delle scelte operate non sono nemmeno lontanamente comparabili. C’è una dimensione strategica prima completamente assente, indipendentemente dalle responsabilità di Conte stretto nella morsa della peggiore politica partitocratica, che adotta il modello francese e mette insieme tutte le risorse disponibili per massimizzare l’investimento e cambiare faccia al Paese cogliendo un’occasione che appartiene alla storia.

Se dovessimo continuare a ragionare con la vecchia logica del localismo e quella delle fazioni regionaliste non capiremmo chi siamo realmente e continueremmo nell’errore quarantennale di impostazione. Se nemmeno il nuovo ’29 mondiale consente all’Italia di uscire dal frazionismo decisionale ministeriale e regionale e dai mille gattopardismi italiani sarà evidente al mondo intero che l’Italia è insalvabile e ci condanneremo con le nostre mani a una prospettiva argentina. Facendo peraltro saltare al suo primo vero debutto il progetto di un’Europa che sceglie finalmente la politica fiscale espansiva e dimostra di capire le ragioni della solidarietà uscendo dalla trappola di un’austerità che nessuna persona di buon senso potrebbe ancora sostenere nel pieno della pandemia sanitaria e di quella esplosiva a essa collegata che ha ricadute gravissime sul piano economico e sociale.

Questi sono i fatti, il resto è la solita propaganda. Deve essere chiaro al mondo che in Italia è cambiato tutto per cui si valuta e si decide in 60 giorni se un intervento si fa o non si fa. Deve essere chiaro al mondo che in Italia si assume finalmente per merito nella pubblica amministrazione e i nostri giovani di talento trovano qui, non altrove, il loro impiego di soddisfazione. Deve essere chiaro al mondo intero che è finito il gioco dell’oca dei progetti per il Ponte sullo Stretto che è il paravento oneroso dietro il quale si nascondono le riserve ideologiche di grillini e di mezzo Pd che non riescono ad aprire le teste e il cuore per rendersi almeno conto che i grandi piani di rinascita per avere successo hanno sempre bisogno di una bandiera. Che nel caso italiano è una sola possibile e riguarda i 3 chilometri e 300 metri di mare che chiedono di essere attraversati da un ponte a una sola campata che colleghi finalmente la Sicilia al continente, ma che ancora di più funzioni da volano della crescita economica dell’intero Mezzogiorno e regali all’Europa e all’Italia il simbolo della leadership ritrovata nel Mediterraneo potendo finalmente dare a turchi, egiziani e russi la lezione che meritano.

È stato studiato tutto ciò che era da studiare e sono state istruite le pratiche per i quattro quinti delle autorizzazioni che servono per fare partire l’opera. Smettiamola di girarci intorno e facciamo quello che dobbiamo fare. Se per una volta i Capi delle Regioni del Sud invece di mugolare a cose fatte si prendessero loro la briga di investire una parte delle risorse del fondo di sviluppo e coesione restituite da Draghi, proprio sulla costruzione del Ponte rinunciando alle marchette dei progetti sponda, allora vorrebbe dire che qualcosa sta cambiando.

Vorrebbe dire che l’albero del nuovo piano Marshall può dare finalmente i suoi frutti perché contribuirà a cambiare le teste e i comportamenti delle persone. Quello che serve oggi, prima di tutto al Mezzogiorno. Se no le cose si possono anche ottenere con qualche strappo ma poi non durano. Buona domenica a tutti.


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