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Mario Draghi seguito da Justin Trudeau, Joe Biden e Boris Johnson

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Il Paese è ancora sotto osservazione per il suo debito pubblico, ma è guidato dal leader europeo più autorevole, per esperienza internazionale, e con l’orizzonte politico meno complicato, rispetto alla cancelliera tedesca Merkel e al presidente francese Macron. È Draghi a guidare il processo dell’alleanza occidentale e le scelte di cambiamento della politica economica e climatica europee. Ha gestito bene il dossier del Recovery Plan e la campagna di vaccinazione ha avuto successo. Ha rimesso a posto il sistema e l’economia dà buoni segnali. Di sicuro c’è ancora molto da fare, ma siamo partiti bene

Mario Draghi è per l’Italia un Ciampi al cubo. Se i falchi olandesi e tedeschi si fidavano di Carlo Azeglio come garante dell’Italia in Europa perché indiscutibilmente lo stimavano come persona capace di mantenere gli impegni, Draghi a quegli stessi uomini del Nord ha dato lui la linea in Europa sopportandone contrasti e colpi bassi ma riscuotendone la stima per avere salvato la moneta degli europei con lungimiranza americana e spirito europeista impersonificando l’esatto contrario dello stereotipo dell’italiano spendaccione. Larry Summers, apprezzato ex ministro del Tesoro negli Stati Uniti, qualche tempo fa ha definito Draghi il più grande banchiere centrale degli ultimi trentacinque anni e a chi gli chiedeva perché rispondeva secco “ha salvato l’euro e l’eurozona con tre parole da solo contro tutti”.

Questo è il Mario Draghi del whatever it takes, il più americano dei banchieri centrali europei, che guida il dibattito sulle scelte economiche e climatiche e riscuote la fiducia del neo presidente americano Biden che guida a sua volta la nuova, grande alleanza occidentale. Questo è il Mario Draghi capo del governo italiano che restituisce credibilità internazionale al suo Paese e indica la rotta di una politica economica europea espansiva che punta sulla coesione sociale e non ripete gli errori dell’austerità dell’Europa politica degli anni delle due grandi crisi internazionali. Quella finanziaria del 2007/2008 e quella dei debiti sovrani del 2011/2012.

Anche la congiuntura politica internazionale gioca a favore di Draghi. Oggi l’Italia è guidata dal leader europeo più autorevole, per esperienza internazionale, e con l’orizzonte politico meno complicato, rispetto alla cancelliera tedesca Angela Merkel in uscita senza che si profili all’orizzonte una figura così forte che ne possa raccogliere da subito la leadership europea, e allo stesso Emmanuel Macron che ha iniziato una complicata campagna per la riconferma all’Eliseo. Se Germania e Francia sono messe così, l’Inghilterra è fuori dall’Europa e Johnson è ancora impegnato nella gestione del dopo Brexit. Sempre guardando alla contingenza l’Italia dal primo gennaio del 2021 sta gestendo l’anno di presidenza del G20, che si concluderà con l’atteso vertice di Roma di fine ottobre e che la vedrà protagonista anche nella co-organizzazione della Cop26 sul clima insieme alla presidenza britannica del G7. Con qualche enfasi si parla di una nuova Bretton Woods in arrivo, ma almeno un accordo sul nuovo multilateralismo sulla questione chiave che è quella climatica ci sarà di sicuro. Vi sono poi almeno altre due ragioni strutturali, come nota con la consueta efficacia Michele Marchi, che pongono Roma al centro di questa possibile rinascita di un nuovo rapporto euro-atlantico. Da un lato l’Italia si trova a sfruttare, in questo senso come accaduto alle origini della Guerra fredda, un ruolo strategicamente fondamentale nella competizione tra Cina e Stati Uniti.

Le scelte dell’allora governo giallo-verde e in generale le “simpatie grilline” (vedi la recente querelle sulla visita, poi saltata, dell’ex premier Conte all’ambasciata cinese) per l’autoritarismo di Xi Jinping si sono concretizzate nel fare di Roma l’unico partner europeo di peso ad aver mostrato un certo coinvolgimento nel progetto di Belt and Road Initiative. La “campagna d’Italia” è per Biden fondamentale. Draghi ne è consapevole e sta sfruttando la carta in maniera magistrale dimostrando doti politiche di primo livello per noi scontate. Vi è infine, ma non per importanza, il dossier Mediterraneo. Sul tavolo del vertice Nato del 14 giugno, i dossier Turchia e Mediterraneo orientale (vedi Libia) saranno centrali. Anche qui le strade degli americani si incrociano con quelle degli italiani come dei francesi, ma l’iniziativa assunta da Draghi con il governo di unità nazionale libico ci pone in una posizione strategica.

Durante il primo G 6 dal 15 al 17 novembre del ’75 – il Canada parteciperà dall’anno dopo e avremo il G7- tenutosi nel castello di Rambouillet e fortemente voluto da Valery Giscard d’Estaing c’era l’idea di rimettere in sesto i cocci dell’alleanza occidentale dopo le crisi del ‘71 (ciclone Nixon, il dollaro può fluttuare liberamente) e quelle petrolifere del ’73, l’Italia benché rappresentata da Aldo Moro era il brutto anatroccolo della compagnia. Perché negli anni che vanno dal ’74 al ’76 l’Italia era l’osservata speciale in quanto agli occhi dei tedeschi era il ventre molle che avrebbe portato il Pci al governo e perché era accusata di scelte scellerate di politica economica. Anche quella volta eravamo in una stagione di ricambio delle leadership. Valery Giscard d’Estaing era alla guida della Francia da un anno. Ford aveva preso il posto di Nixon, Schmidt quello di di Willy Brandt.

Oggi, in un mondo molto diverso, si deve rifare la grande alleanza occidentale e l’Italia è ancora sotto osservazione per il suo debito pubblico, ma il suo presidente del consiglio non è più il brutto anatroccolo di allora. È lui a guidare il processo dell’alleanza occidentale e a guidare le scelte di cambiamento della politica economica e climatica europee. Draghi ha gestito benissimo il dossier del Recovery Plan e ha avuto successo con la campagna di vaccinazione. In tre mesi e mezzo ha rimesso a posto il sistema e l’economia dà buoni segnali. Gode anche di quello fatto prima di lui, ma la fortuna di essere nel momento giusto al posto giusto è una delle componenti fondamentali delle leadership politiche.


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