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Mario Draghi e Angela Merkel

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Siamo davanti a una nuova sorta di passaggio di testimone di leadership europea perché la Merkel capisce che questo mandato lo può dare a una persona che ha dimostrato di non lavorare solo per sé e per il suo Paese. L’uomo che ha tenuto in piedi l’euro e salvato l’Europa è sempre lo stesso. Si chiama Mario Draghi. Ma non sarà una passeggiata costruire l’Europa federale con un solo ministro dell’economia e una politica fiscale comune espansiva, fare vincere i principi della coesione sociale e della lotta alle diseguaglianze

Il punto fondamentale è che in Europa è cambiato il vento. Non regge più la vecchia, semplice, logica delle narrazioni che è quella con cui ha vinto anche Macron in Francia. Non funziona neppure più la contronarrazione della destra della Le Pen. Tanto è vero che stanno tornando i gollisti. Tanto è vero che riprende vigore chi ha un’idea di organizzazione della società. Ci sono personalità della destra moderata coperte, a partire da Barnier, che vogliono approfittare della situazione, ma Macron probabilmente con i suoi contatti riuscirà a recuperare a livello centrale. Non si sa ovviamente, si vedrà.

Fatto sta che la stagione delle narrazioni e delle contronarrazioni in Francia si è chiusa. Sta succedendo la stessa cosa in Germania dove la Merkel va via, ma non si trova in casa il successore che può garantire questo stesso tipo di cose. Il problema del Nord Europa, dei due storici Paesi di testa come Germania e Francia e di tutti i Paesi europei, è che, dopo il nuovo ’29 mondiale, ovunque la gente non vuole più narrazioni, ma vuole che si facciano le cose. Che si attuino i piani nazionali di ripresa e di resilienza e che si riaprano le economie. Che si faccia tutto bene e presto perché il morso della nuova emergenza sociale tocca le famiglie, rischia di sgretolare il ceto medio, allarga le fasce di diseguaglianza e di povertà.

La forza di Draghi è che è arrivato lì in Italia e in Europa perché ha fatto delle cose, non delle narrazioni. Anche il whatever it takes, costi quel che costi, non è una narrazione, ma un’assunzione di responsabilità di un banchiere centrale che fa la mossa giusta nel momento politicamente giusto. È l’esposizione di una scelta di azione, è la coraggiosa premessa di un fatto avvenuto. Questa forza in Europa ce l’ha solo Draghi. Questo è il punto. In verità, da un certo momento in poi, questa forza la ha avuta anche la Merkel, ma il suo tempo è scaduto. Tutti gli altri in Europa non possono fare seguire alla narrazione delle parole le cose realizzate. Hanno fatto alcune cose, ma non abbastanza. Macron anche senza sue colpe si trova in questa situazione.

Ora Draghi deve guardarsi dalla doppia invidia. Quella italiana di chi comincia a capire che ha troppo potere e quella degli altri leader europei che cominciano a vederlo come troppo potente in una stagione in cui c’è un evidente problema di vuoto di potere in Europa e si rendono conto del peso oggettivo di chi è stato determinante alla testa della BCE per salvare l’euro e la eurozona.

D’altro canto, se ci pensate un attimo, fu la Merkel che impedì a un tedesco o a un altro francese di prendere l’eredità disastrosa di Trichet alla guida della Banca centrale europea e a ritenere che fosse meglio il rappresentante di un paese che non faceva ombra ma molto bravo sul piano personale e molto stimato in Europa. Quest’uomo era Mario Draghi.

Oggi siamo davanti a una nuova sorta di passaggio di testimone di leadership europea a Berlino perché la Merkel capisce che questo mandato lo può dare a una persona che ha dimostrato di non lavorare solo per sé e per il suo Paese. Quest’uomo che ha tenuto in piedi l’euro e salvato l’Europa è sempre lo stesso. Si chiama Mario Draghi. Questa è la sua forza. Questa è la cosa che lo rende attraente per tutti quelli che sanno che l’Europa si salverà solo così e che lo rende indigesto per tutti gli altri che vogliono salvare le loro rendite e, quindi, lo temono.

Questa volta Draghi dovrà giocare da solo. Avrà una controparte francese preoccupata di non essere più all’altezza. L’Inghilterra che poteva fare da terzo incomodo non c’è più. Ci saranno di sicuro il caos di tutti i piccolini e il problema dell’est. Non sarà una passeggiata costruire l’Europa federale con un solo ministro dell’economia e una politica fiscale comune espansiva, fare vincere i principi della coesione sociale e della lotta alle diseguaglianze. Per questo sarebbe essenziale che tutta l’Italia si stringesse intorno a lui e non si prestasse a fare involontario gioco di sponda con quelle forze occulte che operano dentro i Paesi frugali e dell’Est che non vogliono nessun timoniere e sono sbalorditi che possa uscire un timoniere italiano. Per loro è come immaginare che una competizione tra professori di filosofia venga vinta da un matematico non tedesco ma italiano.

Gli italiani che hanno lo sguardo lungo hanno capito tutto e sono pronti a fare la loro parte. Potremmo sorprendere tutti se per una volta dimostrassimo sul campo di non essere il Paese di autodenigratori che tutti conoscono. Abbiamo bisogno della fiducia contagiosa che accompagnò De Gasperi nella Ricostruzione del Dopoguerra guidando il Paese fuori dalle menzogne della stagione delle dittature. Oggi nella Nuova Ricostruzione deve scattare lo stesso meccanismo di verità che accompagni in modo partecipato lo spirito pragmaticamente realizzativo del governo di unità nazionale guidato da Draghi. Che si è visto ieri nell’impegno per il nuovo accordo possibile nella gestione dei migranti come ancora prima per il Recovery Plan e le riforme di sistema che lo accompagnano. Non ci saranno date altre occasioni perché Draghi è la carta estrema. Anche se questo purtroppo lo capiscono più fuori dell’Italia che in casa.


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