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La ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini

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Dobbiamo attuare il Progetto Italia, non continuare ad alimentare le camarille di dogi e sceriffi da un capo all’altro del Paese. Ministra Gelmini, la strada è tracciata: cerchiamo di non prendere le scorciatoie dei carrozzoni regionali del Nord e del Sud. Non ce lo possiamo più permettere

Eravamo stati chiarissimi con il ministro per gli Affari regionali del governo Conte 2, Francesco Boccia. Vogliamo se possibile esserlo ancora di più con la ministra Mariastella Gelmini, che ne è il successore nel governo di unità nazionale guidato da Draghi. Non le passi nemmeno per la testa, ministra Gelmini, non dico di fare finta di fare qualcosa che spinga sulla strada dell’autonomia differenziata, ma francamente nemmeno di tornarne a parlare. Perché un simile atteggiamento significherebbe ignorare il disastro di questo sistema regionale che è la causa principale del disastro competitivo italiano portatore come è di interessi miopi che hanno consegnato alla povertà il Mezzogiorno e avviato sulla strada del declino il Nord.

Parliamo, per capirci, del peggio del peggio di questo ventennio della crescita zero italiana dove il saccheggio della spesa storica ha fatto crescere la mala pianta dell’assistenzialismo nelle regioni più produttive e ha asciugato i trasferimenti dovuti nella scuola, nella sanità e nei trasporti nelle regioni più deboli. Si sono fatti cittadini di serie A e cittadini di serie B usando il marchingegno della spesa storica e le pratiche consociative della Sinistra padronale tosco-emiliana e della Destra lombardo-veneta a trazione leghista, consumate in un luogo oscuro della democrazia italiana che è la Conferenza Stato-Regioni.

Si è privato il Mezzogiorno, con l’ignavia dei suoi Capi delle Regioni, di quel capitale sociale necessario per guidare il processo di rinnovamento e, di fatto, in territori sempre più estesi si è reso praticamente impossibile il suo sviluppo a causa di un degrado del contesto ambientale dovuto alla abolizione incostituzionale di ogni tipo di spesa sociale paritaria. Dagli asili nido alle palestre fino ai sevizi sociali e ai trasporti locali e veloci per non parlare del taglio abnorme della spesa sanitaria e scolastica, soprattutto in termini di investimenti.

Parliamoci chiaro. Con questo tipo di regionalismo della irresponsabilità non si va da nessuna parte. Se siamo arrivati al punto che il sindaco di Bologna, non di Catanzaro o di Avellino, ha denunciato il centralismo delle Regioni che si è aggiunto a quello dello Stato, mi pare che ce ne sia proprio abbastanza per fare l’esatto opposto di quello che si è fatto in questi ultimi maledetti venti anni.

Ma ci si rende conto o no che con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza bisogna fare nella metà degli anni quello che si fece nel decennio d’oro ’51-’61 del miracolo economico italiano? Si è capito o no che bisogna fare una rivoluzione e che, in questa direzione, si muove all’unisono il trittico “decreto unico semplificazioni-nuova governance-reclutamenti nella pubblica amministrazione” con i poteri di richiamo sacrosanti nei confronti di Regioni e ministeri inadempienti?

Ma davvero c’è qualcuno che può legittimamente pensare in un momento così delicato di intorbidire le acque con la cosiddetta autonomia differenziata quando si tratta viceversa di prendere velocemente atto che con queste Regioni, con le loro incapacità evidenti, affarismi e clientele sotto gli occhi di tutti, non si va da nessuna parte? I poteri che hanno oggi queste Regioni vanno drasticamente ridotti, altro che aumentati con la storiella dell’autonomia differenziata. Che può essere la tomba finale di un Paese Arlecchino che ha perso tutti i treni e consumato tutte le ingiustizie in nome di una frammentazione decisionale che ha portato l’Italia alla paralisi.

Alle Regioni bisogna dire chiaro e tondo che il Piano nazionale c’è, che le scelte sono state fatte dal governo Draghi, che le priorità sono chiare, e che loro si devono collegare a quel piano a partire dalla riunificazione infrastrutturale immateriale e materiale delle due Italie, per fare ciò che è deciso, non per inserire i loro soliti progetti clientelari al Nord come al Sud o per continuare a soffiare sul fuoco affinché continuino ad assumere gli amici degli amici anche per conto dei Comuni o a decidere loro quanto e come dare ai Comuni per opere e interventi già individuati a livello nazionale. Perché bisogna attuare un progetto nazionale basato su fondi europei di cui loro non hanno voce in capitolo né sul primo né sui secondi. Chiaro?

Questo giornale ha smontato in modo documentale la grande balla che il Nord viene sfruttato dal Sud perché nella spesa pubblica sociale ciò che è accaduto è l’esatto contrario. Così come non passa giorno senza ricordare al Mezzogiorno che le sue classi dirigenti non devono chiedere solo soldi, ma organizzarsi per spendere quei soldi che sono finalmente in arrivo in modo copioso in investimenti produttivi, non in clientele, ribaltando il paradigma delle Regioni che non hanno saputo mai spendere bene i fondi di coesione e sviluppo.

Non mischiamo, per favore, le carte come si è sempre fatto in Italia. Sulla spesa ordinaria non si deve fare l’autonomia differenziata, ma applicare finalmente la Costituzione e buttare giù il marchingegno della spesa storica. Come peraltro ha già fatto molto bene il governo Draghi nei servizi sociali e in parte nella spesa scolastica. Dobbiamo attuare il Progetto Italia, non continuare ad alimentare le camarille di dogi e sceriffi da un capo all’altro del Paese. Ministra Gelmini, la strada è tracciata: cerchiamo di non prendere le scorciatoie dei carrozzoni regionali del Nord e del Sud. Non ce lo possiamo più permettere.


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