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Una sospensione generalizzata delle regole che hanno accompagnato l’Unione europea fino a oggi sul bilancio non disattivando la clausola di salvaguardia, è la pre-condizione di tutto. Le regole sugli aiuti di stato vanno sospese e riviste, perché è ovvio che non si possono dare risposte urgenti sull’energia, attuare una transizione ecologica, una nuova politica della difesa e il suo coordinamento, recuperare superfici agricole coltivabili, avere un’industria con player globali finalmente europei, senza maxi-interventi dello Stato ma europeo non italiano. Le risorse finanziarie necessarie non sono attivabili con le risorse dei bilanci nazionali. Serve l’Europa degli investimenti comuni su energia, difesa, industria, ambiente

Mario Draghi ha fatto alle Camere un discorso politico da leader europeo dove riemerge per nostra fortuna il realismo degasperiano. L’Italia di oggi ha un futuro se sta dove la sua geografia la ha collocata e se è capace di essere un pezzo importante della nuova Europa. Che fa con l’energia quello che ha fatto con il Next Generation Eu. Che agisce unitariamente su acquisti, stoccaggi, tassazione di comportamenti speculativi che alimentano una spirale perversa di extra costi. Che agisce unitariamente su tutto perché ha deciso di esistere e di non essere più un condominio.

Perché lo stesso realismo? Perché De Gasperi contrastò le sirene dell’eccezione che sostenevano che l’Italia avrebbe potuto fare da sola con un terzo punto che voleva dire “né con l’Est né con l’Ovest”. No, De Gasperi ebbe l’intelligenza politica di capire che non era così, che l’Italia non poteva fare l’eccezione. Che poteva essere anche un bel sogno, ma non era possibile, perché l’Italia era ridotta come era ridotta e sarebbe ripartita solo se faceva parte del nuovo sistema che ruotava intorno all’America. Oggi Draghi con lo stesso realismo degasperiano rivendica il disegno della nuova Europa, capisce che questa Europa ha bisogno di una leadership collettiva in cui l’Italia può avere un ruolo forte, fa muro contro le sirene residue dei populismi e dei nazionalismi sconfitti dalla storia e ovunque, tranne che nei talk italiani.

Occorre uscire dalla vecchia Europa diretta dalle fobie dei Paesi cosiddetti frugali sempre terrorizzati dall’idea che per aiutare gli altri ci rimettono il loro benessere. Che hanno sempre da ridire su tutto e fanno anche la cresta sui prezzi dell’energia mescolando distorsioni di mercato e finanziarie. Perché i problemi di oggi sono così pesanti, così complessi, che solo l’Europa agendo unitariamente può dare risposte all’altezza della sfida. Serve l’Europa degli investimenti comuni su energia, difesa, industria, ambiente.

Se, come ha ricordato ieri il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, dal 2020 a oggi i prezzi dell’energia sono aumentati in Europa di 8/10 volte mentre negli Stati Uniti solo di due volte, vuol dire che qualcosa di profondamente malato nel sistema europeo c’è e la cura non può che provenire dal sistema europeo, non dai singoli Paesi. Non è più tempo di chiacchiere. La nuova Europa è oggi, non domani, o non è affatto. Va costruita oggi, non domani.

Punto uno. Una sospensione generalizzata delle regole che hanno accompagnato l’Unione europea fino a oggi sul bilancio non disattivando la clausola di salvaguardia, è la pre-condizione di tutto. Qui Draghi ha proprio ragione da vendere, sono anni e anni che lo chiede, ma adesso con la grande crisi permanente e una guerra brutta nel cuore dell’Europa la revisione diventa inevitabile e molto più profonda di quanto si sarebbe fatto prima della lunga serie di crisi internazionali.

Punto due. Le regole sugli aiuti di stato vanno sospese e riviste, perché è ovvio che non si può attuare una transizione ecologica energetica, una nuova politica della difesa e il suo coordinamento, recuperare superfici agricole coltivabili, avere un’industria con player globali finalmente europei, senza maxi-interventi dello Stato ma europeo non italiano. Questo è il punto. Questo fa la differenza.

Il punto dei punti, insomma, è che la risposta deve essere congiunta. Perché le risorse finanziarie necessarie non sono attivabili con le risorse dei bilanci nazionali. Non ve ne sarebbe la disponibilità. Come si è fatto debito congiunto per affrontare le conseguenze economiche della pandemia, altrettanto si dovrà fare per affrontare questi clamorosi sviluppi nell’energia come nella difesa, legati alla guerra di Putin in Ucraina, come più in generale nella transizione ecologica e nell’industria. Soprattutto nella formazione dei prezzi sul mercato europeo dell’energia c’è oggettivamente un problema gigantesco. Perché questo prezzo non ha nessuna connessione con i costi di produzione e si capisce lontano un miglio che bisogna misurarsi con i Paesi del Nord e le società petrolifere del Nord che su queste disfunzioni lucrano alla grande. Evitiamo perlomeno i soliti semplicismi interessati.

Si è detto che le sanzioni dell’Occidente fanno un baffo all’economia russa. Invece hanno arrecato danni pesantissimi e lo Stato russo è sull’orlo del default sovrano. I vertici della banca centrale russa avvisano Putin di avere ridotto l’economia russa a una fogna e lui risponde da disperato quasi urlando di imporre ai Paesi ostili che acquistano gas di pagare in rubli per sostenere la difesa della sua moneta che lui stesso, a causa del suo disegno dittatoriale di espansionismo territoriale e della aberrante follia che lo accompagna, ha mandato in frantumi.

Capirete che in un mondo così complesso, alle prese con la grande crisi globale ormai stabilizzata come tale e con un’economia di guerra che di fatto già esiste, la migliore difesa dell’Italia si chiama Europa. Quella del bilancio comune, del debito comune, degli investimenti comuni. Quella che si sta costruendo. Questo è il realismo degasperiano di Draghi e state certi che non sbaglia. Piuttosto, il nostro premier non si distragga in casa perché la riforma dello Stato italiano e della burocrazia sono indispensabili se si vuole che il Piano nazionale di ripresa e di resilienza sia quel meccanismo di crescita duratura che deve essere. Se non cambiamo la testa e il modo di lavorare di questi signori, neppure il grande bilancio europeo potrebbe salvarci. Perché, all’atto pratico, non riusciremmo a spendere i soldi che arrivano dall’Europa.


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