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Sergio Mattarella e Mario Draghi

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La presa di posizione del Capo dello Stato segna un sostegno di forte pregio a un certo tipo di politica. Il cuore del suo discorso è l’Occidente. La scelta è la democrazia, il multilateralismo, nella consapevolezza che questo nuovo conflitto di civiltà è un conflitto tra il costituzionalismo liberale che è la nostra democrazia e tutti quelli che non lo accettano e si presentano come democrazie illiberali. L’Europa deve decidere in fretta se vuole dividersi in tanti coriandoli dentro il mosaico imperialista autocratico o vuole diventare essa stessa un pezzo significativo del multilateralismo. Deve anche capire che l’alternativa è sparire. In questo momento tutti quelli che vogliono fare il leader dell’Europa hanno capito che l’Italia è un pezzo chiave e che non si può fare questa unificazione senza di noi, cerchiamo di rendercene conto e di essere conseguenti. Oggi serve una classe politica europea italiana. Che non può essere solo Mattarella e Draghi.

La sindrome cinese fa tremare i mercati. Perché anche il gigante economico che assorbe da solo il 50% della domanda dei beni di lusso mondiale sta rallentando spaventosamente causa Covid. Mentre l’Europa sta studiando nuove sanzioni alla Russia sul petrolio il prezzo del greggio cala perché la domanda del primo fruitore globale sta rallentando. Le economie del mondo autocratico, Cina e Russia, battono in testa per ragioni differenti e il Vecchio continente dilaniato dalla guerra in Ucraina di Putin si trova al centro di un nuovo conflitto che appare sempre più non solo di ordine militare e  mondiale.

Tutto ciò il giorno dopo la conferma di Macron alla guida della Francia in un’Europa che deve cambiare quasi tutto, che è di sicuro in sé una bellissima notizia, ma che non riesce a scaldare i cuori dei popoli europei e a fare brindare i mercati.

Bisogna partire dalla complessità storica di questa situazione per capire la portata del discorso di Sergio Mattarella nel giorno in cui si festeggia la Resistenza come Liberazione dell’Italia dal fascismo. La presa di posizione del Capo dello Stato segna un sostegno di forte pregio a  un certo tipo di politica. Il cuore del suo discorso è l’Occidente. La scelta è la democrazia, il multilateralismo, nella consapevolezza che questo nuovo conflitto di civiltà è un conflitto tra il costituzionalismo liberale che è la nostra democrazia e tutti quelli che non lo accettano e si presentano come democrazie illiberali. Dove il popolo vota, ma dove non esiste la divisione dei poteri, la libertà di parola, l’autonomia delle istituzioni locali. Nelle democrazie illiberali manca tutto ciò ed è evidente  che anche il voto non è democratico, in quanto è un voto finto perché non c’è in quel Paese la libertà di parola.

Stiamo a fare i conti con il problema del ritorno degli imperi e qui si coglie la forza profonda del discorso di Mattarella. Un discorso che vuole affermare questa idea della democrazia contro il ritorno degli imperialismi che lega passato e presente. Il ritorno di una minaccia che cerca di mangiare tutto ciò che c’è solo per riaffermare gli imperi. Tutto ciò a cui stiamo assistendo è fuori dalla storia ed è qui che ritorna prepotentemente il conflitto di civiltà tra chi pensa di costruire imperi e chi invece vuole  difendere un mondo democratico plurale e multipolare.

Più passa il tempo, più si capisce che il discorso di Putin non è un discorso banale sul Donbass, ma che travalica nel conflitto di civiltà come Draghi, Mattarella e pochi altri avevano avvertito fin dal primo momento. Fino a ora pensavamo che l’unico conflitto di civiltà era quello con gli islamici, il burqa contro la minigonna, ora ci accorgiamo che sta tornando il problema del controllo del mondo e che dietro di esso c’è il nuovo conflitto di civiltà tra democrazie liberali e democrazie illiberali.

Siamo tornati a George Frost Kennan, un funzionario della ambasciata  a Mosca degli Stati Uniti, che scrive nel ’46 un lungo telegramma ai suoi dove si legge “attenzione, i russi dove trovano un posto libero se lo mangiano, si chiami Iran o Iraq non fa differenza, dove c’è uno spazio debole loro si inseriscono”. Lo scriveva, quando ancora si osannava la pace post seconda guerra mondiale e quando si riteneva chiusa la stagione degli  imperi. Ora scopriamo che non sono spariti dal mondo e che la “civiltà” russa vuole allargarsi oggi contro l’Occidente decadente come i nazifascisti volevano allargarsi contro gli inglesi che mangiavano cinque volte al giorno.

Il problema dell’Europa di oggi è che non può più essere un’esca per un insieme di bocconcini che gli imperi possono mangiarsi uno a uno e che, per questo, deve diventare un boccone troppo grosso per potere essere mangiato da chicchessia. Si è aperto un nuovo conflitto di civiltà nel cuore dell’Europa ed è in atto un tentativo pericoloso di riportare indietro le lancette della storia. Questa è la realtà di cui bisogna prendere atto. Se a questo aggiungiamo che la Cina è in grossa difficoltà e che la Russia diventerà un magnete per la stessa Cina  perché gli imperi in  difficoltà cercano di risolvere le loro  contraddizioni  spostandosi sull’esterno e facendo credere al loro popolo che conquistare il mondo è possibile, allora il tema delle autocrazie diventa molto serio. Perché lì  non esiste la circolazione delle élite come nel mondo occidentale, nel senso che se una élite prevale sull’altra, chi soccombe sparisce. Nelle democrazie trova invece il suo strapuntino, di sicuro non sparisce. Nei regimi autocratici i nuovi radono al suolo i vecchi. Ecco perché dentro questo scontro di civiltà l’Europa deve decidere che cosa vuol fare da grande essendo chiaro a tutti che non si può tornare agli Stati europei imperiali e che queste logiche imperiali autocratiche impediscono un multilateralismo diffuso.

L’Europa deve decidere in fretta se vuole dividersi in tanti coriandoli dentro il mosaico imperialista autocratico o vuole diventare essa stessa un pezzo significativo, se non addirittura il pezzo più significativo,  del multilateralismo. Deve anche capire che l’alternativa è sparire.  In questo momento tutti quelli che vogliono fare il leader dell’Europa hanno capito che l’Italia è un pezzo chiave e che  non si può fare questa unificazione senza di noi, cerchiamo di rendercene conto e di essere conseguenti. Oggi serve una classe politica europea italiana.  Che non può essere solo Mattarella e Draghi. Bisogna che l’economia e la politica internazionale diventino il pane quotidiano del nostro dibattito della pubblica opinione.


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