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Mario Draghi

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Bisogna prendere coscienza che agisce sulla crescita economica italiana da locomotiva europea e restituisce centralità politica all’Italia in Europa e nel G7. Questo è il tasso di fiducia che fa la differenza sui risultati di fatturato, produzione, esportazioni e Pil complessivo e sulle aspettative del sistema produttivo e delle famiglie tra l’Italia, da una parte, e Francia e Germania, dall’altra. Le famiglie hanno l’unico indice di fiducia in debole contrazione che non ha, però, nulla a che vedere con il minimo storico dei consumatori tedeschi e il sesto calo consecutivo delle famiglie francesi. È un dato di fatto che i 7 Grandi hanno dato incarico ai loro ministri di lavorare con urgenza per disegnare e applicare un tetto al prezzo del gas russo e anche la Commissione europea ha deciso di accelerare. Nessuno potrà ragionevolmente negare che questo risultato è frutto della leadership di Draghi che ne ha saputo coalizzare intorno alla proposta un consenso americano e europeo. Non era affatto scontato che la ripresa proseguisse quest’anno a questi livelli. Non era affatto scontato per l’Italia ricostruire un asse con Francia e Germania che non ha un ruolo cadetto anzi il ruolo cadetto sembra della Germania che insegue sempre sulla politica come sull’economia. Lo scenario internazionale spingeva in una direzione esattamente opposta e negativa per l’Italia. Il doppio fattore Draghi dice che questa leadership è politica e che i nostri partiti farebbero bene a rafforzarla anche in casa impegnandosi ad attuare al meglio il processo riformista in corso.

Abbiano scritto domenica che sono due anni consecutivi che l’economia italiana continua a crescere a un ritmo superiore a quello delle maggiori economie avanzate, ma che questo dato evidentissimo non riesce a fare notizia.

In pressoché assoluta solitudine nella stampa italiana avevamo chiarito e ripetuto più volte che i primi due trimestri dell’anno non avrebbero segnato la fantomatica recessione tecnica di cui tutti parlavano, ma che avrebbero addirittura viaggiato a un ritmo di crescita di almeno il 3,1% annuo indicato dal governo nel suo documento di economia e finanza tra crescita acquista del 2,6% dal 2021, +0,1% nel primo trimestre e non meno di +0,5% nel secondo trimestre del 2022.

Ci fa piacere constatare che questa consapevolezza informativa comincia ora ad essere più diffusa. Un balzo che sfiora il 10% in due anni (nel 2021 la crescita è stata del 6,6%) segnati dalla pandemia e dalla guerra di Putin in Ucraina con il suo carico di quattro shock inflazionisticomonetario- energeticoalimentare che fanno balzare prezzi e tassi. Un balzo che parla da solo e riceve quotidiane conferme. Il dato di ieri sul fatturato dell’industria, +2,7% ad aprile su marzo, tocca il livello più elevato destagionalizzato dall’inizio della serie storica che risale a gennaio duemila. Addirittura su base annua il fatturato totale cresce del 22%, +21,8 sul mercato interno e + 22,5 su mercato estero. Questo è solo l’ultimo indicatore di un’economia italiana che viaggia a un ritmo da podio delle prime tre economie mondiali.

L’indice di fiducia delle imprese sale da tre mesi di fila e l’indice di fiducia delle imprese di costruzioni è semplicemente esploso toccando i massimi storici di sempre. L’indice di fiducia delle imprese di servizi ha guadagnato dieci punti negli stessi tre mesi e perfino quelle del commercio al dettaglio hanno un indice in risalita di sette punti. Il turismo attende ordini in crescita di undici punti e, dopo molto tempo, le performance attrattive del Mezzogiorno, a partire da Napoli, sono di livello altissimo.

Come abbiamo detto e ci piace ripetere il sistema produttivo crede nel nuovo boom dell’Italia e i dati da faville delle esportazioni che vanno nel senso opposto di grandi economie, come quelle francese e americana, sono inequivoci. A maggio le esportazioni delle imprese italiane che hanno fatto molti investimenti di processo e di prodotto, a differenza delle grandi consorelle tedesche impiombate dalla crisi dell’auto, sono cresciute del 4,7% in valore rispetto ad aprile, ma addirittura da gennaio a maggio le esportazioni italiane corrono rispetto allo stesso periodo del 2021 del 20,1% mettendo a segno risultati importanti soprattutto negli Stati Uniti, nei Paesi OPEC, in Turchia, Regno Unito e Svizzera.

Nei dati reali, non nelle previsioni rivelatesi tutte errate anche quelle dei centri studi delle stesse imprese, nel solo mese di aprile la produzione industriale italiana è cresciuta dell’1,6% contro un consensus iniziale che pronosticava addirittura un -2,6%. Quanto è gigantescamente forte la differenza tra il catastrofismo previsionale che contagia le aspettative, fa molto male alle imprese e, soprattutto, incide sui consumi delle famiglie. Che hanno l’unico indice di fiducia in debole contrazione che non ha, però, nulla a che vedere con il minimo storico dei consumatori tedeschi e il sesto calo consecutivo delle famiglie francesi. Anche qui si rileva, insomma, una differenza importante tra le famiglie italiane e quelle tedesche e francesi.

Questa è la pura realtà che non vuol dire affatto ignorare che se non si blocca il mostro inflazione agendo contemporaneamente contro il rischio frammentazione degli andamenti dei titoli sovrani e se non si agisce come si deve sul caro prezzi russo di gas e petrolio le cose possono cambiare nel secondo semestre dell’anno, ma vuol dire prendere coscienza che esiste un doppio fattore Draghi che agisce sulla crescita economica italiana e restituisce centralità politica all’Italia in Europa e nel G7. Questo è il tasso di fiducia che fa la differenza sui comportamenti e sulle aspettative del sistema produttivo tutto e delle famiglie tutte tra l’Italia, da una parte, e Francia e Germania, dall’altra. È un dato di fatto che i 7 Grandi hanno dato incarico ai loro ministri di lavorare con urgenza per disegnare e vedere bene come applicare un tetto al prezzo del gas russo e anche la Commissione europea ha deciso di accelerare su questo tema strategico per togliere munizioni finanziarie a Putin e costringerlo alla resa sull’arma più insidiosa che sta usando contro l’economia europea. Che è quella di generare inflazione tagliando le forniture e aumentando i prezzi delle materie prime energetiche.

Nessuno potrà ragionevolmente negare che questo risultato è frutto della leadership politica di Draghi che ne ha fatto un pallino fisso e ha saputo coalizzare intorno alla proposta un consenso americano e europeo nonostante le fortissime resistente tedesche e olandesi, le prime determinate dalla paura di una chiusura totale del rubinetto russo e le seconde molto meno nobilmente dovute a ragioni pelose perché sui contratti finanziari alle stelle ci fanno guadagni alle stelle. Il ruolo di candidato a tempi di record riconosciuto all’Ucraina e la sintonia totale sulla difesa e il riarmo di Kiev sono frutto anche della stessa leadership politica di Draghi. Sono due eventi che determinano oggettivamente fiducia in chi opera dall’Italia perché percepisce una credibilità internazionale e un senso compiuto di marcia che prima mancava. Lo stesso scontro diretto tra Putin e Draghi sulla partecipazione al G20 rivela il nervosismo del Cremlino e il peso politico della leadership italiana.

Diciamoci le cose come stanno. Non era affatto scontato che ci fosse un effetto economico del governo di efficacia economica in termini di fatturato, produzione, esportazione, boom di turismo, servizi ed edilizia. Non era affatto scontato che sull’Ucraina la posizione italiana avesse un così largo seguito in Europa e che oltre al petrolio più liquido i Grandi si impegnassero seriamente ad andare avanti sul tetto al prezzo del gas incrociando le armi della politica e dell’economia dell’Occidente. Non era affatto scontato che la ripresa proseguisse quest’anno a questi livelli e che si potesse verificare sul campo l’efficacia di una politica economica che ha tirato fuori 30 miliardi ancorché insufficienti senza scostamenti di bilancio per fronteggiare il caro energia. Non era affatto scontato per l’Italia ricostruire un asse con Francia e Germania che non ha un ruolo cadetto anzi il ruolo cadetto sembra addirittura della Germania che insegue sempre sulla politica come sull’economia.

Tutti questi fili si annodano intorno alla figura di Draghi e producono dati reali che fanno da contraltare alla caduta di fiducia dei cittadini nei confronti della politica e dei suoi partiti come è dimostrato dal fatto che nessuno è andato a votare. Questo doppio fattore Draghi dovrebbe indurre la politica italiana ad assumersi la responsabilità di prenderne atto e di ragionare di conseguenza. Sarebbe stato quasi ovvio il contrario perché in un momento delicatissimo con tutti i tassi che rimbalzano e pesano le credibilità nazionali alla guida dell’Italia c’è un premier non politico mentre in Germania e in Francia ci sono due leader politici appena eletto il primo e rieletto il secondo, nel pieno entrambi dei loro mandati. Eppure di fatto a guidare il gioco politico europeo è Draghi, non Scholz o Macron. Lo scenario politico internazionale spingeva in una direzione esattamente opposta e negativa per l’Italia. Il doppio fattore Draghi dice che questa leadership è politica e che i nostri partiti farebbero bene a rafforzarla anche in casa impegnandosi ad attuare al meglio il processo riformista in corso.


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