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Matteo Salvini e Giuseppe Conte

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In questo gioco al massacro i nodi vengono al pettine e si aggrovigliano, anche perché siamo in presenza di una crisi totale che riguarda la sofferenza della società, i partiti che sono ridotti a circoli autoreferenziali e i gruppi dirigenti che non si capisce da che parte vanno. Tutto questo rende molto difficile governare ed è per tale ragione che non va ritenuto scontato il fatto che sulle cose impresentabili, il no al termovalorizzatore, e sugli interventi di sistema con la fiducia o destreggiandosi abilmente anche nella bolla del superbonus, il governo Draghi va comunque sempre avanti in casa e fuori. Agendo sui problemi concreti. Come trovare le fonti energetiche alternative per affrancarsi dal ricatto putiniano. Come dare più soldi in busta paga e restituire potere d’acquisto ai lavoratori in modo da non incrinare il tasso di fiducia che è alla base del miracolo economico italiano di quasi 10 punti di crescita di Pil nei due anni peggiori della storia del mondo di cui nessuno parla. Un miracolo che economie potenti come quelle tedesche, americane e francesi non sono stati capaci di fare. Il tema politico grillino-leghista è che questa roba qui se la fa Draghi il merito andrà a lui ed è proprio ciò che non vogliono. Per questo alzano il polverone politico, perché devono potere dire che queste cose le fa Draghi, ma siamo noi ad averglielo imposto.

È la solita storia di Conte che vorrebbe imporre la sua presenza e la sua leadership e Draghi che concede quel po’ che può concedere. Altrimenti un altro po’ lo deve concedere a Salvini. Questa è la tenaglia rotta del populismo italiano che dice di non mostrare le sue bandierine, ma “usa” i poveri, le famiglie e quella che presentano complessivamente come la disfatta sociale. Un gioco pericoloso che il populismo fa ciclicamente, indipendentemente dalla serietà del problema che sono la guerra e il mostro inflazione con cui tutti fanno i conti, e lo traduce in un esercizio demagogico che è il modo meno adatto per dare le risposte giuste ai problemi sociali veri che sono quelli dello squilibrio territoriale e delle diseguaglianze acuite dalla caduta del potere d’acquisto.

A questo esercizio demagogico che, purtroppo, non risolve, ma aggrava i problemi, il governo proverà a sottrarsi ma non può farlo oltre una certa soglia perché è intrappolato dal fatto che non può rompere lui. Perché chi rompe ha torto, perché è ovvio che tutti direbbero, per carità, come si fa a rompere con questa situazione internazionale e con questa crisi economica che ne discende.

La domanda è: quanto si può durare in queste condizioni? Si può durare fino a quando uno di quelli che vuole rompere si convince a farlo e se ne assume la responsabilità così anche tutti gli altri sono contenti. Al contrario di quello che è successo con il Papeete dove Salvini accettò di assumere questo ruolo perché pensava di imporre le elezioni anticipate, oggi questa ipotesi di fatto è impossibile perché chi si assume la responsabilità di provocarle va alle elezioni in condizioni di inferiorità e ne paga un prezzo spaventoso. Insomma: allora con il Papeete Salvini, sbagliando, contava di andare alle elezioni e di portare a casa la vittoria. Questo era il suo calcolo di allora che, però, oggi non è più possibile. Per la semplice motivazione che questo ragionamento non può funzionare. Perché la situazione generale toglie le armi di contrasto non solo a Conte e Salvini, ma anche dalle mani di Draghi che non può dire “va bene, volete lo sfascio? Gestitevelo voi, io vado via”.

Il punto vero per l’Italia è un altro. Il problema nazionale è quello di fare ciò che si dovrebbe fare ed evitare che questi esercizi demagogici ricorrenti portino tutto in blocco. Il tema italiano di oggi è lavorare a risolvere i problemi concreti che sono quelli a cui Draghi e i ministri si stanno dedicando ventre a terra. Come trovare le fonti energetiche alternative per affrancarsi dal ricatto putiniano. Come dare più soldi in busta paga e restituire potere d’acquisto ai lavoratori in modo da non incrinare il tasso di fiducia che è alla base del miracolo economico italiano di quasi 10 punti di crescita di Pil nei due anni peggiori della storia del mondo di cui nessuno parla. Un miracolo che economie potenti come quelle tedesche, americane e francesi non sono state capaci di fare.

Bisogna fare quello che serve, ma il tema politico grillino-leghista è che questa roba qui se la fa Draghi il merito andrà a lui ed è proprio ciò che non vogliono. Per questo alzano il polverone politico perché devono potere dire che queste cose le fa Draghi, ma siamo noi ad averglielo imposto.

In queste contorsioni elettorali scatta la solita demagogia italiana, che gira gira deve sempre parlare a sproposito di scostamento di bilancio, e che è quella che alimenta il rischio politico italiano dello spread. Perché per fare questo esercizio demagogico, devi sempre chiedere di più, devi sempre alzare l’asticella, devi sempre ripetere che i soldi devono uscire e, quindi, arrivi lì. Arrivi al solito punto chiave dello scostamento di bilancio. Arrivi a invocare il vecchio sistema di stampare i soldi, ma noi non li possiamo più stampare i soldi. Con questi soldi stampati, che non possiamo stampare, ci troveremmo tra un anno ad accendere la stufa, ma che importa noi abbiamo guadagnato un anno per rivendicare il grandissimo fatto non che sono avvenute le cose che servono ma che abbiamo chiesto e non ottenuto quello che riteniamo possa darci qualche voto in più.

Qui francamente emerge la debolezza strutturale italiana di nessun partito che sia capace di mettere in campo un progetto realistico. Che abbia il coraggio di dire che per risolvere questa situazione si dovrebbe fare così. Perché un miracolo economico è già stato fatto e un altro ora non si può fare. Per cui il progetto realistico da realizzare per salvare il Paese e tutelare i primati riconquistati dopo venti anni di caduta senza freni si può ottenere solo ridimensionandoci tutti, ma la parola ridimensionare è vietata come lo è quella di redistribuire o di fare alleanza tutti insieme. Solita ipocrisia, purtroppo, non solo italiana. In Europa non si è fatto il cartello dei compratori di gas russo per paura che Putin chiudesse i rubinetti, ma il gas ci è stato tolto da Putin senza neppure giocare la carta del tetto massimo al prezzo in una situazione straordinaria e per un tempo limitato.

È successo proprio quello che Draghi si era permesso di sottolineare a tutti i Capi di Stato e di governo europei: non lo facciamo il tetto massimo al prezzo del gas, mi dite, perché Putin chiude tutto, ma lo sta già facendo, di che cosa abbiamo paura? Questo esercizio demagogico di una parte della politica italiana e la renitenza dell’altra parte a sfidare tutti su un progetto vero, ha anche l’effetto collaterale non trascurabile di indebolire il premier italiano sull’unico tavolo, che è quello europeo, sul quale Draghi può contare su quel poco di forza che gli deriva dal fatto di avere salvato l’euro, di avere tirato fuori l’Italia dalle sabbie mobili della crescita zero e di avere acquisito una centralità reale in tutti i consessi internazionali.

In questo gioco demagogico al massacro i nodi vengono al pettine e si aggrovigliano ancora di più, anche perché siamo in presenza di una crisi totale che riguarda la sofferenza della società, i partiti che sono ridotti a circoli autoreferenziali e i gruppi dirigenti che non si capisce da che parte vanno. Tutto questo rende oggettivamente molto difficile governare ed è, per tale ragione, che non va affatto ritenuto scontato il fatto che sulle cose impresentabili, il no al termovalorizzatore, e sugli interventi di sistema con la fiducia o destreggiandosi abilmente anche nella bolla del superbonus, il governo Draghi va comunque sempre avanti in casa e fuori. La chiarezza della rotta tutela il capitale di credibilità riconquistato. Alla fine la fiducia sul decreto aiuti (termovalorizzatore compreso) si vota e il giocattolo non si rompe. Per fortuna.


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