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Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni

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C’è un metodo di governo che viene prima di tutto ed è quello di cui sta facendo tesoro in economia il governo Meloni fuori dai temi identitari. Potremmo definirlo un modo di agire che non è immune da errori, ma riesce a mettere sempre al centro la crescita. Che vuol dire parlare ai capitali dell’Italia e del mondo il linguaggio della serietà. Questa è la vera benzina del motore degli investimenti perché oltre a farli in casa ne attrae da fuori. Significa sostenere i ceti deboli, rassicurare passo passo le imprese, dare stabilità, evitare stupidaggini, migliorare la giustizia civile, apparire seri prima ancora di esserlo. Fare sparire lo stigma del Paese che non paga mai ha fatto decollare investimenti e ricerca delle grandi case farmaceutiche in Italia. Si usi lo stesso pragmatismo per aprire i cantieri e al Sud si segua il modello Aponte che è quello di scommettere sui privati. Perché  con loro le cose si fanno e la differenza dura nel tempo

Continua un dibattito surreale in questo Paese che non vuole prendere atto della realtà. Soprattutto da parte di una componente pentastellata che ha caricato il bilancio pubblico italiano di impegni pluriennali di spesa per centinaia di miliardi ipotecando il futuro dei nostri giovani senza né pentimenti né rossore. Soprattutto da una parte del sindacato che continua a chiedere ciò che sa che non è possibile avere. Perché se si dice che tutti gli spazi fiscali vanno utilizzati per attenuare il peso del caro bollette per i ceti meno abbienti e il mondo della produzione, non si può allo stesso tempo chiedere l’impossibile su pensioni che senza fare niente già prevedono una spesa cumulata aggiuntiva nei prossimi tre anni di 130 miliardi, salario minimo, cuneo fiscale, intoccabilità del reddito di cittadinanza, e chi più ne ha più ne metta.

La verità è che la super crescita italiana ha consentito di fare in termini di spesa sociale quello che non si era mai fatto prima, ma nessuno vuole riconoscerlo perché si esclude a priori il principio di realtà. L’Italia non è più il fanalino di coda in Europa è quello che si riesce a dire al massimo, anche nelle sedi istituzionali europee, quando si dovrebbe avere il coraggio di dire, scandendo bene le parole, che fino ad agosto l’Italia è stata la locomotiva d’Europa.

Perché, vedete, consumi e investimenti si nutrono di fiducia e il gioco delle aspettative nell’unica grande economia europea (quella italiana) che è sempre cresciuta per sette trimestri consecutivi diventa assolutamente decisivo. Ho voluto fare questa premessa perché lo spirito che ha animato i venti mesi di azione del governo di unità nazionale che hanno preceduto l’avvento del governo politico guidato dalla Meloni è stato proprio questo. Uno alla volta, i problemi si affrontano, sminando le mine disseminate sul territorio per evitare che si rompa il giocattolo e la sfiducia torni a prevalere. Questo spirito serve oggi più di ieri.

Per il governo Draghi se fosse rimasto in carica, come era giusto, e a maggiore ragione per il governo Meloni espressione della piena sovranità elettorale, il problema cruciale sul piano interno è fare tutto quello che si può fare per mettere a regime la macchina degli investimenti. Bisogna dimostrare di sapere utilizzare le risorse europee che ci sono state messe a disposizione tenendo conto dei rincari delle materie prime e intervenendo in tutti i passaggi normativi e strumentali che potrebbero bloccare del tutto un processo che è partito di certo al rallentatore, ma è stato di sicuro correttamente incanalato. Il segnale lanciato con la riunione delle deleghe europee sotto un unico ministro, Raffaele Fitto, è l’approccio giusto anche perché prelude ragionevolmente a una gestione più centralizzata dei progetti che, soprattutto per il Mezzogiorno, è necessaria visti i ritardi di molte amministrazioni territoriali e anche dei ministeri preposti.

C’è, però, un metodo di governo che viene ancora prima ed è proprio quello di cui dovrebbe fare maggiormente tesoro il governo Meloni. Potremmo quasi definirlo un modo di agire che non è immune da errori, solo chi non fa non sbaglia, ma riesce a mettere sempre al centro la crescita. Che vuol dire parlare ai capitali dell’Italia e del mondo il linguaggio della serietà. Questa è la vera benzina del motore degli investimenti. Significa sostenere i ceti deboli, rassicurare passo passo le imprese, dare stabilità, evitare stupidaggini, migliorare la giustizia civile, apparire seri prima ancora di esserlo.

Dobbiamo capire che di fronte alle multinazionali Francia e Italia sono in concorrenza. Perché nella capacità di attrazione degli investimenti c’è concorrenza tra un settore nazionale e l’altro e a fare la differenza sono le decisioni di chi governa e di chi gestisce la pubblica amministrazione di cui la pubblica opinione spesso nemmeno è consapevole. Prendiamo, a titolo di esempio, il settore farmaceutico italiano che è in grandissima espansione a livello internazionale. Qui, potrete crederci o no, l’Italia è andata bene perché la questione dei pagamenti pubblici che avvenivano con tempi biblici è stata risolta.

Era un vecchio pallino di Daniele Franco da Ragioniere generale dello Stato, ma non è rimasto un sogno. Avere abbattuto questi tempi ha spinto le case farmaceutiche di tutto il mondo a investire in Italia e a fare ricerca in Italia. Fare sparire lo stigma del Paese che non paga mai ha cambiato tutto. Questo significa togliere i sassolini dalle ruote dell’economia italiana. Si cresce se si è seri. Da Singapore e da New York decidono di investire nei Paesi che a loro sembrano normali. Se noi continuiamo a sembrare normali continuano a venire da noi se no vanno in Spagna, in Danimarca o dove vogliono.

L’Italia deve avere l’orgoglio di difendere questa serietà riconquistata agli occhi del mondo. Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti ne sono consapevoli e devono essere coerenti come fino a oggi sono stati con questa impostazione che si sono dati. Non è cambiato di molto il rischio di recessione internazionale. Il prezzo del gas, per fortuna, sta scendendo. La nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) del duo Meloni-Giorgetti non è molto diversa da quella che aveva fatto il duo Draghi-Franco. Permane molta prudenza nella politica economica e Giorgetti che ha vissuto alla guida dello Sviluppo i venti mesi del governo di unità nazionale appoggiando sempre in modo convinto le proposte di Franco, appare anche oggi molto allineato sulle direttrici di fondo. I mercati se ne sono accorti e hanno apprezzato.

Questo metodo deve accompagnare anche lo sforzo decisivo di riuscire ad aprire i cantieri. Con il consueto pragmatismo il governo Draghi aveva messo da parte 10 miliardi per il 2023 al fine di sostenere gli extracosti da rincaro di materie prime e fare assegnare le gare. Si usi lo stesso pragmatismo e si faccia partire tutto quello che può partire e quello che ha bisogno di qualche esercizio in più si deve continuare a finanziarlo con modalità differenti perché tutti gli investimenti devono andare in porto. Rappresentano, ripetiamo, la benzina del solo motore che può fare correre ancora l’economia italiana dentro il ciclo recessivo mondiale di origine bellica. Con un’avvertenza che viene prima di tutto ed è quella di non sacrificare mai il Mezzogiorno avendo l’accortezza di fare gli investimenti pubblici programmati uscendo dalla trappola degli studi di fattibilità scambiati per cantieri aperti, ma soprattutto scommettendo sui capitali privati nazionali e internazionali. Perché sono quelli che fanno la differenza. Come dimostra il caso di Aponte a Gioia Tauro.


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