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Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni

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Questo effluvio di parole sull’allargamento della flat tax che vale 300 milioni il primo anno e 800 il secondo, quindi niente, e l’effetto devastante di togliere l’obbligo di Pos a commercianti fino a 60 euro rischiano di oscurare la serietà di una manovra di finanza pubblica che mantiene una linea di prudenza e aiuta selettivamente i più fragili nel solco tracciato da Draghi. La maschera delle “marchette” può coprire tutto e nascondere il molto di buono che c’è. Il rischio è concreto.  Anche perché  in Europa non mancano gli avversari della Meloni che non sono tanto quelli ideologici, ma piuttosto quelli che sono contro la crescita del peso dell’Italia. Perché  mangiare un po’ del peso che Draghi aveva guadagnato per noi fa comodo a molti

Per Giorgia Meloni ci avviciniamo al momento della verità. Non si può mettere in discussione il rapporto con l’Europa che la nuova Destra di governo sta con intelligenza costruendo per una serie di pulviscolari misure di bandiera che infarciscono la legge di stabilità e strizzano l’occhio a platee più o meno allargate di potenziali evasori. L’abolizione del Pos sotto i 60 euro viola i contratti firmati con l’Europa che ci impegnano a incentivare i pagamenti digitali e nuoce in modo gravissimo alla credibilità del nuovo governo italiano.  Giorgia Meloni deve trovare il modo di sganciarsi da queste “marchette”.

Perché è vero che nulla tolgono alla serietà di una manovra fatta per due terzi a sostegno di famiglie e imprese contro il caro energia e che è addirittura più rigorosa di quella realizzata da chi la ha preceduta sul tema cruciale delle pensioni, ma è anche vero che condannano purtroppo la nuova Destra di governo ad essere percepita come la Destra dei furbi. Invece che l’espressione di quel conservatorismo moderno e responsabile di cui la Meloni si è fatta coerentemente portabandiera prima in campagna elettorale, poi nelle sue uscite internazionali, infine con Giorgetti nella stesura di una legge di bilancio improntata al coraggio della prudenza. Tocca a Lei rimuovere le “marchette” e spiegare a tutti che la sua

Destra è un’altra cosa. Deve portare alle estreme conseguenze il confronto con la realtà.  Si deve prendere atto che ha legittimamente  lucrato dall’opposizione sul sindacato elettorale del partito dei furbi, come dire dalle mascherine in avanti, perché il compito di chi si mantiene le mani libere è raccattare tutte le opposizioni possibili e immaginabili e farne una somma algebrica per capitalizzare poi tutto nell’urna. Al governo, però, questo non si può più fare. Perché mettere insieme tutto e il contrario di tutto, il rigore e la responsabilità con le “marchette”, è esattamente quello che hanno fatto tutti i governi che sono falliti ed è esattamente quello che non deve avvenire oggi in Italia. Questo è il salto di qualità che, con tutti i suoi enormi difetti, ha fatto la Sinistra passando alla lunga stagione di governo spesso senza neppure avere vinto le elezioni. Perché, nel bene e nel male, più o meno linearmente, la Sinistra ha comunque capito che bisognava uscire dal sindacalismo a tutti i costi per lasciare spazio alla consapevolezza che un partito diventato di governo è un partito che agisce tenendo conto dell’interesse generale. 

Il vero banco di prova della Meloni sarà fare una ricomposizione della spesa tra consumi e investimenti portando a termine il processo riformatore compiuto avviato da Mario Draghi. Che è quello che ha ridato reputazione internazionale all’Italia rimuovendo i vincoli interni alla crescita e conseguendo per il nostro Paese il primato europeo dopo decenni di stagnazione. Serve dare ora, non domani, un preciso segnale. Perché è il tono che fa la musica. Se no finisce che suoni anche una musica buona, ma siccome gli dai una tonalità sbagliata arriva il messaggio opposto. Questo vale per l’Europa come per gli investitori, ma anche per la gente che un po’ della musica nuova proprio non se ne accorge e un po’ non le va dietro. 

Diciamo le cose come stanno. Questo effluvio di parole sull’allargamento della flat tax che vale 300 milioni il primo anno e 800 milioni il secondo, quindi niente, e l’effetto devastante di togliere l’obbligo di Pos a commercianti fino a 60 euro rischiano di oscurare la serietà di una manovra di finanza pubblica che mantiene una linea di prudenza e aiuta selettivamente i più fragili nel solco tracciato da Draghi. La maschera delle “marchette” può coprire tutto e nascondere il molto di buono che c’è. Il rischio è concreto. Non si può essere la nuova Thatcher che mostra consapevolezza della crisi, lavora per rimettere in moto la macchina pubblica e privata degli investimenti, creare lavoro vero nel Mezzogiorno, e allo stesso tempo essere anche Guglielmo Giannini che è l’inventore del partito dell’uomo qualunque. Tenere insieme ciò che insieme non può stare significa pagare un prezzo troppo elevato anche se potrebbe apparire necessario per soddisfare le pulsioni demagogiche dei suoi alleati e preservare la stabilità di governo.  Non è così. Anche perché in Europa non mancano gli avversari della Meloni che non sono tanto quelli ideologici, ma piuttosto quelli che sono contro la crescita del peso dell’Italia.

Perché in questo momento ciò a loro conviene essendo in atto una lotta selvaggia per redistribuire i pesi interni alla comunità europea nel presente complicato e nel nuovo ordine mondiale che appartiene al futuro. Rosicchiare, se non proprio mangiare, un po’ del peso che Draghi aveva guadagnato per l’Italia fa comodo a molti. Per questo Giorgia Meloni deve stare molto attenta a come si muove. Perché non è nel suo interesse muoversi in una direzione di compromesso che per fare passare le cose serie concede ai ragazzi di fare rumore e di andare per strada a raccontare un po’ di frottole come accade con le pensioni che sono state tagliate e invece si vuole fare credere che sono state aumentate.

Queste cose qui sono spiritose invenzioni come Arlecchino definiva le bugie in una commedia. Sono le bugie della politica demagogica della Lega da cui Giorgia Meloni si deve affrancare.


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