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Non è chiaro il meccanismo, ma bond europei verdi destinati a controbilanciare il maxi fondo americano fanno cadere parte dello svantaggio italiano nei confronti della Germania. I mercati ritengono che l’Italia utilizzerà più bond europei con tassi più bassi e emetterà meno bond nazionali. L’Europa si muove bene contro la bestia nera dell’inflazione, mentre l’Italia rischia proprio sull’inflazione di avere la sua buccia di banana rovinando il buon lavoro fatto dal governo Meloni per sbloccare gli investimenti e fare le riforme. La buccia di banana è frutto di una ingenuità pericolosa perché sottovaluta il ciclo lungo delle materie prime e l’insidiosità di rincarare noi il prezzo della benzina trasferendo il peso sul carrello alimentare. Deve essere tolta dalla strada del nuovo esecutivo nell’interesse suo e, prima ancora, del Paese e dei ceti deboli. Anche perché proprio tagliando le accise Draghi fece in modo che l’inflazione italiana fosse tra le più basse in Europa mentre ora è quella che scende di meno. Fermiamoci finché siamo in tempo

Lo spread italiano scende per l’aspettativa di riduzione dell’inflazione europea che riguarda la curva dei rendimenti di tutti i titoli pubblici del Vecchio Continente, ma anche perché la Germania apre per la prima volta a un fondo sovrano comune europeo per contrastare il piano di investimenti green da 370 miliardi di dollari di Biden che crea una situazione di concorrenza sleale per l’intera Europa. Non è ancora chiaro il meccanismo, ma è lecito ritenere che bond europei verdi destinati a controbilanciare il maxi fondo americano fanno potenzialmente cadere una parte della situazione di svantaggio italiano nei confronti della Germania e, in modo minore, della stessa Francia per la esiguità dei nostri spazi fiscali di bilancio. I mercati ritengono che l’Italia potrà utilizzare più bond europei con tassi più bassi e potrà emettere meno bond nazionali e che, quindi, direttamente e indirettamente potrà trarre beneficio dal quadro strategico che Bloomberg attribuisce addirittura allo stesso cancelliere tedesco, Olaf Scholz.

Se l’Europa dà segnali di risveglio e mostra nuove consapevolezze su tassi e investimenti contro la bestia nera dell’inflazione, l’Italia rischia proprio sull’inflazione di avere la sua buccia di banana rovinando il grande lavoro fatto dal governo Meloni in casa e in Europa per sbloccare gli investimenti e fare le riforme. Questa buccia di banana è frutto di una ingenuità pericolosa perché sottovaluta il ciclo lungo delle materie prime e l’insidiosità di fare di nostro perché il rincaro del prezzo della benzina si trasferisca anche sul carrello della spesa alimentare. Deve giocoforza essere tolta dalla strada del nuovo esecutivo nell’interesse suo e, prima ancora, del Paese e dei suoi ceti più deboli. Non possiamo non renderci conto che l’inflazione italiana è scesa, ma molto meno di quanto è avvenuto nelle altre grandi economie mentre noi fino a qualche mese fa siamo stati sempre più bassi degli altri grazie proprio alla prontezza degli interventi del governo Draghi sul taglio delle accise sulla benzina che è solo una delle tante scelte del miracolo economico che il racconto politico e mediatico ha voluto colpevolmente nascondere agli italiani.

Parliamo di ingenuità perché il pensiero del governo è stato: scendono i prezzi di gas e petrolio, posso dunque fare a meno dello sconto sulle accise e destinare queste risorse alla realizzazione di alcuni dei miei impegni politici tra i quali ci sono quelli di sostegno ai più deboli ma anche quelli al lavoro autonomo non necessari oggi né richiesti. Il punto, però, decisivo del ragionamento, qui scatta l’ingenuità, è che ridurre la tutela del potere di acquisto delle famiglie togliendo uno sconto di 900 milioni al mese sulle accise della benzina annulla l’effetto di tutti i sostegni nuovi ai ceti deboli perché fa cadere la protezione dell’economia complessiva soprattutto per un dato di fatto ineludibile. Che è quello che oggi non siamo in presenza di un calo strutturale dei prezzi di gas e petrolio perché il ciclo delle materie prime nei tempi della guerra nel cuore dell’Europa e della riglobalizzazione è molto lungo.

Se fino a qualche mese fa avevamo l’inflazione più bassa in Europa e oggi quella più alta a maggior ragione non dobbiamo mollare oggi, non domani, sulla strada della riduzione delle accise sulla benzina in un Paese dove l’88% delle merci è trasportato su gomma e i profittatori nascosti della speculazione non sono nelle stazioni dei carburanti ma nelle catene della grande e piccola distribuzione italiane. Il fenomeno da contrastare non è morto, ma più vivo che mai perché viene da fuori. Viene dai grossisti che ritengono che l’affrancamento dai russi comporterà un costo strutturale nel breve e medio termine perché l’embargo dal 5 febbraio sui prodotti petroliferi farà in modo, a loro avviso, che il gas per lungo tempo non potrà ritornare sotto i cinquanta euro. Siamo davanti all’ingenuità accessoria del governo che riguarda la sottovalutazione della questione relativa al caro carburanti dei costi di raffinazione dove abbiamo demolito le nostre capacità, passando da sedici a dieci siti creando un collo di bottiglia strutturale, e del dato geopolitico del nuovo rischio russo che acuisce il nostro svantaggio con gli americani e spinge i trader a proteggersi sui prezzi futuri.

Se i massimi esperti del settore consigliano alle loro aziende di comprare oggi gas per due anni vuol dire che ritengono che questa stagione di prezzi in discesa legata alla nuova situazione climatica e all’effetto annuncio del tetto europeo al prezzo, ancorché molto elevato, non potrà mettere noi e gli altri al riparo degli effetti a monte non a valle del ciclo lungo delle materie prime nel pieno delle due grandi crisi, pandemica e bellica, con le loro ricadute economiche a partire dall’inflazione. Questo è il punto sottovalutato pericolosamente dalla decisione italiana che proprio mentre l’Europa dà segni di risveglio su inflazione e bond europei rischia di rimetterci nella gabbia di quelli che facciamo peggio con l’inflazione mentre eravamo quelli che facevamo meglio. Anche quando la situazione si andrà a stabilizzare torneranno a riaffiorare quelle tensioni strutturali sull’offerta di politiche climatiche che hanno inciso in capacità di investimento sulla generazione fossile che ci hanno portato dove siamo finiti oggi. Perché un vero green rinnovabile senza un carico di base fossile a partire dal gas non tiene. Non ci sono vento e sole che tengono se non abbiamo carbone di riserva come in Germania o nucleare come avviene in altri Paesi.

Non si può dimenticare quello che è successo in Europa nel 2021 e, tanto meno, che il mancato circolo virtuoso tra base fossile e green strategico per il futuro ha inaugurato un super ciclo rialzista delle materie prime, di tutte le materie prime, che di solito dura dieci anni. La riglobalizzazione di cui tutto il modo più o meno dotto si riempie la bocca significa che ci si riorganizzerà per poli regionali, ma nel frattempo ha prodotto tensioni strutturali sulle materie prime che verranno sempre più usate in termini geopolitici come armi di guerra economica. Lo Zimbabwe ha annunciato lo stop all’export di litio in una chiave di massimizzazione dei propri utili in un contesto di deglobalizzazione. Non esporta più litio minerario, ma litio raffinato dove c’è più valore aggiunto e, quindi, si farà pagare sempre di più. Siamo in un’era completamente nuova dove il prezzo del rame è esploso perché si scommette sul fatto che non ci sarà rame sufficiente per soddisfare i target di elettrificazione che l’Europa si è data in chiave green. Anche questo ha un costo enorme, ma è la stessa cosa che in modo diverso riguarda i metalli, gli acciai, il petrolio che continueranno tutti a salire se non c’è un accordo mondiale di stabilizzazione tra vecchio e nuovo. Le aziende non si possono permettere questa volatilità, gli specialisti che fanno i prezzi non escono da questa volatilità se non vedono che ripartono tutti i cicli di investimenti in quelle capacità produttive che mancano. Le batterie elettriche sono solo un esempio.

Il grande lavoro che l’Eni di Descalzi sta facendo in Africa può dare una grande mano. Se parte subito Piombino, ma anche i cantieri per i rigassificatori di Porto Empedocle e di Gioia Tauro ci avvantaggiamo. Nel frattempo, però, evitiamo di scivolare sulla buccia di banana dello sconto tagliato alle accise sulla benzina. Il rumore della lotta alla speculazione sbagliata, comunque da fare, non coprirà il silenzio assordante della inflazione europea che scende meno degli altri, che è quella italiana, e del carico inarrestabile di diseguaglianze che porterà in Italia. Fermiamoci prima che sia troppo tardi.


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