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Giorgia Meloni

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Questo progetto Calderoli è costitutivamente divisivo. Opera contro l’interesse nazionale perché fa male al Sud come al Nord. Siamo alla miopia della doppia velocità italiana che riproduce i vizi della doppia velocità della vecchia Europa. Questa autonomia va contro l’indirizzo strategico della nuova Europa che fa debito comune per risolvere il grande irrisolto squilibrio territoriale europeo. Che è quello italiano. Ci danno i soldi degli altri per andare nella direzione opposta. La verità è che ballano decine di miliardi ogni anno tra cittadini del Nord e del Sud, tra aree metropolitane e interne, come è stato certificato dalla commissione di indagine parlamentare nata dalle nostre inchieste giornalistiche. Procedere senza sanare in modo effettivo le distorsioni rompe la coesione sociale e fa cadere il governo

Questo progetto Calderoli è costitutivamente divisivo. Opera contro l’interesse nazionale perché fa male al Sud come al Nord. Siamo alla miopia della doppia velocità italiana che riproduce i vizi della doppia velocità della vecchia Europa. Questa autonomia va contro l’indirizzo strategico della nuova Europa che fa debito comune per risolvere il grande irrisolto squilibrio territoriale europeo. Che è quello italiano. Ci danno i soldi degli altri per andare nella direzione opposta. La verità è che ballano decine di miliardi ogni anno tra cittadini del Nord e del Sud, tra aree metropolitane e interne, come è stato certificato dalla commissione di indagine parlamentare nata dalle nostre inchieste giornalistiche. Procedere senza sanare in modo effettivo le distorsioni rompe la coesione sociale e fa cadere il governo

L’unica vera trappola politica che può fare cadere in un burrone il governo Meloni è in casa e si chiama autonomia differenziata. Chi ha a cuore le ragioni di stabilità dell’Italia e le sorti del primo governo conservatore italiano con ambizioni riformiste non si deve mai stancare di ripeterlo a Giorgia Meloni. Si possono usare le armi della diplomazia e della tattica giocando sui vincoli istituzionali reali e gli obblighi di passaggio in Parlamento dove si esercita la sovranità su temi costituenti come questo. Si può essere anche più tranchant rispondendo a muso duro se ci si accorge che il batticuore elettorale non permette di domare i vecchi leoni leghisti nelle loro scorribande in una battaglia sbagliata nata male e proseguita malissimo.

Quello che è assolutamente cruciale per la sopravvivenza di questo governo e la tutela dell’interesse generale è bloccare il cammino dell’autonomia differenziata in questa versione della bozza Calderoli che riproduce i vizi costitutivi della legge del federalismo fiscale del 2009 firmata dallo stesso ministro e, di fatto, porta ad aggravare ulteriormente la diseguaglianza nei diritti di cittadinanza tra un territorio e l’altro, tra regioni più avanzate e regioni più arretrate, tra aree metropolitane e aree interne.

Perché non si misura preventivamente con l’operazione verità condotta da questo giornale sulle distorsioni inique della spesa pubblica per sanità, scuola e trasporto pubblico locale. Si è giocato sulla spesa storica per cui il ricco è diventato sempre più ricco e il povero sempre più povero, ma il problema si declama a parole senza entrare nei numeri. Ballano decine di miliardi ogni anno come abbiamo denunciato dal primo numero di uscita di questo giornale ormai più di tre anni fa e come è stato certificato in sede di commissione di indagine parlamentare nata dalla denuncia del Quotidiano del Sud-l’ALTRAVOCE dell’Italia dalle massime autorità nazionali di spesa pubblica territoriale e dal ministro per gli Affari regionali dell’epoca, Francesco Boccia.

Questo progetto Calderoli è costitutivamente divisivo e opera congiuntamente sia contro l’interesse nazionale perché fa male al Sud come al Nord riducendo complessivamente competitività e capacità decisionale sia contro l’indirizzo strategico della nuova Europa che punta alla riunificazione delle due Italie e si è decisa a fare debito pubblico comune per risolvere il grande irrisolto squilibrio territoriale europeo. Che è proprio  quello italiano. Chiede, insomma, di andare nella direzione opposta a quella prospettata e  sicuramente la scelta dell’autonomia differenziata si farebbe sentire con ricadute finanziarie per l’intero Paese che non ci possiamo permettere.

Proprio per queste ragioni di fondo oltre che per evidentissimi motivi etici dobbiamo augurarci che i tempi di gestazione siano esattamente come devono essere di lunga durata e che vengano fatti tutti i passaggi parlamentari che sono assolutamente sovrani. Per capire quanto è incandescente la materia, basta leggere il rapporto shock della Corte dei Conti sui servizi sanitari regionali 2012/2021 di cui ha dato conto ieri dalle colonne di questo giornale da par suo Vincenzo Damiani.

In tale arco di tempo le Regioni Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Abruzzo hanno speso per la mobilità passiva, i cosiddetti “viaggi della speranza”, oltre 10,8 miliardi di euro. Tutti soldi che sono finiti nelle casse del Nord, principalmente Lombardia (6,1 miliardi) ed Emilia Romagna (3,3 miliardi), ma ci hanno guadagnato anche Toscana (1,3 miliardi) e Veneto (1,1 miliardi).

Questo dato da brivido misura in modo algebrico l’abisso di diseguaglianza a cui ha condotto il perverso meccanismo del federalismo fiscale all’italiana che ha portato il sistema sanitario a spaccarsi in due tra chi ha sempre di più e chi ha sempre di meno. Arrivando ad allargare il solco delle disparità territoriali di anno in anno con un 40% della popolazione italiana che non gode nei suoi luoghi di residenza e di lavoro degli stessi livelli di prestazione dell’altro 60% generando un flusso di risorse all’incontrario. Chi è più indietro finanzia la crescita di chi sta più avanti andando a sostenere con i viaggi della speranza gli ospedali lombardi, emiliani, veneti, toscani.

Questo flusso di circa 11 miliardi, sì avete capito bene, si va ad aggiungere all’iniqua distribuzione di risorse pro capite in sede di riparto del fondo sanitario nazionale che grazie proprio alla legge Calderoli del 2009 premia le regioni del Nord che vantano una maggiore spesa storica. Tutto questo è possibile perché esattamente come si propone con la bozza di oggi anche allora si disse “dobbiamo fare i livelli essenziali di prestazione” sanando la storica diseguaglianza di base, ma nel frattempo e, cioè, in attesa di definirli e attuarli,  si volle ostinatamente procedere al riparto secondo quello che era successo l’anno prima in un quadro fintamente federalista che fa venire meno le compensazioni a livello nazionale. Siamo fuori da ogni ambito costituzionale che, a nostro avviso, dovrebbe spingere verso una centralizzazione del servizio sanitario liberandolo dalle distorsioni finanziarie territoriali e dai  vassallaggi regionali puntando viceversa a recuperare criteri di equità e di selezione meritocratica.

Anche perché il doppio squilibrio da decine e decine di miliardi l’anno che nessun bilancio pubblico italiano può sanare se non si utilizza prima a questo scopo almeno una parte rilevante delle risorse europee del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) non si coniuga nemmeno più con la tiritera delle solite cattive prove degli amministratori regionali meridionali. Che non sono ovviamente esenti da errori e devono essere anche duramente criticati quando sbagliano, ma che sempre secondo lo stesso rapporto shock della Corte dei Conti sono anche quelli che negli ultimi dieci anni hanno migliorato di più i loro conti e la qualità dell’assistenza riducendo da 2,1 a 0,7 miliardi i loro disavanzi.

Siamo davanti a un miglioramento del 59% del disavanzo del 2020 sul 2019 delle Regioni meridionali contro quello del 34% delle Regioni non sottoposte a piano di rientro e del 19% delle autonomie speciali del Nord. Si è proceduto, dunque, più velocemente sulla strada del risanamento finanziario al Sud che non al Nord. Bisogna rendersi conto che passa anche dal fare i conti seriamente con l’operazione verità su sanità, scuola e trasporto pubblico che abbatte le diseconomie strutturali, la sfida strategica del Mezzogiorno d’Italia come hub energetico dell’intera Europa e luogo privilegiato di attrazione di investimenti internazionali. Per effetto della ri-globalizzazione derivante dalla guerra mondiale delle materie prime e dall’accorciamento delle catene della logistica. Non si può uscire dalla miopia della doppia velocità europea se non si esce prima dalla miopia della doppia velocità italiana.


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