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Uscire dal massimalismo ciarliero e pensare con realismo al problema delle disparità. Questo è l’unico riformismo possibile su cui Elly Schlein può costruire la base di una leadership per l’alternativa. Ora si fa sul serio e bisogna avviare una fase di confronto con tutte le forze che sono potenzialmente la base del nuovo partito. Che sono prima di tutto le realtà territoriali di quel popolo disperso che si deve ritrovare. Che significa confrontarsi con il sindacato, con il mondo del lavoro rappresentato e quello non rappresentato, con il mondo piccolo e grande delle imprese. Bisogna costruire con tutti loro questo programma nuovo per cercare l’anima nascosta del Pd riscoprendo il riformismo solidale scomparso del popolo italiano

Uscire dal massimalismo ciarliero e pensare con realismo al problema delle disparità. Questa è la frontiera dell’unico riformismo possibile su cui Elly Schlein può costruire la base di una leadership per l’alternativa. Non dimenticandosi mai che si ritrova alla guida dell’unico partito con un milione e centomila persone che sono andate a votare perché lei diventasse segretaria del Pd e che questa folla non deve essere espressione di un televoto che dura un giorno, ma la forza di partenza di un popolo che si mette in cammino.

Un popolo consapevole di dovere attraversare il deserto della politica italiana davanti al grande cambiamento epocale. Paradossalmente può essere un punto di forza non avere programmato niente e non essersi impegnati sostanzialmente su nessuna idea strategica assolutamente dominante. Ora, però, si fa sul serio e bisogna che la neo segretaria e la sua squadra avviino una fase di confronto con tutte le forze che sono potenzialmente la base del nuovo partito. Che significa prima di tutto confrontarsi con le basi territoriali di quel popolo disperso che si deve ritrovare.

Che significa confrontarsi con il sindacato, con il mondo del lavoro rappresentato e quello non rappresentato, con il mondo piccolo e grande delle imprese. Bisogna costruire con tutti loro questo programma nuovo per cercare l’anima nascosta del Pd riscoprendo il riformismo solidale scomparso del popolo italiano. Partendo magari dalle cose su cui c’è maggiore consenso. Per esempio, il problema del salario minimo. Ce l’hanno tutti, perché noi no?

Ovviamente questa battaglia non può essere fatta con discorsi astratti ma esattamente come è avvenuto altrove deve essere una scelta effettiva frutto di un dibattito condiviso già maturato. Tutti hanno il salario minimo perché hanno risolto prima il problema di riflettere e hanno, quindi, deciso senza fare discorsi. L’esatto opposto di quello che accade sempre da noi che è parlare senza decidere.

Serve porre al centro in modo organico il confronto sulle imposte e avere come rotta complessiva quella di rimettere ordine tra tassazione su lavoratore indipendente e lavoratore dipendente. Si può perfino discutere di imposta sui grandissimi patrimoni ora che le elezioni sono lontane, ma sempre solo se almeno si intravede dietro questo ragionamento qualcosa di bene comune che offra realmente vantaggi per tutti. Che si percepisca, cioè, l’obiettivo di fare avanzare economia e società creando più benessere e più lavoro.

Bisogna operare per una riforma del fisco che sia davvero complessiva oltre che apparirlo. Se no ognuno per non perdere quel qualcosa che ha, anche pochissimo, continuerà ad accettare che altri godano di grandi, ingiustificati privilegi. Tutti saranno disponibili a perdere qualcosa di quello che hanno, grande o piccolissimo, solo se capiranno che alla fine del giro ci guadagnano tutti, altrimenti non si fa nulla e si alimenta solo la fuga degli elettori una volta verso i lidi grillini e un’altra volta verso quelli della destra o magari contemporaneamente verso entrambi. Soprattutto serve un piano di riforme che cominci un riaggiustamento reale delle disparità.

Per fare queste cose bisogna aiutare la formazione della coscienza di un Paese in cui tutti si fidano. Perché il punto è che se nessuno si fida degli altri, nessuno vorrà mai mollare il suo pezzettino perché teme che vada tutto in un calderone dove tutto, anche il suo pezzettino, viene buttato via senza che a lui ritorni alcunché. Anche chi ha un grande patrimonio può accettare un intervento ragionevole su di esso ma se si convince che questo suo sacrificio contribuisce a far fare un salto di qualità complessivo al suo Paese e che, quindi, ci sarà un ritorno anche su di lui. Così va nel mondo e così dovrebbe andare anche in Italia. Dove invece c’è sempre chi spinge da una parte e chi dalla parte opposta, e alla fine vanno tutti giù. In questo Paese due terzi della popolazione ha qualcosa da perdere e non vuole perderla perché è convinto che non gli ritorna sotto forma di giustizia sociale.

Serve una risposta al lavoro non assistenziale del nuovo Pd che si capisca e si riconosca. Questo può fare la differenza con la deriva sudamericana pentastellata. Questo partito deve vincere la sfida di recuperare l’equilibrio economico in modo dinamico e non assistenziale rispondendo ai bisogni di tutti e in modo assistenziale senza risparmio solo per le categorie più povere. Serve un progetto dichiarato e perseguito contro l’autonomia differenziata. Questa battaglia va fatta alla luce del sole per evitare che si sgretoli ulteriormente l’unità del Paese. Va fatta anche per togliere alla destra la bandiera del riequilibrio che è invece solo la bandiera del ciascuno per sé e Dio per tutti. Questo giochino va politicamente smontato.


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