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Francesco Rocca festeggia per la vittoria delle elezioni alla Regione Lazio

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Questo uragano di sfiducia nella istituzione Regione certificato dal non voto di sei italiani su dieci impegna tutti – maggioranza ed opposizione – a fare l’operazione verità sui trasferimenti di spesa pubblica pro capite per scuola, sanità, trasporto pubblico locale. Sono numeri decisivi per capire che cosa è accaduto fino a oggi e che non si dovrà più ripetere. Gli elettori che non hanno votato mettendo nell’urna la loro sfiducia nei confronti delle Regioni Lombardia e Lazio e quelli che hanno votato mettendo nell’urna una scelta netta a favore della Destra e della premier Giorgia Meloni sono uniti da una convinzione comune. Esprimono una forte richiesta di stabilità di governo e di saldo ancoraggio alle istituzioni europee di cui l’Italia è stata e continua a essere la prima beneficiaria.

Un’astensione di questa dimensione certifica nessuna fiducia nella istituzione Regione prima di ogni altra. Addirittura nei confronti delle due principali Regioni italiane che esprimono le capitali economica e politica di un Paese che ha urgente bisogno di ritrovarsi in un disegno riformatore compiuto e in una capacità effettiva di spesa a partire dagli investimenti produttivi. Questa sfiducia seppellisce anche la finzione messa in scena dell’autonomia differenziata a fini elettorali leghisti.

Questo Paese non ha bisogno di aumentare la frammentazione, ma la coesione sociale che è la premessa necessaria per consolidare gli straordinari risultati della sua economia. Questo Paese non cerca miopi scorciatoie, ma ricostituzione dei diritti di cittadinanza traditi che non riguardano solo il rapporto tra Nord e Sud del Paese ma anche tra aree metropolitane e aree interne. Questo uragano di sfiducia nelle istituzioni Regioni certificato dal non voto di sei italiani su dieci impegna tutti – maggioranza ed opposizione – a fare l’operazione verità sui trasferimenti di spesa pubblica pro capite per scuola, sanità, trasporto pubblico locale. Sono numeri decisivi per capire che cosa è accaduto fino a oggi e che non si dovrà più ripetere. Sono chiarissimi i segnali che questo passaggio elettorale consegna alla classe di governo e alle opposizioni in guerra tra di loro. Gli elettori che non hanno votato mettendo nell’urna la loro sfiducia nei confronti delle Regioni e quelli che hanno votato mettendo nell’urna una scelta netta a favore della Destra e della premier Giorgia Meloni sono uniti da una convinzione comune. Esprimono congiuntamente una forte richiesta di stabilità di governo e di saldo ancoraggio alle istituzioni europee di cui l’Italia è stata e continua a essere la prima beneficiaria.

A nostro avviso esprimono soprattutto un giudizio positivo nei confronti del governo e del primo presidente del consiglio italiano della Destra perché si è saputo mantenere una rotta di politica economica fortemente ancorata alle scelte compiute dal governo Draghi nel solco della prudenza in finanza pubblica e di prosecuzione sulla strada del processo riformatore compiuto. Questo cammino che ha bisogno di molte verifiche richiede preliminarmente di disinnescare l’unica vera mina interna che ha sulla sua strada ed è proprio un’idea di autonomia differenziata che nessuno vuole, nemmeno il mondo produttivo del Nord, e che soprattutto produce danni certi all’economia del Paese. Se non altro perché alimenta una spirale di polemiche che tolgono slancio nell’impegno assolutamente prioritario di recuperare capacità di spesa effettiva che può essere onorato solo attraverso una governance centralizzata ispirata al modello Fitto fortemente voluto dalla stessa Meloni. Identico focus strategico va riprodotto a livello europeo dove la stabilità di governo è l’atout principale che la prima donna premier italiana può giocare per convincere ancora di più mercati e istituzioni europee che da lei non verranno passi azzardati.

Ovviamente il quadro storico delle alleanze italiane va tutelato soprattutto alla luce della scelta innovativa compiuta che è quella del piano Mattei e del ruolo italiano come hub manifatturiero e energetico del Mediterraneo per favorire l’unica crescita aggiuntiva ancora possibile per l’Europa. Sono scelte visionarie di lungo termine che alimentano fibrillazioni soprattutto in casa francese e che proprio per questo richiedono il massimo di accortezza in uno scenario ancora segnato dalle ripercussioni post pandemiche e post belliche che porteranno di sicuro a un nuovo ordine mondiale. L’Italia ha davanti a sé un’occasione irripetibile grazie alla leadership politica europea espressa da Mario Draghi con il suo governo di unità nazionale e all’abilità di Giorgia Meloni riconosciuta più fuori che in casa di proseguire all’interno del solco tracciato. È interesse di tutti tutelare il miracolo economico italiano che significa un ritmo di crescita e di esportazioni doppio di quello tedesco e costruire quella macchina pubblica per gli investimenti capace di spendere e di spendere bene che può finalmente riunificare le due Italie. Per questo Giorgia Meloni deve tenere la barra dritta nella sua coalizione di governo coinvolgendo gli alleati e aprendo un dialogo costruttivo con le opposizioni almeno con quelle che ci stanno. Sarebbe bene che il nuovo Pd determinasse un processo di chiarificazione all’interno della Sinistra che comporta la scelta di un’opposizione molto dura ma assolutamente responsabile. Questo richiedono i tempi che viviamo, ma questo richiede anche un riformismo progressista che vuole contribuire a salvare il suo Paese e tornare ad ambire a governarlo.


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