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I partecipanti alla conferenza di Monaco del 1938

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Non ce ne siamo accorti, ma le “quinte colonne” di Putin in Italia stanno ispirando un grande processo di revisionismo storico, a fronte del quale l’opera di Renzo De Felice impallidisce e scompare.

Applicando i loro canoni agli eventi e alle cause che hanno determinato i conflitti del XX secolo si ottiene una radicale smentita di quanto ci hanno fatto credere o che abbiamo direttamente vissuto senza renderci conto della realtà.

LA STORIA RIBALTATA

Quali sono i criteri di valutazione di Alessandro Orsini, Donatella Di Cesare, Michele Santoro e tanti altri, nati o rinati a nuova vita in occasione della guerra in Ucraina?

1) Se l’aggressore è più forte dell’aggredito, quest’ultimo deve arrendersi il più presto possibile per non costringere il primo a compiere una “inutile strage’’.
2) Come conseguenza, se l’aggressore vanta delle rivendicazioni territoriali in base al suo libero arbitrio, l’aggredito deve essere pronto a concedergliele.
3) In queste circostanze l’esercizio di un elementare diritto di difesa trasforma l’aggredito in aggressore e in nemico della pace; pertanto la comunità internazionale non deve prestargli in alcun modo assistenza.
4) In ogni caso, l’aggressore NON deve mai essere umiliato, per non obbligarlo a compiere azioni sconsiderate, ma giustificate, per non perdere la faccia.

In base a questi nuovi criteri di giudizio si potrebbe riscrivere tutta la storia del secolo breve. Tutto iniziò dalla fine della Grande Guerra e dalle condizioni imposte dagli Alleati dell’Intesa (vincitori del conflitto grazie all’intervento Usa alle potenze sconfitte, tra cui la Germania. Si inserisce a questo punto il tema dell’umiliazione che giustificò (secondo le nuove dottrine) la reazione del nazionalismo tedesco il quale, in fondo, si accontentava di rivendicare quanto gli era stato sottratto a Versailles e a difendere i milioni di tedeschi sottratti all’autorità del Reich dalla nuova carta geografica europea.

HITLER “INNOCENTE”

Del resto che Hitler non volesse scatenare la Seconda guerra mondiale lo ha riconosciuto anche Alessandro Orsini. I veri responsabili furono i governi che rifiutarono non solo di arrendersi, ma anche di trattare con Hitler nonostante le evidenti condizioni di inferiorità che rendevano disperato ogni tentativo di resistenza nei confronti delle armate tedesche.

Il primo responsabile fu Winston Churchill che deluse il Fuhrer il quale aveva in mente di chiudere con una resa sostanziale la partita con l’Impero britannico per dedicarsi all’aggressione dell’Unione sovietica.

Lo stesso fece Stalin quando nel giugno 1941 l’Urss fu invasa dai nazisti su di un fronte di 3.000 km e con una penetrazione di 1.000 km nel territorio.

Il terzo responsabile fu il presidente americano Franklin Delano Roosevelt che – con la legge “affitti e prestiti’’ (la stessa ripescata da Joe Biden) – fornì una cospicua assistenza militare ai Paesi aggrediti, Urss inclusa, prima di portare in guerra l’esercito Usa anche in Europa.

Finito il secondo conflitto mondiale, la stessa guerra di Corea portava le stimmate dell’imperialismo americano, tanto che furono costretti a intervenire anche i cinesi in difesa degli ascendenti dell’attuale regime. Ma quel guerrafondaio di Harry Truman arrivò persino a destituire dal comando un eroe popolare come Douglas Mac Arthur, per divergenze sulla conduzione della guerra, che secondo il presidente Usa avrebbero potuto portare a un conflitto mondiale.

Poi dobbiamo mettere in conto la lunga guerra di liberazione del Vietnam, iniziata con la sconfitta dei colonialisti francesi a Dien Ben Phu da parte delle truppe Vietminh comandate dal leggendario generale Giap. L’Indocina francese venne divisa in due e gli Usa si fecero garanti del Vietnam del Sud di indirizzo nazionalista, in funzione della strategia di contenimento dell’espansione del comunismo.

DAL VIETNAM A KABUL

Gli Usa impiegarono negli anni la loro potenza militare, ma dovettero subire l’umiliazione della sconfitta sul campo e della fuga precipitosa con scene come quelle che si sono ripetute durante l’evacuazione disonorevole di Kabul. È vero che i Vietcong e l’esercito del Nord erano armati fino ai denti dall’Urss (che gli Usa non definirono mai cobelligeranti) ma la sproporzione di forze era evidente e, secondo i nostri revisionisti, i vietnamiti avrebbero dovuto arrendersi per evitare la distruzione del loro Paese.

Poi come si erano permessi quei piccoli uomini e donne gialli di sfidare un Paese dotato di un armamento nucleare? Si credevano forse di essere ucraini? O sono gli ucraini a sentirsi vietnamiti? La tragedia del Vietnam fu una discriminate etica per un’intera generazione, dagli Usa all’Europa.

Quella guerra condizionò la politica americana per decenni entrando di peso nelle campagne elettorali di una nazione divisa. Basti pensare che il giovane Bill Clinton, futuro presidente degli Usa per due mandati, andò a vivere in Canada per sottrarsi alla chiamata alle armi, mentre John Mc Caine, senatore repubblicano candidato alla presidenza contro Barack Obama (in seguito deciso avversario di Trump) si coprì di onore e di medaglie in quella guerra, anche per le torture subite durante la prigionia.


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