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I vinti e i vincitori della brutta partita Ucraina-Russia si dipanano su più livelli: c’è quello geopolitico, c’è quello economico e, all’interno di quest’ultimo, bisogna distinguere fra i Paesi, più o meno impattati da quest’ultimo strappo. Nel giornale di ieri chiudevamo un’analisi dell’incertezza con queste parole: «La risposta tempestiva e possente delle politiche economiche e della scienza medica (vaccini e farmaci anti-Covid) hanno permesso di ridurre l’incertezza. C’è solo da sperare che, respinta da una parte, non rispunti dall’altra (Ucraina e dintorni…)». E, puntualmente, è rispuntata.

L’UNICO CROLLO ALLA BORSA DI MOSCA

La risposta dei mercati all’invasione, da parte di truppe russe, delle sedicenti “repubbliche” Donetsk e Luhansk, è stata meno scomposta rispetto a quello che ci si poteva aspettare. Per i mercati azionari, le perdite sono state modeste, ed è significativo che l’unico mercato dove c’è stato un crollo è la Borsa di Mosca (indice Moex), che due giorni fa ha lasciato sul campo il 10% e ieri ha recuperato solo meno del 2%.

Da una parte, la tenuta delle Borse europee segnala che si punta ancora su una soluzione diplomatica. Dall’altra parte, la brutta caduta del mercato russo segnala che le sanzioni in arrivo saranno di serio danno all’economia sovietica. Nei mercati delle materie prime, l’impatto più forte è stato sul petrolio: il Brent ha sfiorato i 100 dollari al barile, ai massimi degli ultimi sette anni.

Anche il gas (Eu Ttf Dutch) è balzato di un 8%, anche se rimane ancora al di sotto (vedi grafico) dei massimi di fine 2021. E anche gli indici delle materie prime non energetiche hanno accelerato, portandosi al livello più alto degli ultimi otto anni. Nei mercati valutari, invece, non ci sono state particolari reazioni. In tempi di crisi geopolitiche, quando si sente rumor di sciabole, di solito il dollaro si rafforza, riprendendo il ruolo di bene rifugio. Questa volta non è successo. L’oro si è di nuovo portato, sull’immeritata nomea di “porto sicuro”, verso quota 1.900 dollari/oncia, un livello che non vedeva da metà 2021.

TASSI E INFLAZIONE

L’altro grande mercato – quello delle obbligazioni, da sempre sensibile all’inflazione e alle politiche monetarie – è anch’esso variato di poco, non sapendo, come l’asino di Buridano, quale dei due rischi è maggiore: da una parte, l’aumento dei prezzi delle materie prime va a rinfocolare l’inflazione, dato che a questo punto le imprese devono aumentare i prezzi, non potendo più assorbire l’aumento dei costi. E l’inflazione, così attizzata, spinge le Banche centrali ad aumentare i tassi.

Dall’altra parte, gli effetti sulla fiducia della crisi ucraina non possono che spegnere la voglia di pendere, già ferita (per le famiglie) dalla perdita di potere d’acquisto. Il che è una forte controindicazione a svolte restrittive della politica monetaria. E veniamo alla ramificazioni geografiche dell’impatto sull’economia. Non c’è dubbio che i Paesi poveri di materie prime, come l’Italia, sono in prima linea nel subire l’impoverimento inesorabilmente connesso all’aumento delle quotazioni di gas e petrolio. E certamente c’è anche un problema non solo di prezzo, ma anche di penuria di approvvigionamenti, se la crisi si aggrava e i gasdotti o gli oleodotti rimangono a secco.

I PIANI B

Tuttavia, su questo punto, come argomentato su queste colonne il 18 febbraio, ci sono dei “piani B” che l’Europa ha messo a punto, sia per quanto riguarda altre fonti di approvvigionamento che per quanto riguarda i risparmi di energia. «Nel lungo periodo siamo tutti morti» argomentava Keynes quando qualcuno gli prospettava i pericoli di tendenze negative nel lungo termine. Il fatto è che potremmo essere messi male anche nel breve periodo, aspettando che i “piani B” diventino operativi…

Quello che più fa male è vedere come il Parlamento si agiti in questi devastanti frangenti: la maggioranza si divide su catasto, Green pass, Mes, Tav, Ilva… Riordinare le sedie a sdraio sul ponte del Titanic sembra essere la cura principale di partiti in fibrillazione, che guardano già alle elezioni del 2023 e si rifiutano di fare i “compiti a casa” del 2022.


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