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E’ ANDATA meglio del previsto. Grazie alle misure adottate dal governo la bolletta energetica si è alleggerita, ma per i prodotti alimentari la corsa al rialzo non si ferma. I dati Istat sui prezzi al consumo di aprile, pubblicati ieri, rilevano una diminuzione dello 0,1% rispetto al mese precedente e anche il dato su base annua conferma il rallentamento a +6% rispetto al +6,5% di marzo e alla stima preliminare del 6,2%. 

La lieve riduzione  dell’inflazione su base tendenziale – spiega l’Istituto di Statistica –  si deve prevalentemente ai prezzi degli energetici (da +50,9% di marzo a +39,5%) e vale sia per la componente regolamentata (da +94,6% a +64,3%) sia per quella non regolamentata (da +36,4% a +29,8%). Un risultato che, secondo l’Istat, si deve essenzialmente “all’inclusione del bonus energia (elettricità e gas) nel calcolo degli indici dei prezzi al consumo, resa possibile dalla disponibilità di stime sulla platea dei beneficiari (estesa dal primo aprile fino a comprendere circa 5 milioni di famiglie, 3 per il bonus elettricità e 2 per il bonus gas, con valenza retroattiva dal primo gennaio 2022)”.

I beni alimentari invece accelerano ancora schizzando al +6,4% che arriva a +7,8% per i prodotti freschi. L’inflazione dunque continua a mordere le tasche degli italiani pesando su beni di prima necessità. La guerra – commenta Coldiretti – si abbatte sul carrello della spesa con la classifica dei rincari che è guidata dagli oli di semi, soprattutto quello di girasole (+64%). L’Ucraina infatti, che è uno dei principali produttori di olio di girasole, ha dovuto interrompere le spedizioni e dunque il prezzo è schizzato. Ma costa di più anche la farina, con i prezzi in salita del 17% trainati dagli aumenti internazionali del grano. Al terzo posto il burro (+15,7%) che risente della ridotta disponibilità del mais destinato all’alimentazione delle mucche da latte. A peso d’oro anche la pasta (+14%), la carne di pollo (+12%), la verdura fresca (+12%) e i frutti di mare (+10%). E non si salvano i gelati  con prezzi surriscaldati del 10%, le  uova (+9%) e il pane (+8%) rispetto allo stesso periodo scorso anno.

Per le famiglie non resta che stringere la cinghia. Anche perché le condizioni per una inversione di tendenza, almeno nel breve termine, non ci sono. La  fine della guerra per ora resta una speranza e anche se arrivasse subito una conclusione gli effetti, come tutti gli osservatori economici ripetono da tempo, si avvertiranno a lungo. E non aiuta, per quanto riguarda le commodity alimentari, il clima. Il caldo anomalo che ha già tagliato i raccolti di grano in India e in alcune aree degli Stati Uniti, sta mettendo in crisi le coltivazioni anche in Italia dove le temperature roventi stanno aggravando la siccità. In difficoltà -spiega la Coldiretti – sono le semine primaverili di riso, girasole, mais e soia, ma anche le coltivazioni di grano, altri cereali e foraggi seminati in autunno, e ortaggi e frutta che hanno bisogno di acqua per crescere e assicurare la produzione di cibo Made in Italy alle tavole degli italiani in un momento  difficile  per la carenza di offerta e i rincari.

Si aggrava così la situazione produttiva e i prezzi procedono la loro folle corsa. E intanto si appesantisce lo stato di forte crisi per le aziende agricole piegate dai super costi. Più di 1 azienda agricola su 10 – denuncia l’organizzazione agricola – è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi fino al +129% del  gasolio. 

L’unica  soluzione per affrontare le criticità – dichiara il presidente della Coldiretti. Ettore Prandini, “è rappresentata dai contratti di filiera tra aziende agricole e industrie di trasformazione che puntano a precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e  a prezzi equi che non  devono scendere mai al di sotto dei costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali”. Anche Confcommercio sottolinea l’elevata incertezza che caratterizza il quadro congiunturale dell’economia italiana nel secondo trimestre “conseguenza delle difficoltà attraversate da diversi comparti della manifattura e dal perdurante vuoto di domanda per alcuni segmenti di consumo”.  E anche sulla ripresa del turismo Confcommercio non nasconde le  difficoltà. A depotenziale la ripresa è l’elevata inflazione al consumo. 

A preoccupare sono, in particolare, le tensioni nel settore alimentare e in alcuni segmenti dei servizi. Per l’associazione del commercio, tenuto conto della situazione critica dei mercati delle materie prime e delle filiere di approvvigionamento, “è sempre più complicato individuare l’inizio di una fase di rientro di queste dinamiche”.  Confesercenti, in una nota di commento ai dati Istat, sottolinea come nonostante  l’aiuto dato dal governo con gli interventi finalizzati a contenere il caro energia, per le imprese e le famiglie lo scenario resti incerto. L’inflazione dunque non allenta la presa, come dimostrano gli aumenti sia delle bollette che degli alimentari. “Bisogna fare di più  – chiede Confesercenti – Servono più risorse per bloccare la corsa delle bollette: ulteriori aggravi si ripercuoterebbero inevitabilmente sui prezzi e quindi sui consumi interni, la cui tenuta è indispensabile per mantenere il Paese su un percorso di crescita”.

Chi continua a fare molto è comunque la filiera agroalimentare che, nonostante “l’economia di guerra”, inanella nuovi successi sul fronte dell’export. E’ ancora l’Istat, con i dati sul commercio estero del primo trimestre  dell’anno, a consegnare  una foto  dell’eccellente performance  del made in Italy alimentare che  con un aumento del 21,5% si avvia a superare il record dei 52 miliardi del 2021. La Germania – spiega un’analisi della Coldiretti – si conferma  il principale sbocco con una crescita del 12,4%,  seguita dagli Stati Uniti che hanno messo a segno un balzo del 21,5% e dalla Francia (+19,5%). Vero boom nel Regno Unito con +32,5% a dispetto della Brexit.  Crollo invece ovviamente in Russia, ma anche in Cina (-25%).

Un quadro però pesantemente ipotecato dalla guerra che ha portato alla chiusura dei mercati e comunque a un terremoto globale degli approvvigionamenti.


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