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Matteo Renzi con il principe Mohamed bin Salman

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Nella vicenda Renzi-Bin Salman sfugge il dato più importante: l’amministrazione Biden sta per declassificare un documento della Cia che indica il principe saudita come mandante dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi. Il vento negli Usa è decisamente cambiato. Si tratta di una notizia che potrebbe incidere su tutti noi e anche sul senatore Renzi che stranamente, dopo essersi dichiarato pro-Biden, ha ignorato che la nuova amministrazione americana sta ribaltando alcune linee – non tutte sia chiaro – della politica estera di Trump. Biden ha congelato “temporaneamente” la vendita di armi e munizioni all’Arabia saudita e di caccia F35 agli Emirati, una componente del Patto di Abramo tra le monarchie del Golfo e Israele che aveva già preoccupato il premier Netanyahu, inquieto per l’integrità della “supremazia qualitativa” dell’apparato bellico ebraico in Medio Oriente.

Ma se la notizia – che limita le forniture belliche Usa a fallimentari protagonisti delle guerre per procura in Yemen e Libia – è davvero buona lo capiremo quando Avril Haines, direttrice dell’intelligence, declassificherà, come ha annunciato la scorsa settimana, una nota segreta della Cia sull’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Secondo la Cia l’ordine di farlo a pezzi facendo scomparire il cadavere, nell’ottobre 2018 a Istanbul, sarebbe arrivato direttamente dal principe ereditario Mohammed bin Salman.

La decisione è in linea con quanto Joe Biden aveva fatto capire già mesi: il nuovo presidente in campagna elettorale aveva mostrato scarsa simpatia verso Riad, oltre che nei confronti del leader turco Erdogan da lui definito un “autocrate”. Biden vuole prendere le distanze dal sostegno di Trump alla criminale guerra saudita in Yemen. Riad era stata la prima meta all’estero dell’ex presidente e due settimane dopo la vittoria di Biden un vertice aveva riunito nel regno il principe Mohamed bin Salman, Netanyahu e il capo della diplomazia di Trump, Mike Pompeo. All’ordine del giorno c’era l’intenzione di Biden di rinegoziare con Teheran l’accordo del 2015 sul nucleare di Obama cancellato tre anni dopo da Trump.

Uno spauracchio delle monarchie petrolifere e di Israele, in parte allontanato dal segretario di stato Antony Blinken: “Ci vorrà tempo con l’Iran e serviranno consultazioni con gli alleati”, ha detto Blinken. Mentre gli Usa continuano a congelare i depositi iraniani all’estero – decine di miliardi di dollari – che servirebbero a comprare i vaccini anti-Covid: il “doppio standard” mediorientale, come si vede, non ci abbandona mai.

La mossa più importante però sarà proprio la divulgazione del documenti della Cia sul principe saudita Mohammed bin Salman. Questa è la chiave della campagna su diritti umani e politici che Biden ha già lanciato contro la Russia e la Cina, sia direttamente nella telefonata con Putin che con le dichiarazioni di Blinken contro Pechino. Tanto è vero che il clamore per il caso Navalny sui media ha largamente superato il risultato più concreto del colloquio: l’intesa tra Biden e Putin per rinnovare l’accordo Start, che fissa i limiti alle testate nucleari, in scadenza il 5 febbraio.

Ma per essere credibile sulla questione diritti umani con Russia e Cina, e soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, Biden ha bisogno di fare qualche cosa di serio con i sauditi, i maggior clienti di armi Usa e anche i più antichi (dal 1945) e detestabili alleati mediorientali che un giorno potrebbero entrare nel Patto di Abramo. L’Arabia saudita, quando Israele non era ancora uno stato, è legata agli Usa dagli accordi che firmò Roosevelt nel 1945, ancora prima della fine della seconda guerra mondiale: in sintesi petrolio in cambio di sicurezza. Gli Stati Uniti sono sempre intervenuti per difendere la casa regnante dei Saud e nel 1990-91, quando Saddam Hussein invase l’Iraq, mandarono i loro soldati nel Paese che custodisce i luoghi sacri dell’Islam. Ed è successo ancora quando i ribelli Houthi yemeniti nel settembre 2019 hanno colpito coni missili le istallazioni petrolifere saudite. In pratica gli americani sono sempre andati in soccorso del regno wahabita che è il portabandiera di una delle versioni più rigide e retrograde dell’Islam. Una monarchia assoluta dove nessun diritto è garantito.

Fa un po’ specie che il senatore Renzi lodi il costo del lavoro saudita: in un Paese dove non ci sono i sindacati e i lavoratori sono in gran parte stranieri privi di ogni diritto e spesso trattati come servi della gleba. C’è da dubitare che il nostro senatore legga qualche volta le pagine degli esteri dei giornali e veda soprattutto nelle relazioni internazionali un mezzo per fare affari. È l’errore che lo ha condotto in passato a riabilitare per primo in Europa il generale egiziano Al Sisi e poi maneggiare in maniera assai maldestra il caso Regeni.

Le conseguenze della pubblicazione sulle responsabilità del principe Mohammed bin Salman nell’assassinio Khashoggi sarebbero enormi. Finora l’ambiguità di Trump aveva favorito il principe, reintegrato nella vita internazionale dopo un periodo di freddezza, per altro assai breve. Non dimentichiamo che Susan Rice, ex consigliere di Obama e ora dell’amministrazione Biden, dalle pagine del New York Times aveva chiesto di privare Mohamed bin Salman (MBS) della carica di principe ereditario e dunque di futuro monarca saudita.

Tutti vogliono fare affari con i sauditi ma non con “questi” sauditi, se diventano di pubblico dominio le accuse della Cia. E’ curioso che proprio Renzi, accreditato come filo-Biden e che ha aperto la crisi di governo italiana in coincidenza con la sua ascesa alla Casa Bianca, abbia partecipato in questi giorni alla conferenza dal fondo sovrano saudita, il Saudi public investment Fund (Pif) guidato proprio da Mohammed bin Salman, colui che oltre a essere l’assassino di Khashoggi ha diretto lo sterminio dei civili in Yemen ed è coinvolto nelle persecuzioni di donne e oppositori del sistema assolutista saudita.

È strano che al senatore, di solito così attento e opportunista come ogni politico, sia sfuggito che gli Usa hanno in parte cambiato linea politica. Per i media italiani Renzi avrebbe l’ambizione, non si sa quanto fondata, di diventare segretario Nato. Ma la sua corsa verso l’Alleanza atlantica è iniziata con una falsa partenza.


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