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Xi Jinping

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La Cina sta vivendo la tempesta perfetta. La progressiva intensificazione della zero-covid policy e la guerra in Ucraina stanno infatti portando il Dragone a vivere l’anno più difficile del periodo post Mao.

Era già in corso un cambio di paradigma della sua crescita: il perseguimento di una logica quantitativa in quanto tale – crescita a due cifre che ha portato l’economia di Pechino a quadruplicarsi in soli 20 anni – era già una prospettiva del passato per via del continuo incremento dei costi della manodopera che sostanzialmente impedisce all’ex Impero di Mezzo di continuare a puntare sull’essere il workshop produttivo a basso costo del mondo.

I NUOVI INCUBI DEL PCC

Per questo, si è progressivamente introdotto un obiettivo di crescita qualitativa e sostenibile: non tanto orientata alla massimizzazione del Pil, quanto piuttosto alla sua sostenibilità nel tempo, privilegiando in questo senso, per la prima volta dalla riforma di Deng Xiaoping (arricchirsi è bello), una vista qualitativa dell’evoluzione del Dragone.

In altre parole, Pechino era già entrata in una nuova fase del suo percorso di sviluppo, contraddistinta da una crescita lenta. L’evoluzione in atto nel contesto internazionale e a livello locale sta però rendendo il quadro economico più problematico del previsto.

Il recentissimo annuncio del lancio di un fondo contro i rischi sistemici (uno strumento simile al Financial Stability Fund di matrice europea) evidenzia plasticamente come anche le preoccupazioni stiano crescendo all’interno del Partito Comunista. Perché? Ci sono sia ragioni contingenti, come appunto la guerra e il Covid19, che fattori strutturali.

La dichiarazione di amicizia senza confini nei confronti di Putin, unitamente alla momentanea rinuncia a giocare un ruolo di mediatore di pace, sta impattando in maniera negativa sull’immagine della Cina nei confronti dell’Europa, con possibili ripercussioni sul fronte dell’interscambio commerciale, che attualmente si assesta sugli 800 miliardi di dollari.

La tolleranza zero nella gestione della pandemia – ormai quasi il 40 per cento della popolazione cinese è sottoposta a lockdown – sta determinando una significativa riduzione del prodotto industriale, ma soprattutto sta contribuendo a determinare un clima di incertezza nella popolazione, che penalizza l’andamento della domanda interna.

TALLONE D’ACHILLE

Quest’ultima è peraltro il vero tallone di Achille della Cina; i segnali sono evidenti da mesi e anche l’ultimo dato di crescita del Pil evidenzia con chiarezza la debolezza dei consumi dei cinesi.

La crescita reale del 4,8 per cento (+8,4% nominale) che è stata rilevata nel primo quadrimestre è infatti il frutto di una crescita vertiginosa dell’export (+13,4%, una volta e mezza la crescita nominale dell’economia) e di una crescita dell’import del 7,5%, inferiore cioè all’andamento complessivo.

Una situazione, quindi, rappresentativa della grande difficoltà che la Cina ha nel ribilanciare la propria economia andando ad aumentare l’incidenza della domanda interna a discapito degli investimenti in infrastrutture, da sempre il vero motore della crescita (quantitativa) del Dragone.

Basti ricordare che nel 2008, in piena crisi finanziaria, il Politburo decise di varare un piano di stimolo da oltre 550 miliardi di dollari essenzialmente basato sulle infrastrutture, che rappresentò sì un motore di crescita ma nel contempo contribuì a innescare la bolla dell’indebitamento immobiliare che a oggi rappresenta un ulteriore fattore di criticità.

Sembra emergere un quadro per cui il Politburo si muove bene nell’ambito delle misure a sostegno della produzione – attraverso sussidi alla produzione, export, linee guida per i prestiti delle banche, investimenti in infrastrutture e ribassi del sistema di tassazione – ma ha invece significative difficoltà nel concepire misure a sostegno della domanda interna, oggi più che mai necessarie, anche in virtù della involuzione attesa sul fronte della globalizzazione.

SERVE UN CAMBIO DI ROTTA

Serve dunque un cambio di rotta, proprio nell’anno del XX Congresso del Partito Comunista. Non basterà infatti il varo di un piano di stimolo classico – che appare quasi certo, alla luce delle ultime dichiarazioni e della disponibilità di riserve monetarie del governo centrale – Sono necessarie delle misure che siano volte ad aumentare l’incidenza che i consumi hanno sul Pil complessivo della Cina.

Intendo fare riferimento all’attuazione di una serie di interventi che siano finalizzati ad aumentare direttamente – attraverso un aumento dei salari – e/o indirettamente – attraverso un apprezzamento del Renminbi, un potenziamento del sistema di welfare -la propensione al consumo da parte della classe media, che è attualmente compressa sia per l’incertezza del periodo che per l’oggettiva necessità di riuscire ad accantonare risparmi per gestire il momento della vecchiaia nel quale, nella fase attuale, il cinese medio si sente poco protetto dallo Stato.

Insomma, il concetto della prosperità sociale e della distribuzione della ricchezza che è stato varato da Xi nell’agosto 2021 passa attraverso un profondo sistema di riforme, che richiede un salto culturale allo stesso Politburo.


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