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Un gasdotto

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QUANTO è dipendente dall’estero il nostro sistema energetico, quali sono le opzioni di sviluppo di breve e lungo periodo per la sicurezza energetica e quale ruolo può giocare il gas naturale tra emergenza e transizione. Questi i temi approfonditi nello studio di Cassa Depositi e Prestiti (società per azioni controllata per circa l’83% da parte del Ministero dell’economia e delle finanze) intitolato “Sicurezza energetica: quali prospettive oltre l’emergenza?”.

Il documento traccia lo stato dell’arte della questione energetica e individua le eventuali alternative percorribili per sostituire le importazioni di gas dalla Russia. Storicamente, l’Europa si approvvigiona di materie prime energetiche da regioni e paesi europei (Russia) ed extra-europei (Medio Oriente e Nord Africa, ma anche dagli Stati Uniti, secondo Paese per export di combustibili fossili verso l’Ue).

Nel corso degli anni la dipendenza italiana è diminuita gradualmente – per effetto dei progressi in materia di efficienza energetica e con lo sviluppo della generazione elettrica da fonti rinnovabili – rimanendo ancora su un livello che rende vulnerabile la nostra economia. Nello specifico, gas naturale e petrolio incidono ancora per il 65% sui consumi finali di energia e l’Italia importa il 96% del primo e oltre il 90% del secondo. In questo contesto, il dibattito nazionale in materia di politica energetica si è focalizzato principalmente sul progressivo abbandono delle fonti fossili e sulla necessità di imprimere un’accelerazione alla crescita delle rinnovabili che, tuttavia, presentano dei limiti: discontinuità del regime regolatorio, evoluzione delle tecnologie e instabilità del profilo di produzione.

Nel frattempo il gas naturale potrebbe accompagnare il sistema economico verso un’economia a basso impatto di carbonio come fonte energetica di transizione. Attualmente il gas naturale ricopre un peso rilevante nel bilancio energetico nazionale: con circa 75 miliardi di metri cubi nel 2021 rappresenta, infatti, più di due quinti dei consumi interni di energia (42%) e quasi la metà della generazione elettrica (48%). Il 13% delle importazioni nazionali di gas arriva in forma liquida tramite navi e viene successivamente immesso nel sistema nazionale dopo il processo di rigassificazione: la maggior parte proviene dal Qatar (70%), dall’Algeria (14%) e dagli Stati Uniti (8%).

Nella sua veste “classica”, invece, con il trasporto tramite gasdotti, l’Italia vede la dipendenza dai Paesi esteri in primis verso Russia (40%) e Algeria (31%), che insieme rappresentano tre quarti dell’approvvigionamento nazionale. È evidente che una così forte concentrazione in un numero limitato di Paesi caratterizzati da elevati profili di rischio geopolitico rende l’Italia estremamente vulnerabile. In questo contesto, guardare alle risorse interne per garantire una maggiore autonomia e resilienza del sistema appare una strada difficilmente percorribile.

Il Paese, a fronte di riserve accertate comprese tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi, produce attualmente poco più di 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno (4% dei consumi), con una diminuzione di circa 6 volte rispetto ai livelli di fine anni ‘90 e l’inizio del nuovo secolo. Il progressivo declino è dovuto a minori investimenti e all’esigenza di tutelare l’ambiente. Secondo lo studio sono tre le vie percorribili per raggiungere l’autonomia energetica. Anzitutto il pieno sfruttamento della capacità di stoccaggio nel brevissimo periodo, arrivando a una quota di riempimento dei siti pari al 90%, che consentirebbe di coprire circa il 20% dei consumi interni.

La seconda via è il potenziamento della capacità di trasporto del TAP da 10 a 20 miliardi di metri cubi/anno – equivalente quindi a circa due terzi del gas di importazione russa – e l’incremento dell’effettivo utilizzo dei metanodotti esistenti che in forza dell’Accordo Italia-Algeria dell’11 aprile, dovrebbe aumentare gradualmente i volumi trasportati dal gasdotto Transmed a partire dal 2022 fino a raggiungere circa 9 miliardi di metri cubi annui nell’arco di tre anni (2023-24). Infine bisogna puntare sul rafforzamento della capacità di rigassificazione, per consentire una rimodulazione delle importazioni di gas verso quello liquefatto nel breve-medio periodo. A tal fine occorre da un lato portare a pieno regime l’impiego dei terminali esistenti, il cui utilizzo è pari a soltanto il 75% della loro capacità teorica, che coprirebbe circa il 20% del fabbisogno nazionale. Dall’altro, si può provvedere alla realizzazione di nuovi terminali di rigassificazione.

A questo proposito il governo ha incaricato i principali operatori del settore di individuare due navi Fsru (floating galleggianti) con caratteristiche analoghe a quelle dell’OLT di Livorno. I terminali galleggianti rappresentano una soluzione più rapida, economica e a minor impatto rispetto alla costruzione di impianti on- shore: dalla concessione bastano al massimo 18 mesi per attivarli. Grazie al posizionamento strategico e alla valorizzazione di reti e porti l’Italia potrebbe candidarsi a diventare un hub di accesso al gas naturale e, in futuro, anche dell’idrogeno, facendo da ponte tra le due sponde del Mediterraneo e tornando ad avere un ruolo di centralità.


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