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Xi Jinping e Joe Biden

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Durante tutto l’attacco russo all’Ucraina, Pechino è rimasta saldamente nel campo di Mosca, senza se e senza ma, anche quando si è parlato di gravi crimini di guerra e gli sperati grandi successi russi non sono arrivati. Generalmente si pensa che questo appoggio incondizionato sia giustificato, agli occhi della dirigenza cinese, dalla parallela intenzione di Pechino di prendere il controllo di Taiwan, anche con l’uso della forza militare, per annettersi la “provincia ribelle”.

L’AMBIGUITÀ DI WASHINGTON

In effetti ci sono alcune similitudini, ma anche moltissime importanti differenze, tra i due casi. In primo luogo il fatto che, pur rivendicando la sua indipendenza dal governo comunista cinese, anche Taiwan sostiene di essere parte della Cina, mentre l’Ucraina non riconosce affatto di essere parte della Russia.

Questa sostanziale differenza, e il fatto che solo pochissimi Paesi mantengono relazioni diplomatiche formali con Taiwan, può essere abilmente sfruttata dalla propaganda cinese prima e durante un eventuale conflitto per cercare di evitare il formarsi di un forte e compatto fronte comune internazionale contro Pechino, analogo a quello formatosi contro Mosca. Ma la maggior preoccupazione cinese è quella di sapere se, in caso di attacco a Taiwan, gli Usa interverranno direttamente al suo fianco, utilizzando la loro forza militare contro Pechino.

Su questo punto regna una voluta oscurità: gli Usa si riservano il diritto di intervenire, ma non chiariscono come, se, quando e in risposta a quale tipo di conflitto. Questa è probabilmente una delle ragioni dietro l’apparente decisione di Pechino di dotarsi di una forza nucleare strategica numericamente alla pari con quelle di Usa e Russia (passando da circa 300 ad oltre 1000 testate nucleari).

Tale decisione non è mai stata confermata ufficialmente, ma è suggerita dal rapido moltiplicarsi del numero dei silos per il lancio di missili intercontinentali, dal varo di nuovi sommergibili lanciamissili e dall’approntamento di una forza aerea di bombardieri con capacità nucleari. Pechino, infatti, ha preso atto del fatto che l’appoggio militare occidentale all’Ucraina, per quanto ampio ed esplicito, non intende sfidare direttamente la dissuasione nucleare russa.

Ma una cosa sono le intenzioni iniziali e tutt’altra cosa sono gli sviluppi della situazione reale durante un conflitto. Recenti esercitazioni e “giochi di guerra” volti a simulare i comportamenti e le scelte delle parti durante un conflitto per il controllo di Taiwan hanno quasi tutti superato rapidamente la soglia nucleare, e fanno pensare che non sarà affatto facile, forse impossibile, limitare questo conflitto allo stesso modo di quello sull’Ucraina.

In altri termini, Pechino potrebbe decidere, in base all’esperienza in Ucraina, di attaccare Taiwan, e potrebbe così dare inizio a un conflitto nucleare inatteso e dalle conseguenze imprevedibili (ma comunque disastrose).

IL FOCOLAIO ASIATICO

Per questo si moltiplicano negli Usa i pareri favorevoli a un’uscita dall’attuale ambiguità, a favore di più esplicite garanzie americane nei confronti di Taiwan. È possibile che la recente dichiarazione di Biden circa un intervento militare americano in caso di attacco cinese, che alcuni leggono come una gaffe, sia stato in realtà pensato proprio per rafforzare la dissuasione. Le successive correzioni di rotta servirebbero a ridurre la portata “provocatoria” di una tale uscita. Siamo quindi sempre nel regno dell’ambiguità, ma di un’ambiguità in qualche modo meno ampia di quanto potrebbe aver sperato la Cina.

Lo scenario nel Pacifico è oggi molto più complesso e articolato dello scenario transatlantico sollecitato dalla guerra in Ucraina. Importanti potenze come l’India o l’Indonesia, che hanno mantenuto una posizione di parziale non allineamento nei confronti di Mosca, condividendone la condanna politica, ma non le sanzioni economiche, si troverebbero invece direttamente coinvolte, in prima linea, in caso di conflitto con la Cina, ed è probabile che questi schieramenti si ripercuoterebbero sulle molte altre tensioni regionali, dal Pakistan all’Afghanistan, al Golfo e ai Pesi della penisola indocinese, nonché naturalmente alle due Coree e al Giappone.

Vi è qui il potenziale di un rapidissimo allargarsi della guerra a moltissimi altri teatri locali, con o senza l’intervento diretto iniziale delle superpotenze nucleari, che tuttavia avrebbero poi enormi difficoltà a restarne fuori. C’è insomma il rischio che si concretizzi in questa parte del mondo l’inizio di un nuovo conflitto globale, che veda al suo centro l’Asia e non più l’Europa. Pe questo è auspicabile che Pechino non commetta l’errore di considerare l’Ucraina come un utile precedente da riportare in Asia.


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