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La telefonia mobile di quinta generazione, il famoso 5G, sta facendo esplodere una battaglia geopolitica mondiale con uno scontro sempre più aspro Cina-Usa ma anche con qualche sorpresa per gli europei, a patto che sappiano superare le consuete divisioni che affiorano in ogni momento strategico, Recovery Fund compreso. Il caso Huawei, entrata nel mirino delle sanzioni di Trump, è emblematico dell’ascesa dell’hi-tech cinese. Qualche anno fa era una compagnia che metteva sul mercato prodotti di bassa gamma su brevetti altrui, oggi gestisce reti in 170 Paesi e dà lavoro a 200mila persone.

Nell’estate del 2020 la compagnia cinese ha spodestato Samsung diventando il primo produttore mondiale di smartphone e ha messo sul mercato il microprocessore Kirin, tra i più avanzati per le applicazioni di intelligenza artificiale. Ben sapendo che presto per le sanzioni Usa i suoi apparecchi non avranno più accesso agli aggiornamenti di Android ha messo a punto pure un suo sistema operativo (Harmony Os). Huawei può fare tutto questo per i suoi investimenti in ricerca e sviluppo, circa il 10% del fatturato, 15 miliardi di dollari nel 2020, ben più di Apple e Microsoft tanto per fare un esempio.

Se altre imprese cinesi seguissero Huawei il predominio americano sull’economia mondiale verrebbe messo seriamente in discussione, scrive un Le Monde Diplomatique Evgenij Morozov, sociologo e giornalista bielorusso esperto di nuovi media e tecnologie fondatore del portale The Syllabus. Il caso del 5G, che dovrebbe permettere un’eccezionale rapidità di connessione su un numero sempre maggiore di apparecchi, va molto oltre il predominio cinese su questo tipo di tecnologia. Huawei e il 5G sono soltanto una parte della questione, il contesto è quello di un confronto economico e geopolitico ben più ampio in cui i cinesi cerano di avvantaggiarsi sugli americani, assai preoccupati perché non hanno ancora colossi attrezzati a fronteggiare la sfida.

L’Europa sembra in una situazione più confortevole perché ha due produttori di apparecchiature elettroniche, Nokia ed Ericsson. Quello che non ha ancora fatto l’Unione europea è dare vita a un gigante unico continentale del 5G, anche se la Commissione europea, sotto la pressione di francesi, e tedeschi, ha mostrato recentemente la volontà di mettere un po’ da parte l’idea fissa della competitività per tenere conto di quanto sta avvenendo a livello mondiale nella partita geopolitica in corso.

Sarebbe infatti il caso che gli europei smettessero soltanto di subire le pressioni americane e agissero anche per conto proprio. L’offensiva di Washington contro l’alta tecnologia cinese che ha colpito Huwawei – a cominciare nel 2018 dall’ordine di arresto di Meng Wanzhou, figlia del fondatore poi detenuta in Canada – ma anche altre società cinesi come Zte (attiva nel 5G), WeChate e Tik Tok, sta infatti avendo un certo successo. Le accuse rivolte dagli americani ai cinesi e a Huawei di spionaggio e di voler dominare le nostre vite hanno cominciato a penetrare sui media nell’opinione pubblica. L’amministrazione Trump ha rivolto un invito a Gran Bretagna, Francia, Italia e Paesi dell’Est europeo a bandire Huawei dalla proprie reti 5G. Il termine “invito” è un eufemismo, tanto sono forti le pressioni economiche e diplomatiche esercitate da Washington.

Ma quel è la posta in gioco? Eccola. Le indicazioni vengono dalle rivelazioni nel 2013 di Edward Snowden sulle attività della Nsa, Agenzia nazionale americana della sicurezza. La Nsa ha piratato per anni i server di Huawei con due obiettivi: trovare traccia degli eventuali legami della compagnia con le forze armate cinesi e individuare le faglie nella sicurezza dei suoi dispositivi per permettere all’intelligence Usa di spiare alcuni stati suoi clienti come l’Iran e il Pakistan. Due Paesi che per una serie di motivi – in primo luogo le sanzioni imposte dagli Usa a Teheran – si sono buttati nelle braccia dei cinesi. Come sostiene Morozov ma anche molti altri, se Huawei vincesse la corsa al 5G la supremazia americana nel campo dell’intelligence verrebbe fortemente compromessa, visto che Huawei è anche tra i maggiori detentori di brevetti legati a questa tecnologia.

In realtà anche la corsa cinese all’hi-tech non è priva di ostacoli. Le imprese cinesi si sono approvvigionate a lungo a Taiwan e negli Usa di componenti ad alto contenuto tecnologico e ora queste catene, proprio per le sanzioni Usa e le tensioni geopolitiche, si stanno interrompendo. Ovviamente Pechino ha reagito a questo stato di cose e la “sovranità tecnologica” è diventata un imperativo lanciato dallo stesso presidente Xi Jinping che ha illustrato un piano da 1400 miliardi di dollari per assicurare a Pechino la leadership in diverse tecnologie chiave entro il 2025. Le sanzioni americane, con un effetto quasi paradossale, stanno spingendo la Cina a diventare sempre più autonoma sul piano industriale e dell’hi-tech. In poche parole stiamo rendendo i cinesi ancora più ricchi e più forti.


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