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Sit-in dei familiari dei pescatori davanti al Parlamento

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Sono passati 100 giorni da quando i diciotto pescatori imbarcati sui due pescherecci di Mazara del Vallo “Medinea” e “Antartide” sono prigionieri in Libia dopo essere stati sequestrati al largo di Bengasi dove governa il generale Haftar che si oppone al governo di Tripoli. Il Natale è già alle porte e i familiari dei “Pescatori-Prigionieri” speravano e sperano di poterlo trascorrere con loro.

Da allora continuano a protestare anche con sit-in davanti al Parlamento chiedendo un intervento del governo per porre fine alla prigionia dei 18 pescatori.

L’APPELLO

Finora hanno solo avuto risposta di avere «pazienza» e di aspettare ancora perché le trattative con i libici sono difficili ed estenuanti. Ed ecco allora che scende in campo, nel vero senso della parola, il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Mogavero, ex presidente della Cei che tuona e, anziché impugnare il crocifisso, è come se avesse una spada in mano: «Ora diciamo basta: è ora che chi di dovere intervenga, anche con corpi speciali, affinché i pescatori possano fare rientro nelle loro famiglie».

Chiaro? Il vescovo di Mazara del Vallo chiede dunque “Forze speciali”, “commandos” o “teste di cuoio” che siano per andare a liberare quei 18 disgraziati che da oltre 100 giorni sono in cella.

«È stata compiuta un’ingiustizia – dice ancora monsignor Mogavero all’Adnkronos – perché non ci sono ragioni che giustificano questo durissimo e gravissimo atto di ostilità. Quello che finora è stato concesso ai familiari – dice riferendosi alle due brevi telefonate che sono state consentite tra i parenti e i sequestrati – è davvero troppo poco. Ora diciamo basta: è ora che chi di dovere intervenga, anche con corpi speciali, affinché i pescatori possano fare rientro».

LA DIFESA LEGALE

Per monsignor Mogavero il caso dei 18 pescatori riporta alla luce l’annosa questione delle acque internazionali: «Chi ha la responsabilità deve impegnarsi affinché tali episodi non si ripetano più. In altri tempi abbiamo tollerato episodi simili che si sono conclusi in tempi molto più ravvicinati. Ora si è superata ogni misura».
La Diocesi guidata da monsignor Mogavero sin dalle prime settimane dopo il sequestro è stata a fianco dei familiari dei 18 pescatori (cattolici e musulmani), pagando loro le utenze domestiche e l’acquisto di beni di prima necessità per i bambini delle coppie giovani.

Saranno costretti a passare il Natale in Libia? «Molto probabilmente sì» risponde ad Aki – Adnkronos International Claudia Gazzini, esperta di Libia dell’International Crisis Group (Icg). La storia dei pescatori si è intrecciata con quella dei quattro giovani libici partiti cinque anni fa da Bengasi con il sogno del mondo del pallone e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti, a pene pesantissime, un processo che presenta qualche criticità perché i difensori degli imputati hanno dimostrato, documenti e fotografie alla mano, che i quattro giovani libici erano sì a bordo del barcone con il quale erano arrivati a Lampedusa insieme ad altri migranti, ma non sarebbero trafficanti di esseri umani, bensì anche loro dei disperati che erano fuggiti dal loro Paese in guerra.

PRECEDENTE MEDIEVALE

«Nell’immediato sembra che la posizione di Khalifa Haftar rimanga quella del voler tenere i pescatori finché non si sblocca la situazione dei ragazzi in Italia – dice Gazzini – Sull’iter legale in Italia bisognerà aspettare la seduta della Corte di cassazione. Haftar ha preso nota del fatto che uno scambio di prigionieri non è possibile perché il caso legale è ancora aperto ed è in attesa di vedere una qualche evoluzione positiva del caso dei ragazzi».

Di fatto, il generale che lo scorso aprile lanciò un’offensiva per la conquista di Tripoli è in attesa di «buone notizie dall’Italia». E nell’attesa che il governo italiano riesca a fare qualcosa, ecco l’intervento di monsignor Mogavero che ricorda il vescovo di Roschilde (Danimarca) che nel 1158 impugnò la spada per combattere i pirati che minacciavano il suo Paese.


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