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Una centrale nucleare

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L’energia nucleare è una questione divisiva. Sarebbe meglio non evocarla,  ma se proprio non se ne può fare a meno, bisognerebbe almeno farlo con cognizione di causa. Sia il Centrodestra, sia Azione (guidato dal leader Carlo Calenda) nei loro programmi elettorali propongono il ricorso alla produzione energetica attraverso il nucleare “senza veti preconcetti”. Dal punto di vista teorico, progettuale e delle tecnologie è possibile, dal punto di vista pratico, gli ostacoli non mancano. E non sono solo di natura ideologica.

Il Parlamento europeo nel luglio scorso ha respinto con 328 voti, contro 278 e 33 astensioni, l’obiezione alla proposta della Commissione per l’inclusione di gas e nucleare nella Tassonomia verde (la classificazione europea delle attività utili a perseguire l’obiettivo dell’Ue di emissioni zero entro il 2050) che così potrà entrare in vigore il 1° gennaio 2023. La decisione, fortemente osteggiata, ha diviso il Parlamento, gli Stati membri, e le società, a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di quanto questo argomento sia non solo attuale, ma sempre in grado di suscitare polemiche e contrapposizioni.

L’energia nucleare copre il 27% della produzione elettrica in Europa, che sale al 72% in Francia. Ma mentre Europa e Cina progettano i reattori nucleari di quarta generazione, l’Italia è ferma al referendum del 1987.   Nessuno dei quesiti di quella consultazione referendario aveva direttamente come oggetto l’abbandono del nucleare. Uno riguardò l’abrogazione della facoltà del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica di deliberare sulla localizzazione delle centrali qualora gli enti locali interessati non avessero raggiunto un accordo a riguardo. Un altro chiese l’abrogazione dei contributi agli enti locali che ospitassero sul proprio territorio centrali nucleari o a carbone. Il terzo quesito, infine, riguardò l’esclusione dell’Enel, all’epoca ancora ente pubblico, dalla partecipazione alla costruzione di centrali nucleari all’estero. I sì vinsero con il 71,86%. Votarono complessivamente circa 29,9 milioni di elettori. Il quorum fu raggiunto con un’affluenza alle urne del 65,1% sui circa 45,8 milioni di aventi diritto al voto.

Il giorno dei referendum si contavano quattro centrali elettronucleari: la centrale di Latina, da 210 MWe con reattore Magnox, attiva commercialmente dal 1964; la centrale Garigliano di Sessa Aurunca (Caserta), da 160 MWe con reattore nucleare ad acqua bollente (BWR). Attiva commercialmente dal 1964, è l’unica che fu spenta prima del referendum: fermata per manutenzione nel 1978, si optò per la disattivazione nel 1982; la centrale Enrico Fermi di Trino (Vercelli), da 270 MWe con reattore nucleare ad acqua pressurizzata (PWR), attiva commercialmente dal 1965; la centrale di Caorso (Piacenza), da 860 MWe con reattore BWR, attiva commercialmente dal 1981, l’unica delle quattro ad essere di seconda generazione.  Dopo averle fermate, si è proceduto al loro smantellamento con costi assai elevati. Il programma di eliminazione dei contenitori del combustibile radioattivo (decommissioning) curato dalla Sogin, costerà all’Italia complessivamente 7,2 miliardi di euro, di cui 3,6 già spesi dal 2001 al 2017 (ma circa la metà è servita per la sicurezza e il mantenimento dei depositi temporanei).

Un forte impulso verso il nucleare si era avuto all’inizio degli anni ’70 a causa del repentino aumento dei prezzi di importazione dei prodotti petroliferi dovuti alla crisi in Medio Oriente. Per questo motivo il Piano Energetico Nazionale  del 1975 “prevedeva la realizzazione di ulteriori otto unità nucleari su quattro nuovi siti”. Insomma, ieri come oggi, il nostro Paese ha vissuto periodiche crisi energetiche. Dopo il referendum il nucleare è diventato un tabù. Guai a parlarne. Risultato? Il Paese punta all’autonomia energetica che è ancora di là da venire, combinando l’energia da fonte fossile (idrocarburi) con quella da fonti rinnovabili (idroelettrico, eolico, fotovoltaico, geotermico e così via). E il nucleare? E’ rinnovabile. Anzi, a dirla tutta, è la fonte energetica più rinnovabile che ci sia.

L’energia nucleare offre una serie di vantaggi rispetto ad altre tecnologie per l’energia pulita: fornisce un carico di base (il livello minimo di domanda su una rete elettrica in un intervallo di tempo) pulito e affidabile, che le fonti rinnovabili meno affidabili possono faticare ad offrire; è in grado di fornire energia in modo affidabile in qualsiasi momento della giornata e indipendentemente dalle condizioni meteorologiche e richiede meno materiali rispetto ad altre tecnologie di transizione. Queste qualità sono fondamentali per poter trasformare completamente i nostri sistemi affinché producano energia a zero emissioni di carbonio. 

La maggior parte delle centrali nucleari attualmente esistenti sono impianti di terza generazione che utilizzano principalmente reattori ad acqua pressurizzata, i quali sono relativamente inefficienti nell’utilizzo dell’energia immagazzinata nelle materie prime, poiché di norma sfruttano solo il 5-8% dell’energia disponibile, generando di conseguenza una grande quantità di rifiuti. I reattori nucleari di quarta generazione, invece, sono costituiti da un gruppo di tecnologie diverse, come i reattori avanzati ad acqua pesante e i reattori a sali fusi, e possono utilizzare il 95-98% dell’energia disponibile nel carburante, anche se sono ancora alquanto lontani dalla commercializzazione. I mini reattori “Small modular reactors” che occupano meno spazio rispetto agli impianti convenzionali e possono essere costruiti più rapidamente e in modo standardizzato, potrebbero diventare una realtà nel prossimo futuro. La Corea del Sud e la Cina sono riusciti a ridurre il costo del nucleare, soprattutto grazie alle prassi in materia di costruzione. Entrambi i Paesi riproducono, di volta in volta, lo stesso impianto, piuttosto che concepire ciascun progetto da zero come accade altrove. Ciò riduce notevolmente i costi e i ritardi.

Un’altra differenza è che, a causa della regolarità dei progetti, la forza lavoro dispone delle competenze necessarie. La sicurezza rappresenta una preoccupazione comune per le tecnologie nucleari, a causa principalmente di incidenti storici come quelli di Fukushima e Chernobyl. Tuttavia, entrambi questi esempi sono in qualche modo specifici a ciascun sito ed è difficile che si verificheranno in altri impianti nucleari. Infine, bisogna considerare anche la fusione nucleare. Tutte le tecnologie citate utilizzano la fissione nucleare, che comporta la divisione di atomi di grandi dimensioni (solitamente di uranio). La fusione nucleare, invece, si concentra sulla fusione di elementi leggeri (come l’idrogeno).

Ci sarà il nucleare nel futuro dell’Italia? Lo vedremo. Eppure eravamo gli antesignani: era italiano Enrico Fermi, Premio Nobel per la fisica nel 1938, lo scienziato che progettò e realizzò il primo reattore a fissione, ma è da 35 anni che non si fa più nulla, eccetto la ricerca di base. Ricominciare, se mai si farà, sarà dura!


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