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Una lunga fila davanti a una mensa della Caritas

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L’INFLAZIONE è un fardello che pesa soprattutto sulle classi più povere. Covid e guerra, che hanno fatto esplodere il caro prezzi, hanno allargato infatti il gap tra ricchi e poveri. In Italia da tempo si segnala la crescita del numero dei meno abbienti, con un esercito sempre più numeroso che si affida alla Caritas e a tutti gli altri enti caritatevoli.

Bollette energetiche e caro cibo stanno pesando di più su chi ha meno risorse finanziarie. A certificare questa situazione è intervenuta ieri la Bce (Banca centrale europea) che ha analizzato l’impatto dell’aumento dei prezzi sulle famiglie a più basso reddito. Si tratta di nuclei nell’area euro – rileva lo studio – che impegnano una quota maggiore della loro spesa totale per consumi in cibo, elettricità, gas e riscaldamento e una quota inferiore per i trasporti, attività ricreative, ristoranti.

DIVARI AMPLIFICATI

E il divario rilevato ha raggiunto il massimo dal 2006. con un incremento dell’1,9% a settembre 2022. Tra il 2011 e novembre 2021, infatti, il differenziale è rimasto per lo più contenuto, oscillando tra -0,25 e 0,25 punti percentuali, che riflette anche il contesto di bassa inflazione. Tuttavia, è aumentato notevolmente da 0,1 punti percentuali a settembre 2021 per schizzare appunto a 1,9 punti percentuali a settembre 2022. A incidere sono soprattutto i prezzi dell’energia e dei beni alimentari. E sono proprio questi ultimi «i principali motori dell’aumento dell’inflazione cui devono far fronte le famiglie a basso reddito».

Anche perché per le famiglie in situazioni economicamente difficili la spesa è rigida. Le famiglie più ricche si muovono su un ventaglio di prodotti vari e più costosi e hanno dunque lo spazio per una maggior flessibilità, con la possibilità di passare dagli acquisti super-costosi a quelli più economici.

Ma chi parte da livelli bassi non può scendere ulteriormente e ha come unica scelta il taglio delle quantità. È il noto concetto dell’utilità marginale, ovvero la soddisfazione che dà il consumo di un bene. Oltre certi quantitativi e livelli di qualità la domanda è rigida.

Non è così per chi ha stretto sempre la cinghia e non ha la capacità di affrontare l’inflazione mettendo mano ai risparmi. Con redditi bassi gli investimenti sono destinati a coprire i bisogni primari. E dunque le famiglie più povere non possono contare su un “tesoretto” per resistere ai forti aumenti del costo della vita. «I governi dell’area dell’euro – evidenzia lo studio della Bce – hanno adottato misure per attutire l’impatto della recente inflazione sulle famiglie, ma finora tutti i gruppi di reddito percepiscono queste misure come insufficienti, in particolare le famiglie a basso reddito. Ciò indica che c’è spazio per migliorare il modo in cui le misure di sostegno sono rivolte alle famiglie a basso reddito».

Questa situazione rischia di spaccare le società dell’Unione europea, con effetti che potrebbero diventare devastanti alzando muri sempre più alti tra ricchi e poveri. Anche perché in questa fase sta prevalendo il pessimismo sul futuro, con aspettative di riduzione dei redditi.

E questa visione prevale nella fascia di età tra 55 e 70 anni e per i redditi medi. Mentre si stimano ulteriori aumenti dell’inflazione. Un quadro che rischia di favorire il processo di evaporazione della famosa middle class che ha rappresentato lo zoccolo duro delle società europee.

SUD ALLO STREMO

Stessa situazione in Italia, dove gli ultimi dati su inflazione e vendite hanno scattato una fotografia assolutamente sovrapponibile a quella della Bce. D’altra parte, già le statistiche sulla povertà elaborate dall’Istat per il 2021 avevano segnalato numeri allarmanti, con un incremento dell’incidenza dei poveri dell’11,1% dal 10,1% del 2020 e la presenza di 2,9 milioni di famiglie sotto la soglia a fronte di 2,6 milioni dell’anno precedente.

Allarmante il dato del Mezzogiorno, con il 10% di famiglie che si trovano in una situazione di povertà assoluta, 6,7% al Nord e 5,6% al Centro. Ma è drammatica anche la situazione dei minori: 1,4 milioni, il 14,2% del totale. E ancora una volta il Sud spicca con il 16,1%. Ma dal momento in cui è stata effettuata la rilevazione Istat il quadro ha preso tinte ancora più fosche. La guerra in Ucraina ha esasperato quegli aumenti dei prodotti energetici e delle materie prime che si erano già avvertiti a fine 2021, provocando così in tutta Europa, e non solo, l’esplosione dell’inflazione. E i prezzi alle stelle favoriscono l’erosione dei redditi. Oltre 2,6 milioni – ha affermato Coldiretti sulla base dei dati diffusi dal Fead (Fondo per l’aiuto europeo agli indigenti) – sono le persone costrette addirittura a chiedere aiuto per mangiare facendo ricorso alle mense per i poveri o ai pacchi alimentari.

Con la corsa fuori controllo dei listini dei prodotti alimentari (+13,1%, con un’inflazione media dell’11,1% a ottobre) sono sempre più numerose le persone che non sono in grado di garantirsi dei pasti regolari. Fra i nuovi poveri – ha sottolineato Coldiretti – ci sono coloro che hanno perso il lavoro, piccoli commercianti o artigiani che hanno dovuto chiudere, le persone impiegate nel sommerso che non godono di particolari sussidi o aiuti pubblici e non hanno risparmi accantonati, come pure molti lavoratori a tempo determinato o con attività colpite dalle misure contro la pandemia e dalla crisi energetica. Ma se pensionati, disoccupati e famiglie con bambini piangono, ci sono invece categorie che hanno aumentato le proprie disponibilità finanziarie.

Perché è vero che il caro prezzi ha colpito forte, ma non è stato una “livella”. Situazioni come quella attuale aprono infatti varchi alla speculazione, che si è insinuata nelle pieghe di un sistema economico in affanno e che colpisce chi ha di meno.

SALE LA FAME NEL MONDO

I prezzi stellari delle materie prime agricole, dal grano al mais, impattano poi con particolare violenza su quella parte del mondo dove si combatte con la fame. Secondo l’ultimo rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World di Fao, Ifad, Unicef, Programma alimentare delle Nazioni Unite (Wfp) e Oms, nel 2021 risultavano 828 milioni di persone colpite dalla fame, 46 milioni in più rispetto al 2020 e 150 milioni sul 2019. Mentre 2,3 miliardi erano le persone nel mondo in condizioni di insicurezza grave o moderata.

Secondo le proiezioni, nel 2030 potrebbero raggiungere quota 670 milioni gli individui che si ritroveranno a dover affrontare la fame. Nei primi sei mesi di quest’anno sono stati calcolati 345 milioni di affamati. E la conferma che questi numeri possano provocare ulteriori problemi all’Europa arriva proprio dall’aumento di arrivi di migranti che fuggono dalla guerra, ma anche dalla fame, che sempre più spesso rappresentano un binomio indissolubile.


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