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LA BASILICATA è la regione più cara, la Sardegna quella più economica. Ma Barletta è la città migliore dal punto di vista dei costi, mentre Torino – insieme a Livorno e Trapani – la peggiore. Parliamo delle mense scolastiche e di tutto ciò – salute, diritto allo studio, rischio di povertà materiale ed educativa, uguaglianza e pari opportunità – che resta condizionato da un servizio essenziale per bambini e famiglie, ma ancora molto diseguale sul territorio nazionale soprattutto riguardo capacità, ripartizione ed efficienza della spesa pubblica relativa.

A soffrire di più è ancora una volta il Mezzogiorno. I risultati della VI Indagine sulle mense scolastiche 2022-2023, pubblicata ieri da Cittadinanzattiva – che prende in esame le tariffe di tutti i 110 capoluoghi di provincia italiani sia per la scuola dell’infanzia che per la primaria – mette in luce infatti un Sud ancora indietro rispetto al resto del Paese e ancora messo a dura prova da redditi familiari insufficienti e strutture scolastiche inadeguate. Due i criteri alla base della ricerca. Il primo riguarda gli istituti: stando ai dati più recenti del Ministero dell’Istruzione, dei 40.160 edifici scolastici statali presenti sul territorio, 13.533 – ossia il 33,6% – sarebbero dotati di mensa scolastica o – secondo la definizione di Open Data dello stesso Ministero dell’Istruzione – di un “ambito funzionale alla mensa”. Il secondo criterio attiene al campione: la famiglia di riferimento dell’indagine è composta da tre persone (due genitori e un figlio minore), ha un reddito lordo annuo di 44.200 euro, con corrispondente ISEE di 19.900 euro. Nel calcolo della quota annuale del servizio di ristorazione scolastica si è ipotizzata una frequenza di 20 giorni mensili per un totale di 9 mesi, escludendo eventuali quote extra annuali e/o mensili.

PNRR, FONDI PON E MEZZOGIORNO

Ebbene, tra gli obiettivi indicati dal Pnrr, c’è anche la creazione di circa 1.000 nuove mense scolastiche. “Scelta importante ma non sufficiente – si legge nell’Indagine di Cittadinanzattiva – perché nulla viene detto circa la trasformazione di questo servizio a domanda individuale cioè erogato solo a chi ne fa richiesta e paga per tale servizio, a servizio essenziale e universale, i cui oneri ricadano sulla spesa pubblica e non sulle singole famiglie che oggi, invece, sono chiamate a contribuire, in base al proprio reddito e alle percentuali stabilite, in modo discrezionale, dai singoli comuni, al costo del servizio, prevedendo esenzioni per le famiglie in fasce reddituali basse”. Nel dettaglio, tenuto conto che attualmente gli edifici scolastici statali con la mensa sono un terzo del totale -13.533 sulle 40.160 scuole, appunto – e che il Pnrr ha stanziato 400 milioni di euro per la costruzione di 1.000 mense – ad oggi si ha notizia e dettagli di 908 interventi approvati. Poco più della metà di questi ultimi, ossia 526 pari al 58%, prevede la costruzione di nuove mense, di cui 230 (48% delle nuove mense) al Sud. Per il resto – sempre secondo i rilievi di Cittadinanzattiva – si tratta di interventi di demolizioni, ricostruzioni e ampliamento (23%) e di riqualificazione o riconversione di spazi e mense preesistenti e messa in sicurezza (19%).

Ai fondi suddetti vanno aggiunti quelli derivanti dai fondi PON (asse II azione 10.7.1 Avviso 18786 del 28/6/2021) che prevedono 268 interventi tra mense e palestre per un importo complessivo di 84.817.807,33 euro nelle Regioni del Sud. Si tratta prevalentemente di costruzione di nuove palestre in quanto il numero di mense interessate è piuttosto esiguo: circa 18. Secondo l’indagine “riguardo ad altri fondi aggiunti successivamente per arrivare al numero di 1.000 mense come previsto dall’impegno iniziale del PNRR, al momento non è dato conoscere la ripartizione territoriale”.

I COSTI PER TERRITORIO

Questi i dati principali dell’indagine: 82 euro è la cifra che una famiglia italiana ha speso in media al mese, nell’anno scolastico in corso, per la mensa di un figlio iscritto alla scuola primaria o dell’infanzia. Si tratta di circa 4 euro a pasto. La regione mediamente, come abbiamo visto, risulta essere la Basilicata (109 euro mensili) mentre quella più economica è la Sardegna (58 euro nell’infanzia e 62 euro per la primaria). Da sottolineare l’incremento della spesa, rispetto alla precedente indagine del 2020/21: se questo è stato di poco più del 2% a livello nazionale, a fare la differenza sono le variazioni a livello regionale: si passa da un aumento a due cifre in Basilicata (+19% e +26% rispettivamente per scuola primaria e quella dell’infanzia) e in Campania (+12% circa per entrambe le tipologie di scuola) al decremento più elevato registrato in Sardegna (-10,5% nell’infanzia e -4,5% nella primaria). In regioni come Lazio, Marche, Umbria e Valle d’Aosta le tariffe restano invece sostanzialmente invariate. Per quanto riguarda invece i singoli capoluoghi di provincia, sono le famiglie di Barletta a spendere di meno per il singolo pasto (2 euro sia per l’infanzia che per la primaria), mentre per l’infanzia si spende di più a Torino (6,60 euro a pasto) e per la primaria a Livorno e Trapani (6,40 euro). Fra le città metropolitane, soltanto Roma rientra nella classifica delle meno care, con un costo a pasto per la famiglia “tipo” di circa 2,40 euro in entrambe le tipologie di scuola.

MENSE SCOLASTICHE, POVERTÀ E SALUTE

C’è un aspetto fondamentale da tenere presente riguardo la necessità di mense sempre più diffuse e, possibilmente, interamente pubbliche: secondo l’indagine Istat del 2019 sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie, in Italia circa 1 famiglia su 10 non può permettersi di mangiare carne o pesce ogni due giorni e la percentuale sale a circa il 13% dei nuclei monogenitoriali e al 17-18% delle famiglie del Sud e delle isole. Non solo. Secondo l’ultimo rapporto “Cosi” (Childhood Obesity Surveillance Initiative) dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha monitorato 411.000 bambini tra i 7 e i 9 anni in 33 Paesi, l’Italia si colloca al quarto posto per sovrappeso e obesità infantile con tassi appena al di sotto del 40%, superata solo da Cipro, Grecia e Spagna.

Dal rapporto emerge anche che il 67% dei bambini italiani tra i 6 e i 9 anni va a scuola in macchina contro una media europea del 50%. E sempre nel nostro Paese, ultimo nell’Ocse, il 94,5% dei bambini non pratica un adeguato livello di attività fisica. Qui a pesare, e ancora una volta soprattutto nel meridione, sono anche i pochi impianti pubblici per lo sport, così come le palestre negli edifici scolastici (6 su 10 ne sono privi).

«A fronte di ciò e dell’aumento della povertà minorile – sostiene Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva, che ha redatto insieme a Fabio Cruccu l’ultima indagine – crediamo che il servizio di ristorazione scolastica debba essere riconosciuto al più presto come servizio pubblico universale. Nel frattempo è indispensabile da un lato aumentare il numero di mense scolastiche in tutto il Paese, soprattutto nelle aree del Sud e in quelle interne ed ultraperiferiche, andando oltre i 1.000 interventi previsti dal Pnrr che solo per poco più della metà saranno effettivamente nuovi locali mensa; dall’altra ampliare le fasce di reddito per le quali è previsto l’accesso gratuito e contenere i costi a carico delle altre famiglie. Disporre di mense oltre che garantire un pasto proteico al giorno a tanti bambini e ragazzi consente di favorire l’ampliamento del tempo pieno e di tenere le scuole aperte per più ore al giorno, come presidio contro la dispersione».


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